Ha sollevato un supplemento di polemiche, rispetto a quelle ordinarie sulla manovra di bilancio, la presentazione di un emendamento estemporaneo – poi ritirato perché inammissibile in quel contesto – sull’obbligo di dichiarare, per iscritto in maniera irrevocabile e con sette giorni di anticipo, l’intenzione di aderire ad uno sciopero nei trasporti pubblici.
I sindacati – in questo caso con la medesima posizione – avevano criticato la proposta come limitativa del diritto di sciopero. La questione è indubbiamente delicata, anche se la legge n. 146 del 1990 è la prova provata che il legislatore, ai sensi dell’articolo 40 Cost., è abilitato a disciplinarne l’esercizio, specie nei settori in cui insieme al diritto di sciopero dei lavoratori addetti ai servizi essenziali vanno salvaguardati anche diritti fondamentali dei cittadini, come il diritto alla mobilità, all’informazione, alla salute, ecc.
A difesa dell’emendamento è intervenuto un giurista al di sopra di ogni sospetto – sempreché il riformismo non sia diventata una colpa – come Pietro Ichino, il quale, in una intervista a Il Foglio, ha dichiarato che l’emendamento presentato dal sen. Matteo Gelmetti (FdI) nella sostanza non era solo giusto giusto, ma in più rendeva esplicita una regola che potrebbe già desumersi dalla legge oggi vigente.
Per quanto concerne l’obiezione del Pd e della Cgil, nel corso della settimana di preavviso l’impresa potrebbe esercitare pressioni su chi ha aderito, per indurlo a cambiare idea, il giurista ha risposto: “Tutti sanno che questo costituirebbe un comportamento antisindacale grave, destinato a essere immediatamente e severamente sanzionato dal giudice a norma dell’articolo 28 dello Statuto”. A suo tempo fu proprio la Cgil a portare avanti questa battaglia, iniziata con patti d’autoregolamentazione, poi recepiti e perfezionati tramite l’intervento del legislatore. Basti pensare che la Polizia di Stato è oggi un corpo civile, in cui è consentito lo svolgimento dell’attività sindacale in un regime di un diffuso pluralismo. Ma a quei lavoratori – a proposito di sciopero virtuale – è inibito di scioperare per motivi tanto evidenti che non hanno bisogno di spiegazione.
A vigilare sull’applicazione delle leggi sull’esercizio dello sciopero nei servizi essenziali è istituita un’Authority che ha anche il potere di comminare sanzioni a carico di quanti violano le regole. L’esperienza sta a dimostrare, però, che le norme vigenti non sono in grado di affrontare e risolvere tanti delicati problemi aperti, in conseguenza della frantumazione della rappresentanza. Così, in varie occasioni, vi sono stati tentativi di implementare quella disciplina. Nella XVI legislatura il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi predispose un disegno di legge delega, approvato dal Consiglio dei ministri, con l’obiettivo di rendere più efficace un assetto normativo disposto nell’interesse dei cittadini. Poi capitava sovente che, in questi delicati settori, lo sciopero fosse revocato la sera precedente, senza che vi sia la possibilità di porre rimedio al danno. In sostanza, i lavoratori percepiscono comunque lo stipendio – per la disdetta all’ultimo minuto dell’agitazione o perché chiamati a garantire il traffico internazionale -, ma l’Italia piomba nel caos, con centinaia di voli annullati.
Come poneva rimedio a questi atti di pirateria, lesivi dei diritti dei cittadini, il ddl Sacconi? In primo luogo, lo sciopero doveva essere dichiarato dalle organizzazioni più rappresentative. Per proclamare un’astensione dal lavoro i sindacati minoritari erano tenuti a sottoporsi ad un referendum. Era previsto poi l’obbligo per i lavoratori di dichiarare l’intenzione di astenersi, o meno. Infine, l’eventuale revoca doveva avvenire con un congruo anticipo e non all’ultimo momento tranne che nel caso di stipula di un accordo sindacale. Si trattava di modifiche ragionevoli che, tra le altre cose, intervenivano a reprimere i blocchi stradali e ferroviari, effettuati spesso da minoranze sfuggite al controllo non solo del sindacalismo confederale, ma anche di quello più radicale e corporativo.
Nella XVII Legislatura l’ex ministro Sacconi, in qualità di presidente della Commissione Lavoro del Senato, presentò un disegno di legge a sua prima firma che prevedeva parecchie misure di revisione:
- la proclamazione dello sciopero da parte di organizzazioni sindacali complessivamente dotate di un determinato grado di rappresentatività;
- l’obbligo della dichiarazione preventiva di adesione allo sciopero da parte del singolo lavoratore, almeno con riferimento a servizi o attività di particolare rilevanza nell’ambito dei trasporti;
- il ricorso all’istituto dello sciopero virtuale, inteso come manifestazione di protesta con garanzia dello svolgimento della prestazione lavorativa, istituto che poteva essere reso obbligatorio per determinate categorie professionali che erogano servizi strumentali o complementari nell’ambito del settore dei trasporti (si pensi ai controllori di volo);
- l’adozione di adeguate procedure per un congruo anticipo della revoca dello sciopero al fine di eliminare i danni causati dal cosiddetto «effetto annuncio», con la revoca all’ultimo momento;
- una più efficiente disciplina delle procedure di raffreddamento e conciliazione attenta alle specificità dei singoli settori;
- una disciplina del fermo dei servizi di autotrasporto con specifico riferimento alle prestazioni essenziali da garantire e la durata massima della astensione.
Inoltre, era prevista l’attribuzione di specifiche competenze e funzioni di natura arbitrale e conciliativa, anche obbligatorie, alla Commissione per le relazioni di lavoro che avrebbe assorbito le funzioni della Commissione di garanzia. Il potenziamento del coinvolgimento delle associazioni degli utenti e della corretta informazione all’utenza dei servizi essenziali, anche attraverso le televisioni e gli organi di stampa. Infine, la possibilità di verificare l’incidenza e l’effettivo grado di partecipazione agli scioperi anche allo scopo di fornire al Governo, alle parti sociali e agli utenti dei servizi pubblici essenziali, un periodico monitoraggio sull’andamento dei conflitti, sul loro reale impatto sui servizi essenziali e, in questa prospettiva, sulla rappresentatività degli attori sociali, tale da garantire trasparenza e simmetria informativa nelle relazioni industriali.
Come si vede, non c’è mai nulla da inventare che non sia mai stato immaginato, anche tenendo conto di buone pratiche europee e internazionali. Ma sappiamo bene che cosa sta in mezzo tra il dire e il fare. E infatti siamo ancora lì a rammendare le solite vecchie calze.



