L’Europa secolarizzata ha vissuto le criptovalute come un gioco e una moda luccicante. Ha partecipato ai due grandi rialzi del 2017 e del 2021 (più al primo che al secondo) e ha guadagnato e perso soldi come si fa su un qualsiasi titolo speculativo. Niente di più.
L’America, al cui fondo permane un sostrato religioso incomprimibile, le ha vissute come un’utopia. Le utopie hanno però una vocazione alla distopia perché il sogno, spesso, si trasforma in incubo. La bancarotta dell’ecosistema FTX, divenuto rapidamente il protagonista più brillante del mondo fintech e ora in caduta libera in un buco nero di cui ancora non conosciamo le dimensioni, è il risveglio amarissimo dal sogno. L’utopia delle criptovalute e dell’universo che si è creato intorno a loro origina da due filoni di pensiero distinti e paralleli. Il primo è il libertarismo di destra e di sinistra, il secondo, che ha animato in particolare FTX, è la filosofia dell’altruismo efficace.
Il libertarismo è antico come l’America e va da Jefferson e Jackson fino ad Ayn Rand. È ostilità verso uno stato esoso, intrusivo e prepotente che, con la crisi del 2008, diventa anche quasi incapace di garantire l’unica ragione che ne potrebbe giustificare l’esistenza, quella di garantire la sicurezza degli scambi e il rispetto dei contratti. Con il blockchain si trova finalmente (o si crede di trovare) un rimedio decentrato e autogestito a quel rischio di controparte che dal 2008 al 2010 ha congelato le tubazioni del sistema finanziario regolato dagli stati nazionali. Il Bitcoin, dal canto suo, diventa l’alternativa credibile al fiat money che dal 1971 ha sostituito l’oro e ha reso incerta e precaria la moneta come deposito di valore. Se nei paesi occidentali, si pensa, il Bitcoin difende dall’erosione dell’inflazione, nei paesi autoritari diventa protezione dai capricci del sovrano, dalle confische e dall’iperinflazione.
Il mondo fintech vede nascere imprese che si richiamano esplicitamente all’agorismo, la filosofia sociale proposta da Samuel Konkin negli anni Settanta che riprende von Mises e Rothbard e li declina a sinistra nella contro-economia, nel mercato nero e nella costruzione dal basso di legami economici e sociali rigorosamente ed esclusivamente volontari.
Su queste basi inizia la costruzione di un nuovo ecosistema finanziario, imponente e sempre più complesso, animato da profeti ma popolato anche da capitalisti di ventura, rocket scientists, avventurieri, banditi e hacker. Non è la toccata e fuga europea, è la costruzione di una nuova frontiera.
Nel 2017 entra in scena un piccolo gruppo di giovani laureati MIT, guidati da Sam Bankman-Fried, provenienti da famiglie di apprezzati accademici di MIT e Harvard. Si ispirano a un giovane filosofo che insegna etica a Oxford, William MacAskill, che a sua volta è partito dall’utilitarismo della preferenza di Peter Singer.
MacAskill, che fino alla settimana scorsa ha seduto nel consiglio d’amministrazione di FTX, teorizza l’altruismo efficiente, una forma radicale di consequenzialismo. L’altruismo tradizionale, dice, è uno spreco di risorse. Perché partire per l’Africa come cooperante e aiutare al massimo qualche decina di persone quando si può invece cercare un’attività che permetta di accumulare una montagna di soldi che, una volta donati a fondazioni benefiche, faranno il bene di migliaia di persone?
Come spesso accade quando si ritiene che un grande fine giustifichi qualsiasi mezzo, il gruppo di Bankman-Fried, dotato di notevole capitale intellettuale e di ottime relazioni con il mondo del venture capital, parte per la sua nobile missione scegliendo la strada più veloce per la ricchezza, quella che passa per il mondo non regolato delle criptovalute. Qui, come altri ma più di tutti gli altri, costruisce una ragnatela di attività profondamente incestuose che unisce in un unico ecosistema le funzioni di battitore di moneta, casa di intermediazione, banca e gestore di patrimoni (tutti investiti nella moneta creata dalla casa). Il tutto con alti livelli di leva e con trasferimenti continui di fondi di clienti (ignari) e di terzi da una scatola all’altra.
La crescita è vertiginosa. Bankman-Fried diventa un eroe popolare, ma è anche riverito dai media e dai politici. Alla fine il castello di carte crolla e lo tsunami rischia ora di travolgere anche altri grandi operatori del settore. Il danno è enorme.
Resterà in piedi il mondo delle criptovalute? Molto probabilmente sì. Le ragioni profonde che lo hanno fatto nascere e che abbiamo brevemente ricordato ci sono ancora. I disegni visionari di Bankman-Fried, che voleva costruire un sistema finanziario parallelo e completo rispetto a quello che tutti conosciamo, verranno raccolti da altri, che procederanno molto più lentamente ma andranno avanti. Il potere politico, per ora tenuto tranquillo dalle generose donazioni di FTX, metterà molti bastoni tra le ruote e nulla sarà più come prima, ma il progetto non si fermerà.
Buffett e Munger hanno la loro parte di ragione quando dicono che l’intera industria delle criptovalute è costruita sul nulla assoluto. Una delle valute più note e scambiate, il Dogecoin, è nata per scherzo e ha sempre dichiarato espressamente di essere un puro nulla. Ma d’altra parte alla fine del 2021 c’erano 36.5 milioni di americani investiti in criptovalute, mentre l’innovazione, nel settore, è infinitamente più veloce che nel mondo tradizionale.
Chi dall’Europa vorrà continuare (o iniziare) a seguire il settore farà probabilmente bene ad adottare un profilo molto prudente nei prossimi mesi tumultuosi. Andranno evitati gli strumenti che offrono rendimenti come fossero conti correnti, perché questi interessi verranno probabilmente da attività a leva o comunque rischiose. Meglio concentrarsi su strumenti semplici come il vecchio Bitcoin e fare la massima attenzione agli intermediari che si utilizzano.
Pur imponente, la crisi delle criptovalute non ha finora inciso molto sulle borse. Se il rialzo apparentemente inarrestabile seguito ai buoni dati sull’inflazione ha perso slancio non è per la vicenda di FTX, ma per l’energica azione di contenimento della Fed. Se il mercato si era già convinto che il tasso terminale sarebbe stato sotto il 5 per cento, Bullard, che ama parlare molto chiaro, ha detto che sarà sopra il 5. Il presidente della Fed di New York Williams, dal canto suo, ha spiegato che la Fed non può, in questo momento, fare troppe cose in una volta. Ora la priorità è l’inflazione, non la stabilità finanziaria (ovvero le banche e i mercati). Quello che si potrà fare sulla stabilità finanziaria non sarà quindi sui tassi, ma sulla prevenzione.
Tradotto, ci sembra di poter dire, significa attenta vigilanza sui rischi delle banche e, per quanto riguarda i mercati, impegno a evitare eccessi di volatilità.
Oggi le borse sono su livelli equilibrati. L’indice SP 500 è a 18-20 volte gli utili dell’anno prossimo (a seconda delle stime). Non si può dire che sia un livello basso considerando che i tassi resteranno vicini al 5 per cento. Non è però nemmeno un livello insostenibile se l’economia, pur rallentando dal passo ancora vivace di questo momento, eviterà, come è probabile, una recessione profonda.