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Flat tax Iva, come cambia il regime forfettario

Tutte le novità sulla Flat tax Iva sul regime forfettario nell'articolo del commercialista Giuliano Mandolesi

La nuova formulazione del regime forfettario prevista nel disegno di legge di Stabilità 2019 che di fatto rivoluziona la legge 190/2014 (legge di Stabilità 2015) che ha introdotto le regole del regime forfettario, se da un lato estende l’ambito applicativo ai soggetti con ricavi/fatturato entro i 65 mila euro dall’altro, riscrivendo totalmente il comma 57 lettera d) e d-bis) dell’art.1 della legge, chiude la porta ai titolari di quote in società a responsabilità limitata e a tutti soggetti che intratterranno rapporti con ex datori di lavoro.

Le stringenti restrizioni introdotte riguardano non solo l’estensione del regime forfettario ma anche i futuri aderenti al regime dell’imposta sostitutiva applicabile ai redditi tra i 65.001 e i 100.000, che dovrebbe interessare circa l’8% del totale delle partite Iva in base ai dati calcolati dall’Upb (l’ufficio parlamentare di bilancio).

Sebbene è ormai strutturale nelle norme che disciplinano i regimi fiscali agevolati l’esclusione dall’ambito applicativo dei percettori di redditi per trasparenza siano essi «naturali», come in caso di società di persone imprese familiari ed associazioni, siano essi su opzione, come in caso delle srl ex art. 116 del Tuir, non si comprende appieno lo spirito del legislatore circa la nuova estromissione riservata ai soci di srl.

Se è infatti comprensibile l’esclusione dei percettori di redditi attribuiti per trasparenza al fine di evitare che, in alcuni casi, la stessa tipologia di provento possa essere tassata in capo al medesimo soggetto con due modalità diverse (con Irpef progressiva quella trasparente e tassazione sostitutiva flat quella a partita Iva individuale) l’esclusione dei titolari di quote in società a responsabilità limitata rischia solo di generare una vera e propria corsa alla dismissione della partecipazione detenuta o nel caso opposto, la rinuncia all’applicazione del regime agevolato.

L’effetto è facilmente preventivabile e oltre a portare a una seppur contenuta riduzione del numero degli interessati, la cui platea stimata dall’Upb (ufficio parlamentare di bilancio) è già di per sé contenuta e pari al 17% degli attuali autonomi e imprenditori, genererà una chiara discriminazione tra contribuenti a partita iva con e senza partecipazione in srl, con il risultato paradossale di avere magari un soggetto con 30 mila euro di fatturato tassato a Irpef progressiva e uno a 65 mila con tassa piatta per la sola discriminante della quota detenuta.

Diversa è invece il processo decisionale attribuibile all’esclusione riservata ai i soggetti che hanno percepito redditi di lavoro dipendente ed assimilati e che svolgeranno prestazioni prevalentemente nei confronti anche di uno dei datori di lavoro dei due anni precedenti.

In questo caso il legislatore si preoccupa del fenomeno delle false partite Iva ovvero all’impropria trasformazione di un vecchio rapporto di lavoro subordinato in lavoro autonomo per via della convenienza fiscale di una o di entrambe le parti (il datore e il lavoratore).

Anche per questa casistica l’effetto prodotto è quello di discriminare involontariamente sia coloro che realmente concludono il rapporto di lavoro per immettersi nel libero mercato mantenendo contestualmente rapporti con l’ex datore, sia neopensionati e anche ex dipendenti in procinto del pensionamento che di fatto scelgono la via della partita iva per operare a piacimento al solo fine di mantenersi in attività ed integrare i guadagni in attesa dell’erogazione pensionistica.

La precedente formulazione della norma, seppur in maniera più mitigata, in parte già produceva questa discrasia poiché di fatto escludeva dal regime agevolato i soggetti che nell’anno precedente avevano percepito redditi di lavoro dipendente e/o assimilati di importo superiore a 30 mila euro ma tranne nel caso in cui il rapporto di lavoro dipendente nell’anno precedente fosse cessato.

 

Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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