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Che cosa succederà alle economie di Usa, Ue, Giappone e non solo

Quali sono le prospettive economiche di Usa, Ue, Giappone e non solo. Il punto di Jared Franz, economista di Capital Group.

All’inizio del 2025, la forza economica degli Stati Uniti rimane al centro dell’attenzione trainando la crescita globale. Alcune aree geografiche come l’Europa e la Cina si trovano ad affrontare continui ostacoli alla crescita, oltre a potenziali dazi e alla solidità del dollaro. Di seguito, approfondiamo i temi principali che stiamo monitorando quest’anno e le potenziali lacune delle opinioni di consensus.

La crescita degli Stati Uniti riaccelera nonostante l’aumento dell’inflazione e dei tassi

La nostra prospettiva sulla crescita degli Stati Uniti è generalmente più ottimistica rispetto al consensus, in quanto prevediamo un’inflazione e tassi più elevati. Il consensus sulla crescita del PIL reale per il 2025 indica un rallentamento a un ritmo moderato ma ancora positivo, mentre noi prevediamo una nuova accelerazione, prospettando un tasso di crescita del 2,7% per il 2025 e tra il 2% e il 2,5% per il 2026. I fattori trainanti della crescita si confermano la forte produttività negli Stati Uniti, la spesa al consumo e gli investimenti delle imprese.

Abbiamo evidenziato i rischi della prosecuzione dei progressi sull’inflazione. Prevediamo un’inflazione core riferita alla spesa per consumi personali compresa tra il 2,5% e il 3,0% nel 2025 e nel 2026, con il rischio che i fattori politici tendano a spingerla al rialzo piuttosto che abbassarla. La resilienza dell’economia statunitense, anche a fronte di un aumento dei tassi di interesse, è stata una delle migliori sorprese degli ultimi anni, e questa solidità potrebbe ostacolare ulteriori progressi in materia di inflazione.

Non è ancora chiaro come la Fed intenda rispondere ai dazi; potrebbe ignorare l’inflazione che ne scaturirà e astenersi dall’aumentare i tassi, oppure potrebbe tagliare i tassi se i dazi dovessero indebolire significativamente l’attività economica. Per il momento, ci aspettiamo che il tasso sui Fed Fund si assesti su un limite inferiore non molto al di sotto del livello attuale.

L’Europa richiede cautela a fronte delle sfide legate alla crescita

Il consensus di mercato per l’Europa nel 2025 è improntato alla cautela, con aspettative di una modesta ripresa della crescita dopo i livelli contenuti registrati nel 2023 e nel 2024, una graduale riduzione dell’inflazione verso un livello vicino o inferiore all’obiettivo del 2% delle banche centrali e un calo dei tassi di riferimento di 100 punti base (pb) sia nell’Eurozona che nel Regno Unito. Si teme che l’aumento dei dazi statunitensi possa compromettere la crescita economica europea.

Per quanto riguarda l’inflazione, le aspettative di consensus prevedono un indebolimento dei mercati del lavoro e una politica fiscale più restrittiva per abbassare l’inflazione dei servizi. Siamo più cauti sul potenziale calo dell’inflazione. Potrebbe volerci più tempo, infatti, affinché l’inflazione torni al target del 2% delle banche centrali.

Nonostante i segnali più chiari di un indebolimento del mercato del lavoro, mancano ancora forti evidenze di un ritorno della crescita dei salari a livelli coerenti con un’inflazione al 2%. L’inversione nella disinflazione dei beni core – forse incentivata dall’aumento dei dazi – potrebbe determinare uno stallo nei progressi sull’inflazione o addirittura un cambio di rotta.

Le banche centrali europee avranno l’arduo compito di valutare una crescita stagnante a fronte di un’inflazione più vischiosa. Riteniamo che probabilmente si concentreranno sulla debolezza della crescita per giustificare i tagli dei tassi di inizio 2025, sebbene i timori relativi all’inflazione limiteranno la portata dell’allentamento nel corso dell’anno.

In Giappone potrebbero aumentare i tassi, ma il quadro a lungo termine resta intatto

L’opinione di consensus sul Giappone prevede una moderata reflazione nel 2025 a fronte di aumenti dei salari reali, una certa ripresa della domanda interna e un’inflazione in leggero rallentamento verso livelli vicini o leggermente inferiori al target del 2,0% della Bank of Japan.

Siamo più ottimisti sul lungo termine e potremmo prevedere uno scenario in cui i tassi salgono all’1,5% nel 2026. Una crescita più sostenuta negli Stati Uniti o una crescita in Europa potrebbero sostenere la crescita giapponese e spingere l’andamento dei tassi ulteriormente al rialzo.

La crescita dei salari negoziati ed effettivi potrebbe sorprendere al rialzo data la persistente carenza di manodopera in Giappone e visti alcuni annunci aziendali, il che sarebbe positivo per le famiglie. L’aumento della soglia di reddito familiare esente da imposte verrà probabilmente approvato e il suo impatto potrebbe superare la stima di incremento del PIL pari a 0,4 punti percentuali, trattandosi di un taglio fiscale permanente.

Nonostante le prospettive più positive per il Giappone, gli investitori hanno anche espresso preoccupazione per le potenziali sorprese negative in materia di crescita, in particolare negli Stati Uniti o in Cina, soprattutto se verrà imposto l’aumento dei dazi statunitensi al 60% nei confronti della Cina e al 10% per il resto del mondo, con un impatto negativo sulle esportazioni giapponesi.

Il Canada si appresta a proseguire il taglio dei tassi

Anche se le dimissioni del Primo Ministro Justin Trudeau hanno impresso una spinta temporanea al sentiment dei mercati nella speranza di un potenziale miglioramento economico e politico, a nostro parere l’incertezza permane. A nostro avviso, la Bank of Canada sarà riluttante ad allentare ulteriormente la politica monetaria dopo il prossimo taglio o due, ma si troverà a non avere scelta vista la debolezza del contesto macroeconomico.

I consumi privati sono stati deboli e gli investimenti contenuti, per cui gli investitori si aspettano una crescita pari a circa il 2% nel 2025. A nostro parere, i rischi principali legati a questa previsione sono un ipotetico rallentamento dell’immigrazione che potrebbe determinare una sensibile contrazione del mercato del lavoro, un cambiamento importante nell’agenda politica interna o un’inaspettata ripresa della crescita globale.

Le economie dei mercati emergenti potrebbero essere messe a dura prova dai dazi doganali

I mercati emergenti sono tutt’altro che un monolite, con variazioni significative tra regioni, traiettorie politiche e opportunità di mercato nei diversi Paesi. In America Latina la crescita dovrebbe essere contenuta e i rischi orientati al ribasso. Di recente l’attenzione del mercato si è concentrata sul Brasile, dove i timori sul fronte fiscale hanno esercitato pressioni sulle obbligazioni e sulla valuta del Paese. In Messico le recenti riforme costituzionali e un’agenda fiscale ancora inesplorata hanno tenuto gli investitori sulle spine.

Ciononostante, si percepisce un certo entusiasmo riguardo alle prospettive delle aziende statunitensi di trasferire impianti manifatturieri e altri stabilimenti produttivi più vicino ai confini nazionali, in Paesi come il Messico. Nel complesso il contesto internazionale potrebbe diventare rapidamente impegnativo se i dazi dovessero aumentare bruscamente e se gli Stati Uniti dovessero esercitare pressioni affinché il Messico modifichi le sue relazioni commerciali con la Cina. Questa dinamica metterebbe sotto pressione le valute dell’America Latina, ponendo le banche centrali in una situazione familiare ma difficile, in cui devono scegliere tra stabilizzare la valuta e sostenere la crescita.

Dall’altra parte del mondo, l’impatto dei dazi statunitensi domina le prospettive di consensus dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Association of Southeast Asian Nations, ASEAN). Le difficoltà negli scambi commerciali potrebbero penalizzare la regione determinando una crescita rallentata, disinflazione, ulteriori tagli dei tassi e un indebolimento dei tassi di cambio.

Inoltre, i mercati ASEAN tendono a registrare una performance negativa durante le fasi di solidità del dollaro USA. Siamo più ottimisti del consensus sulla Malesia, che potrebbe essere ben posizionata per beneficiare degli effetti secondari dei dazi annunciati da Trump.

In conclusione

Le prospettive economiche globali per il 2025 restano segnate da interrogativi sull’impatto delle nuove politiche economiche sulla performance degli Stati Uniti e sull’effetto a catena delle decisioni politiche statunitensi sul resto del mondo. Come evidenziato dalle nostre ricerche, destreggiarsi in questo contesto richiederà un’attenzione costante sia ai segnali di consensus che a quelli contrarian.

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