Come i dieci piccoli indiani del romanzo di Agatha Christie, anche i membri del Consiglio consultivo per la valutazione dello sviluppo economico generale tedesco si riducono di anno in anno. Non muoiono, si dimettono, senza che il governo riesca a rimpiazzarli. Per statuto, i componenti devono essere cinque, ma all’inizio del prossimo mese ne resteranno in carica solo tre, il numero minimo consentito.
Il suddetto organismo, più noto come Consiglio dei cinque saggi, ha sulle spalle quasi sessanta anni di storia e ha accompagnato i successi (tanti) e le crisi (poche) del modello economico tedesco dal dopoguerra a oggi, passando per i boom economici degli anni Sessanta e Ottanta, la crisi dei Settanta, la riunificazione, l’addio al marco e l’adozione dell’euro. Fu creato nel 1963 e da allora consiglia in maniera indipendente ogni parlamento e ogni governo tedesco sulle questioni economiche e politiche. È artefice di uno dei rituali annuali che accompagnano la vita politica della Germania, il Report sulla situazione economica, con tanto di stime su Pil e crescita e stato delle finanze, che il governo deve poi dibattere e commentare fino alla pubblicazione delle sue conclusioni che deve avvenire non più tardi di otto settimane dalla presentazione del Report. Di fatto, il lavoro del Consiglio costituisce la base delle politiche economico-finanziarie del governo.
Fra qualche giorno, dunque, dei cinque saggi ne resteranno soltanto tre. Dopo l’addio di Lars Feld, avvenuto più di un anno fa e finora non rimpiazzato, l’ultimo a prendere il cappello è l’economista Volker Wieland, che ha annunciato le dimissioni a sorpresa con un’intervista pubblicata sabato scorso dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Francofortese, 56 anni, Wieland membro del Consiglio dal 2013, Wieland era ormai a due passi dalla scadenza del proprio secondo mandato che sarebbe terminato fra un anno esatto. Ma il clima all’interno dell’organismo non deve essere più tanto entusiasmante, se uno come lui ha deciso di anticiparne l’uscita.
In maniera elegante ma non del tutto convincente, Wieland ha giustificato la scelta con motivazioni di carattere personale. Il lavoro del gruppo sarebbe divenuto negli ultimi tempi troppo impegnativo e non più compatibile con la sua attività principale di professore di Economia monetaria all’Università di Francoforte e in più, i due anni di pandemia ne hanno provato la tenuta fisica, tra bambini in età scolare da gestire a casa e familiari bisognosi di cure da assistere. Problemi che hanno afflitto tante altre famiglie in Europa e nel mondo, costrette a gestire restrizioni e limitazioni dettate dalle strategie di contenimento del virus, e che magari possono aver fiaccato anche uno della tempra di Wieland.
Ma tra un rigo e l’altro dell’intervista emerge anche il malessere per “una mancanza delle condizioni ottimali per il proseguimento del lavoro”. Che è probabilmente il vero motivo dell’abbandono. Non era per caso che i creatori del Consiglio avevano progettato un numero di membri dispari: le diverse posizioni si sarebbero confrontate al suo interno, il dibattito avrebbe ricercato il miglior compromesso possibile, ma alla fine sarebbe comunque emersa a maggioranza una posizione chiara, magari accompagnata da sfumature.
Ma un Consiglio composto da quattro persone è destinato ad arenarsi. Quello attuale lo ha fatto spesso, con gli economisti spaccati in due tronconi: Wieland e Veronika Grimm da un lato, a rappresentare la fazione “ordoliberale”, Monika Schnitzer e Achim Truger dall’altro, a presidiare posizioni più di sinistra. In assenza di una netta maggioranza – ha osservato la Frankfurter – il Consiglio non è riuscito a trovare un accordo su un presidente e ha sempre dovuto formulare compromessi in termini di contenuto. E Wieland ha confermato: in questioni di politica fiscale e regole del debito, ad esempio, non c’era una raccomandazione chiara, ma “si potevano offrire al mondo politico solo due diverse posizioni”.
Ora tutti (politici, economisti, imprenditori) si dicono “preoccupati” per le dimissioni di Wieland e per il futuro del Consiglio. Ma resta il dato di fatto che ben due governi, l’uscente di Angela Merkel e il nuovo di Olaf Scholz ormai in carica da oltre quattro mesi, non sono riusciti a trovare un accordo su un quinto membro. E ora la coalizione Semaforo dovrà affannarsi a trovarne due. A meno che il suo declino non sia in qualche modo voluto. La Frankfurter ha un sospetto: “Il governo non ha alcun interesse a un correttivo indipendente della sua politica. I politici stanno smantellando il loro più importante organo consultivo di politica economica che, se continua così, sarà ridotto all’irrilevanza”.