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Flat Tax

I conti in tasca alla Flat Tax

Come realizzare (bene) la Flat Tax. Il commento dell'editorialista Giuliano Cazzola

 

Alla flat (dual) tax si può essere favorevoli o contrari: per motivi politici, economici, di interesse individuale o di gruppo e persino per ragioni di carattere giuridico, visto che il comma 2 dell’articolo 53 della Costituzione (”il sistema tributario è informato a criteri di progressività”) non è stato ancora abrogato.

Favorevoli e contrari, tuttavia, non possono sottrarsi a una corretta valutazione delle modalità e soprattutto dei costi di un riordino fiscale tanto impegnativo, destinato comunque a destabilizzare il sistema fiscale.

C’è, infatti, il rischio che vengano a mancare risorse consistenti.

Per farla breve, ciò che è inaccettabile, nel dibattito in corso nella maggioranza, non è tanto la scelta (proposta all’elettorato e scritta nel contratto) di adottare o meno la flat tax o qualcosa di simile; ma la pretesa di poter attuare un’operazione così complessa a costo zero, come se la misura si finanziasse da sé grazie al recupero della evasione al grido dello slogan ”pagare tutti per pagare meno”.

Questo, in teoria, potrebbe essere un risultato possibile da conseguire; ma un auspicio, un sussulto della morale pubblica e della coscienza civile, non garantirebbero una copertura affidabile, che potrebbe dipendere soltanto da tagli di spesa o da nuovi cespiti di entrate tali da compensare la perdita di gettito prodotta dalla manomissione delle aliquote e dall’abbandono del criterio di progressività dei tributi.

È sufficiente osservare la struttura del prelievo sul reddito per accorgersi che l’adozione di due sole aliquote (al 15% e al 20% nei limiti proposti) proprio perché produrrebbe un beneficio per i soggetti più abbienti, finirebbe per ridimensionare i bacini di reddito da cui proviene la maggior parte del prelievo Irpef, versato proprio da queste coorti di contribuenti.

Su 60,5 milioni di cittadini solo 30,7 milioni presentano una dichiarazione dei redditi positiva. Il 45% dei cittadini paga il 2,8% dell’Irpef, mentre il 12% ben il 57%. Con redditi lordi sopra i 100mila euro l’anno (52mila euro netti) si trova solo l’1,1% dei contribuenti (450mila) che versa il 18% dell’ammontare dell’Irpef.

Un contribuente con un reddito di 100mila euro paga in un solo anno quanto uno dei 19 milioni con reddito inferiore a 15mila euro versa in 40 anni. Su circa 7,5 milioni di lavoratori autonomi, invece, i dichiaranti sono 5,4 milioni di cui i versanti con redditi positivi solo 2,8 milioni. La somma dell’Irpef pagata da questi lavoratori è pari a 9,6 miliardi cioè al 5,7% del totale. Che cosa rappresentano, in sintesi, questi dati?

La maggior parte delle entrate fiscali è a carico dei redditi medio-alti, proprio quelli che sarebbero favoriti dalle aliquote della flat (dual) tax. Non c’è solo una questione – discutibile – di equità fiscale, ma c’è il pericolo di una riduzione netta e improvvisa delle entrate.

Come si rimedia? In questi anni sono state presentate proposte di riforma e semplificazione fiscale ben più serie e sostenibili del progetto di Armando Siri. Ne citiamo una per tutte: quella di Nicola Rossi per l’Istituto Bruno Leoni, la quale (stimata per un costo di 27 miliardi euro) contemplava l’applicazione generalizzata di un’aliquota unica al 25% ai soggetti sia Irpef che Ires.

Questa misura era corredata da un complesso di interventi, a regime in un triennio, tra i quali ricordiamo, in particolare, l’incremento dell’Iva al 25% (ferme restando quelle al 4% e al 10%) e il decrescere delle deduzioni in proporzione al crescere del reddito.

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