Le bandiere non esistono più nel calcio di oggi. I grandi capitani che erano un simbolo come Francesco Totti o Javier Zanetti hanno appeso gli scarpini al chiodo e i campioni di adesso non hanno lo stesso carisma. Ma anche i presidenti dei club non sono più come quelli di una volta. Tranne rare eccezioni, si è estinta una categoria di mecenati che vivevano il calcio come una passione e non soltanto come un business. Erano quelli che riuscivano a portare in Italia autentici fuoriclasse come Maradona, Platini, Van Basten, Falcao e Ronaldo il fenomeno facendo diventare per tanti anni la serie A “il campionato più bello del mondo”. Uno dei maggiori protagonisti di quel periodo d’oro è stato Ernesto Pellegrini, presidente dell’Inter dal 1984 al 1995. E pochi giorni dopo la sua scomparsa, avvenuta il 31 maggio, viene d’istinto rileggere la sua autobiografia pubblicata nel 2016: “Una vita, un’impresa. Grazie all’Inter ho trovato il senso vero della fede” (Mondadori, 329 pagine).
Per dovere di obiettività va detto che Pellegrini, come tutti i mecenati del calcio dell’epoca, ha dato alla sua squadra forse anche più di quello che ha ricevuto. Ha acquistato grandi campioni del calibro di Rummenigge e Passarella e successivamente Matthaus, Brehme e Klinsmann. Spendere non sempre è bastato per vincere ma restano nella storia del club i successi ottenuti come lo scudetto dei record e le due coppe UEFA.
L’autobiografia di Pellegrini ripropone in maniera esemplare la regola fondamentale del football e di tutto lo sport: le vittorie vanno accolte con gioia e le sconfitte vanno accettate senza fare drammi imparando qualcosa soprattutto dai propri errori. Ma tutto questo non vale soltanto per il calcio. “Una vita, un’impresa” è il racconto di come alcuni valori siano essenziali anche nella quotidianità. Uno di questi è il lavoro.
Appena diplomato in ragioneria, Pellegrini inizia subito a lavorare in una famosa fabbrica di biciclette. Cinque anni dopo è già capocontabile. Fra le competenze che ha acquisito c’è quella di curare il buon funzionamento della ristorazione per i dipendenti e questo gli fa venire in mente di lasciare il posto fisso per tentare l’avventura imprenditoriale. Quasi scusandosi con il direttore generale Raffaele Palieri dà le dimissioni e fonda la propria azienda di ristorazione. Alle mense seguono i buoni pasto e, affrontando una sfida dopo l’altra, il gruppo Pellegrini arriva ad avere circa 9 mila dipendenti. I risultati ottenuti danno la misura del successo ma quei valori di solidarietà che dovrebbero essere propri anche dello sport suggeriscono altre iniziative e così nasce il ristorante dove che ha avuto meno fortuna può mangiare con un euro.
Che “Una vita, un’impresa” sia un libro da leggere non c’è dubbio. Il problema è che non è mai stato in commercio. Dopo averlo fatto stampare con la Mondadori, Ernesto Pellegrini firmò di suo pugno tutte le copie e le regalò. Stile ben diverso da quello di alcune persone che, subito dopo la sua morte, mettono in vendita la propria copia su internet chiedendo dai 60 ai 90 euro. Forse non sarebbe fuori luogo una ristampa a prezzi più accessibili.