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Pensioni

Pensioni, ecco i veri effetti di quota 100

L'analisi dell'editorialista Giuliano Cazzola

In un rapporto dell’Osservatorio della spesa pubblica e delle entrate a cura di Itinerari previdenziali (il contributo al dibattito e all’approfondimento dei problemi fornito dal Centro studi di Alberto Brambilla è sempre interessante e importante) vengono espresse severe critiche a proposito del Capo II del decreto legge n.4 di quest’anno sul quale sventola, insieme con il vessillo del reddito di cittadinanza, la bandiera di ‘’quota 100’’ (e dintorni). In particolare, con un pizzico di perfidia, il documento sostiene che: «La riforma messa in campo, secondo quanto annunciato, avrebbe dovuto “cancellare” o almeno “modificare” la legge Fornero, un proposito che purtroppo per i lavoratori e per il Paese, non si evince dal testo del Decreto Legge».

In sostanza, una bella beffa per quanti hanno costruito le proprie fortune elettorali demonizzando, con spudorate menzogne, la riforma del 2011 mediante attacchi violenti e volgari rivolti personalmente al ministro Elsa Fornero che a quelle norme aveva dato il nome. Ma la realtà è proprio quella descritta? Certo, il ‘’pacchetto Fornero’’ non è stato abrogato nel giro di mezz’ora durante il primo Consiglio dei ministri, le copie del testo non sono state date alle fiamme sotto la statua di Giordano Bruno. Certo, all’art. 24 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (detto “decreto salva Italia”) – convertito successivamente in legge 22 dicembre 2011 n. 214 – sono state apportate delle modifiche importanti, ma parziali, in particolare su alcuni istituti.

La caratteristica principale di tali modifiche si concretizza in una brusca frenata, seguita da una lunga pausa, degli effetti normativi e finanziari previsti nel 2011. Ciò che avverrà dopo è ancora da scrivere. In sostanza, tralasciando le misure minori, la (contro)riforma Durigon (‘’diamo a Cesare quel che è di Cesare’’, visto che Giggino Di Maio non avrebbe avuto la necessaria competenza) istituisce un canale sperimentale e temporaneo (2019-2021) di accesso alla pensione facendo valere ‘’quota 100’’ (62 anni di età + 38 di contributi, requisiti concorrenti e ambedue necessari).

Il canale ‘’ufficiale’’ per la pensione anticipata disposto dalla riforma Fornero a prescindere dall’età anagrafica, viene congelato fino al 2026 a livello dei requisiti richiesti nel 2018 (42 anni e 10 mesi per gli uomini un anno in meno per le donne). In sostanza, già da quest’anno non si applica l’adeguamento automatico all’attesa di vita. Tale ‘’sospensione’’ fino al 2026 è prevista anche per altri istituti (come i lavoratori precoci c.d. ‘’quarantunisti’’).

Ma tali modifiche, questi innesti velenosi in una pianta già debilitata, determineranno degli effetti perniciosi sul versante della maggiore spesa a fronte di un quadro di maggiori entrate invero modesto (la fonte più importante è data dai tagli di solidarietà sui trattamenti più elevati e sulla rivalutazione automatica delle pensioni. La Relazione tecnica fornisce dei dati inquietanti. Innanzi tutto sul maggior numero di pensioni. Solo per l’effetto di ‘’quota 100’’ è previsto, nel triennio della sperimentazione, un maggior numero di 973mila trattamenti (tav.1), per un costo di poco superiore a 20 miliardi che salgono a 22 miliardi con l’applicazione delle altre misure sancite nel decreto.

 

 

 

 

 

Proiettando la spesa complessiva (come saldo tra oneri e risparmi) di tutte le misure di carattere previdenziale lungo un decennio (2019-2028) le cose si aggravano fino a raggiungere (tav.2) una maggiore spesa cumulata di oltre 48 miliardi, che corrispondono a più della metà dei risparmi attribuiti nel primo decennio di applicazione alla riforma Fornero. Sono tre punti di Pil che il sistema caricherà sulle spalle dei futuri contribuenti. Ciò significa che sarà messa in discussione la sostenibilità garantita dall’intervento del 2011 e che sarà pregiudicato il ‘’rientro’’, nel medio periodo, al di sotto del 14% dell’incidenza della incidenza della spesa sul Pil (si veda la figura 1).

Figura 1 -Andamento della spesa sul Pil sulla base delle più recenti riforme pensionistiche

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 2014, Vittorio Conti, allora commissario dell’Inps, esponendo la relazione istituzionale, fece un’affermazione molto importante che ci aiuta a capire quanto succederà nei prossimi anni, nel corso dei quali verrà invertito – in conseguenza delle misure contenute nel decreto, un ciclo faticosamente virtuoso assicurato da un quarto di secolo di riforme. Nella sua relazione Conti commentò il trend della spesa pensionistica rispetto al Pil: ’’Partendo dal 14% circa prima della crisi, il dato attuale è al 16,3, sarebbe arrivato oltre il 18% senza le recenti riforme, grazie alle quali si arriverà al 13,9 nel 2060. Tra il 2010 ed il 2060 nell’area euro il rapporto peggiora di 2 punti percentuali (di 1,5 per la UE27), mentre per l’Italia migliora di 0,9’’. Tutto da riconsiderare e da riscrivere.

2. Effetti finanziari complessivi relativi a interventi normativi in materia previdenziale
Fonte: relazione tecnica

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