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Tutti gli effetti sul Pil della manovra ritoccata. Il commento di La Malfa

Il commento di Giorgio la Malfa, economista ed ex ministro delle Politiche comunitarie

 

Per non smarrirsi davanti ai numeri che rimbalzano fra Roma e Bruxelles bisogna andare alla sostanza. Che è questa: la giustificazione offerta due mesi fa dal governo per spiegare la decisione di fissare il deficit al 2,4 per cento fu che in questo modo si sarebbe data una forte spinta alla ripresa economica. Si disse in particolare che era necessario quel deficit per fare crescere il reddito nazionale nel 2019 dell’1,5 per cento invece del più misero 1 per cento che si sarebbe avuto senza la manovra.

Si aggiunse che questa era la vera svolta della Lega e dei 5 Stelle rispetto ai governi che li avevano preceduti, i quali, nel loro servilismo verso l’Europa, avevano sempre accettato che fosse Bruxelles a fissare il deficit ed avevano subito di conseguenza senza fiatare la crescita modesta del reddito che ne derivava.

Il presidente del Consiglio a Bruxelles ha offerto di portare il deficit dal 2,4 per cento di ottobre al 2 per cento e, per farlo ha prospettato tagli del deficit dell’ordine di 7 miliardi di euro. Lasciamo da parte la questione accennata da Moscovici se la Commissione giudicherà credibili le proposte del governo. Limitiamoci a due semplici considerazioni.

La prima è che mentre il governo preparava il bilancio era noto che la Commissione europea considerava un deficit dell’1,9-2 per cento una cifra sostanzialmente accettabile. E dunque, se oggi il governo torna lì, tanto valeva farlo subito evitando nel frattempo la crescita dello spread e due declassamenti da parte delle agenzie di rating.

La seconda, ancora più rilevante, chiama in causa politicamente governo e maggioranza. Se il 2,4 per cento di deficit era considerato indispensabile per avere una crescita dell’1,5 per cento del reddito nazionale nel 2019, nel momento in cui il deficit si riduce di circa 7 miliardi di euro, il reddito nazionale subirà un contraccolpo. Anche immaginando un effetto moltiplicativo molto basso, mezzo punto in meno di deficit dovrebbe comportare almeno una riduzione di altrettanto del reddito nazionale. Dall’1,5 la crescita scenderà all’1 per cento, e forse peggio.

Cioè il governo ha accettato, senza dirlo agli italiani, di rinunciare alle sue ambizioni di stimolare la crescita con una propria politica economica. Poteva invece, anche accettando di scendere con il deficit, seguire un’altra strada: togliere spese che hanno scarsi effetti espansivi e mettere al loro posto spese più efficaci: cioè rinunciare a spese correnti e aggiungere spese di investimento.

Se non lo fa, potrà dire di avere difeso i propri programmi elettorali – che sono fatti di spese correnti – ma avrà sulle spalle la responsabilità della fase di sostanziale recessione economica in cui il suo accordo con Bruxelles porta il paese.

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