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Fed

Vi spiego cosa cela la mossa Fed sull’inflazione

L'analisi di Mario Seminerio, curatore del blog Phastidio.net, sulla revisione dei piani della Fed in materia di inflazione.

Il presidente della banca centrale statunitense, Jerome Powell, ha comunicato che la revisione della strategia della Federal Reserve punterà a consentire di avere un’inflazione superiore alla soglia del 2%, per compensarne valori bassi dei periodi precedenti. Una rivoluzione? Non esattamente. Più che altro, la presa d’atto di un fallimento, che certifica che gli istituti di emissione non sono quelle entità onnipotenti di cui tutti abbiamo favoleggiato negli ultimi lustri.

La frase chiave di Powell:

A seguito di periodi in cui l’inflazione è stata inferiore al 2%, è probabile che una appropriata politica monetaria punterà a conseguire per qualche tempo un’inflazione moderatamente sopra il 2%.

COSA NON È STATO DETTO

La novità era da tempo nell’aria, quindi poca sorpresa. Quello che tuttavia non è stato divulgato è l’ampiezza del periodo di osservazione dell’inflazione, per compensare eventuali scostamenti sotto la soglia. Un anno? Due? Cinque? Dieci? Non saperlo, consente alla Fed di tenersi le mani libere ed evitare di essere prevedibile e prevista, circostanza che ridurrebbe l’efficacia della politica monetaria.

Il prezzo da pagare, per questa oscurità della regola, è la probabilità che i mercati scontino maggiore incertezza. Rischio che Powell si è premurato di ridimensionare affermando che la Fed è pronta ad agire in caso le aspettative di inflazione dovessero eccedere livelli coerenti con l’obiettivo.

Altro punto qualificante della revisione Fed è l’asimmetria di valutazione del mercato del lavoro rispetto al rischio inflazione. Dopo aver preso atto negli ultimi anni, non senza sorpresa, che la disoccupazione può scendere ben al di sotto del livello a cui i modelli associano la comparsa di pressioni inflazionistiche, ora la Fed promette che la politica monetaria valuterà il “buco” di occupazione rispetto al suo massimo, e non più le “deviazioni” dal medesimo.

Se non vi è chiaro, non crucciatevi: non lo è neppure per i banchieri centrali. O meglio, per loro è chiaro che la curva di Phillips si è appiattita in un modo drammatico, e di conseguenza è possibile avere disoccupazione molto bassa ed inflazione inesistente. Dopo di che, ci si potrebbe chiedere di che utilità potrà essere la nuova formula, se serve comunque stimare il “massimo” livello occupazionale, e su tale stima in passato si è sbagliato più volte. Ma transeat.

PERCHÉ L’INFLAZIONE AL 2%

La stella polare resta questo benedetto o maledetto 2% di inflazione. Ma in molti si sono accorti che le banche centrali, in giro per il mondo, hanno semplicemente fallito nel tentativo di raggiungerlo, e tale fallimento dura da molti anni. Che significa ciò, in soldoni? Questo: che credibilità possono avere banche centrali che non riescono a conseguire il proprio obiettivo, quando riformulano l’obiettivo medesimo?

Ma perché le banche centrali sono fissate con questo 2% di inflazione? Per un motivo: se, durante una ripresa, i tassi non salgono in modo evidente, come accadeva in altra era geologica, che accadrà quando arriverà la successiva recessione? Semplice: che le banche centrali non avranno margini per stimolare l’economia abbassando i tassi. O meglio, potrebbero portarli a negativi, ma efficacia ed effetti collaterali sull’economia restano poco chiari. Qualcuno potrebbe dire che sono chiarissimi, invece: boom azionario ed aumento della diseguaglianza sul patrimonio. Avrebbe ragione.

I miei punti, quindi? In primo luogo, che la Fed ha preso atto della realtà, e poco altro. Poi, che la credibilità delle banche centrali, in termini di perseguimento di un obiettivo di inflazione, è seriamente danneggiata per non dire compromessa. Tempo addietro c’è stato chi si è spinto a consigliare di portare il target d’inflazione dal 2 al 4%, per avere più agio a ridurre i tassi in recessione. Ma anche qui, stesso discorso: se una banca centrale non è credibile a raggiungere il 2, potrà esserlo a raggiungere il 4?

LA REAZIONE DEI MERCATI

E i mercati, come hanno reagito? D’acchito, con un aumento dei rendimenti ed un irripidimento della curva, cioè con aumento dei rendimenti maggiore sulle scadenze lunghe rispetto a quelle più vicine. Il che ha senso, visto che è una reazione all’aumento, ceteris paribus, delle aspettative inflazionistiche. Ma vedremo nei prossimi giorni e settimane se tale effetto è destinato ad essere persistente.

DOMANDE E SCENARI

A me restano alcune domande senza risposta. Ad esempio, che accadrà se i mercati aumenteranno il premio al rischio inflazionistico, innalzando i rendimenti obbligazionari e causando restrizioni alle condizioni finanziarie e creditizie, e appesantendo il servizio del debito per moltissime aziende? La Fed deciderà di intervenire e reprimere questo fenomeno, magari annunciando una strategia di controllo della curva dei rendimenti (YCC, Yield Curve Control), che inchioda i rendimenti su una scadenza, tipicamente la decennale, accada quel che accada? Ma in quel caso non rischieremmo il disordine monetario, con tassi reali sempre più negativi ed investitori che improvvisamente decidono di liberarsi di tutte le obbligazioni di cui sono in possesso?

Non è uno scenario da fantascienza: se oggi non c’è inflazione, ciò non significa che la medesima sia morta. Ci sono ovviamente all’opera forze strutturalmente disinflazionistiche (come invecchiamento della popolazione e nuove tecnologie), ed anche deflazionistiche, ad esempio il rischio dello scoppio della mega-bolla di debito creata nel mondo negli ultimi anni. Ma gli annunci di morte dell’inflazione sono grandemente esagerati, come avrebbe detto Mark Twain.

Andiamo quindi avanti lungo un sentiero stretto, con visibilità scarsa e dirupi a bordo strada. Per ora, possiamo ringraziare Powell per aver permesso alla realtà empirica di guidare il ripensamento strategico. Forse è il minimo sindacale, per la più potente banca centrale del pianeta, quella che un tempo plasmava la realtà empirica ed ora deve adeguarvisi. Da qui ad affermare che le banche centrali riescano a controllare l’inflazione ce ne corre molto, però.

(Estratto di un articolo pubblicato su Phastidio.net)

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