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Perché l’economia mondiale spegne l’ottimismo del Fmi

Il consenso economico del Fondo monetario internazionale è diventato troppo ribassista? L'analisi di Joachim Fels, Global Economic Advisor di PIMCO.

Escludendo il 2008, non ricordo un’atmosfera così cupa come quella che si è intravista tra i policymaker e gli investitori presenti all’ultimo incontro del FMI a Washington DC. La città è sembrata una cassa di risonanza delle preoccupazioni riguardanti le armi nucleari, le fratture geopolitiche, la mancanza di coordinamento politico, la recessione, la viscosità dell’inflazione, l’errata calibrazione delle politiche monetarie e fiscali e l’evaporazione della liquidità nei mercati. Ecco le mie considerazioni principali, oltre ad alcune riflessioni sul perché il consenso potrebbe essere diventato troppo ribassista.

Per quanto riguarda le prospettive di crescita, il sentiment ampiamente condiviso è che “il peggio deve ancora venire”, come ha sinteticamente affermato il capo economista del FMI Pierre-Olivier Gourinchas durante le riunioni. Una lieve recessione negli Stati Uniti, una recessione più profonda in Europa e una contrazione della crescita in Cina sembrano essere le ipotesi di base condivise da tutti. C’è stato un ampio consenso anche sui fattori che hanno determinato la recessione: la guerra in Ucraina e le relative sanzioni, la guerra all’inflazione persistentemente alta da parte della maggior parte delle banche centrali e lotta contro il COVID-19 in Cina.

Inoltre, la maggior parte dei partecipanti ritiene che i rischi di questa prospettiva negativa siano sbilanciati verso il basso. I timori di un’escalation (nucleare) della guerra in Ucraina erano palpabili, così come le preoccupazioni per un’intensificazione delle tensioni commerciali e tecnologiche tra Stati Uniti e Cina. Inoltre, praticamente in ogni riunione sono emersi i timori che l’inflazione diventi ancora più viscosa e che le banche centrali siano costrette a un irrigidimento eccessivo.

L’Europa è considerata più a rischio. Il sentiment negativo nei confronti dell’Europa è stato alquanto diffuso, data la vicinanza della guerra in Ucraina, la potenziale frammentazione del mercato obbligazionario con l’inasprimento della Banca Centrale Europea (BCE) e le preoccupazioni che i problemi dei fondi pensione LDI (liability-driven investment), come quelli del Regno Unito, possano diffondersi anche nel continente. Inoltre, molti ritengono che il modello economico della Germania sia in crisi, data la storica dipendenza del Paese dalla Cina per le esportazioni, dalla Russia per l’energia e dagli Stati Uniti per la sicurezza.

Allo stesso modo, l’umore verso i mercati emergenti è stato piuttosto cupo, nonostante la relativa resilienza che l’asset class ha mostrato finora. Sebbene molte banche centrali dei mercati emergenti siano più avanti nel ciclo di inasprimento rispetto alle loro controparti dei mercati sviluppati e i produttori di materie prime all’interno degli emergenti abbiano registrato notevoli profitti nelle ragioni di scambio, i policymaker e gli investitori si sono preoccupati del contesto globale caratterizzato da un dollaro americano in ascesa, tassi in forte aumento e crescita in calo nelle economie avanzate e in Cina.

Nessun Accordo del Plaza per indebolire il dollaro americano. In vista delle riunioni del FMI, alcuni speravano in un progresso orientato verso una risposta coordinata da parte delle banche centrali per fermare o addirittura invertire la continua ascesa del dollaro americano, ma i funzionari della Federal Reserve hanno chiarito che questo non è in programma e che la lotta all’inflazione ha la precedenza.

“Non vi siete ancora fatti prendere dal panico. Lo farete”. In un contesto macroeconomico poco rassicurante, caratterizzato da recessioni incombenti, inflazione viscosa e un aggressivo inasprimento da parte delle banche centrali, la visione dei partecipanti sugli asset rischiosi è stata ampiamente ribassista. Riflettendo un ampio sentiment, al J.P. Morgan Investor Seminar il CEO della banca Jamie Dimon ha dichiarato al pubblico: “Non vi siete ancora fatti prendere dal panico. Lo farete”. Non sorprende che le discussioni sulle potenziali fasi di “rottura” dei mercati siano state onnipresenti. Tuttavia, non c’è stato un chiaro consenso sul punto in cui è più probabile che si verifichino, dato che i problemi degli LDI nel Regno Unito hanno sorpreso la maggior parte degli osservatori.

Picco della paura? Pur condividendo molte di queste preoccupazioni, il contrarian che è in me è uscito dalle riunioni pensando che il consenso potrebbe essere diventato eccessivamente ribassista e che potremmo essere giunti al “picco della paura” sui mercati o quasi, per tre motivi.

Resilienza del mercato del lavoro. C’è una discreta possibilità che il mercato del lavoro negli Stati Uniti e in Europa rimangano relativamente resilienti. Gran parte dell’aggiustamento del mercato del lavoro negli Stati Uniti potrebbe avvenire attraverso un aggiustamento dei posti vacanti, ancora insolitamente alti, piuttosto che attraverso l’aumento della disoccupazione, soprattutto perché le imprese potrebbero ricorrere ad un certo accumulo di manodopera dopo aver faticato a coprire le posizioni aperte durante la ripresa COVID dello scorso anno. In Europa, considerazioni analoghe da parte delle imprese e programmi di mantenimento dell’occupazione finanziati dal governo dovrebbero impedire un forte aumento della disoccupazione.

Lezioni dal Regno Unito e le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti. È ormai ampiamente accettato che le banche centrali hanno bisogno dell’aiuto della politica fiscale per ridurre l’inflazione in modo sostenibile; ora, questo aiuto potrebbe arrivare. Uno dei motivi è che le elezioni di midterm negli Stati Uniti a novembre sembra che possano concludersi con un Congresso diviso, il che implicherebbe uno stallo e l’impossibilità di ulteriori allentamenti fiscali nei prossimi anni. Un’altra ragione è la lezione che molti governi probabilmente trarranno dall’aver visto i mercati obbligazionari e valutari reagire all’annuncio del governo britannico di un ampio stimolo fiscale finanziato a debito, che ora è stato ampiamente annullato in risposta alle pressioni del mercato. L’inflazione alimentata dai contributi fiscali sembra ora meno probabile, il che dovrebbe aiutare le banche centrali a rispettare il proprio mandato e a mantenere ancorate le aspettative di inflazione a lungo termine.

Mercati obbligazionari più tranquilli? Infine, ma non per questo meno importante, i mercati dei tassi potrebbero potenzialmente entrare in un periodo di maggiore calma dopo il brusco sell-off di quest’anno e le forti oscillazioni in risposta agli annunci fiscali del Regno Unito. I mercati già prezzano ulteriori significativi rialzi dei tassi da parte delle principali banche centrali e i livelli dei rendimenti in termini assoluti appaiono molto più attraenti di quanto non lo siano stati per molto tempo, compreso il rendimento reale dei titoli del Tesoro USA protetti dall’inflazione (TIPS, Treasury Inflation-Protected Security). Se i rendimenti obbligazionari si stabilizzeranno su questi livelli elevati anziché salire ulteriormente, ciò potrebbe anche aiutare gli asset rischiosi come le azioni a recuperare parte delle perdite registrate nel corso dell’anno e contribuire a rendere nuovamente interessanti i segmenti di alta qualità dei mercati del credito.

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