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Ecco le nuove tendenze nei mercati finanziari

Come cambieranno le strategie di investimento sulla base delle nuove dinamiche geopolitiche, economiche e finanziarie. L’intervento di Alberto Franceschini Weiss.

In uno di quei convegni di fine stagione — dove si parla un po’ di tutto e un po’ con tutti — ho avuto l’occasione di confrontarmi con alcuni gestori di fondi e analisti dei mercati internazionali. Il contesto, più informale del solito, si è rivelato fertile per riflessioni più profonde. A sei mesi dalla rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca, cominciano ad emergere alcuni segnali chiari — al di là delle sue dichiarazioni spesso imprevedibili e delle sue piroette comunicative da cardiopalmo. Quando la polvere si deposita e il fumo si dirada, ciò che resta sul campo sono temi geopolitici solidamente intrecciati con quelli finanziari. E da lì occorre partire.

1. Il ritorno del rischio di conflitto

Il primo punto emerso è la crescente instabilità geopolitica. Con il disimpegno degli Stati Uniti dal ruolo di “gendarme globale”, si è aperto un vuoto che rischia di essere riempito da dinamiche meno prevedibili e più aggressive. Ucraina, Medio Oriente, Mar Cinese Meridionale: le tensioni si moltiplicano e diventano sempre più sistemiche. Siamo forse davvero alla fine del “Secolo Americano” e Trump, per quanto divisivo, ha colto un punto centrale: gli Stati Uniti non possono più permettersi di sostenere da soli il peso dell’ordine mondiale.

Facendo un paragone con l’ordine pubblico cittadino, quando la polizia arretra, i cittadini si attrezzano — dallo spray al peperoncino fino all’arma da fuoco. Lo stesso sta accadendo su scala globale: i governi nazionali stanno aumentando in modo significativo le spese in difesa, e questa tendenza si riflette anche nelle scelte degli investitori istituzionali. Si osserva un progressivo ribilanciamento dei portafogli: si esce dai settori “ESG compliant” (spesso penalizzati da rendimenti modesti e vincoli normativi considerati “fuori contesto”) e si entra nel comparto “defence-tech”, dove le prospettive di crescita si sono improvvisamente accese.

2. USA-Cina: da simbiosi a competizione strategica

Il secondo grande tema è il deterioramento del rapporto tra Stati Uniti e Cina. Trump accusa Pechino di aver approfittato di Washington per conquistare la leadership manifatturiera globale. Ma la realtà è più articolata: fino all’inizio del XXI secolo, le due economie si muovevano in simbiosi. Dal 2010 in poi, la Cina — grazie a costi del lavoro competitivi, una cultura impregnata di pragmatismo confuciano e una mole enorme di investimenti pubblici in ricerca e sviluppo — ha accelerato, diventando concorrente diretta degli USA.

Sarà la prossima potenza egemone? Probabilmente no. La mentalità cinese è più economica che geopolitica e deve fare i conti con la concorrenza emergente di India, Corea, Vietnam. Ma una cosa è certa: il baricentro della crescita mondiale si sta spostando verso l’Asia, e in particolare il Sud-Est asiatico, dove si concentra la nuova classe media globale. Gli investimenti strategici dovranno dunque privilegiare le aziende in grado di espandersi in quei mercati e intercettarne i bisogni emergenti.

3. Mercato obbligazionario: la vera minaccia sistemica

Il terzo punto, e forse il più sottovalutato dai non addetti ai lavori, è la crisi strisciante in corso sul mercato obbligazionario. L’economia globale si regge su due pilastri: il commercio e la finanza. E la finanza, a sua volta, ha come fondamento il mercato dei bond. Come ripete spesso un collega amico londinese: in bonds there is truth.

Le crescenti tensioni geopolitiche stanno rallentando il commercio e comprimendo la redditività delle aziende in generale, e con conseguenze negative anche sulle finanze pubbliche. In aprile, negli Stati Uniti, si è messo in dubbio per la prima volta in modo sistemico il modello basato su deficit elevati finanziati a colpi di emissioni obbligazionarie da parte di un paese ancora considerato sostanzialmente a rischio zero. Persino la centralità del dollaro come valuta rifugio oggi appare meno scontata. Ne è scaturito un deflusso rilevante dai mercati USA — sia azionari sia obbligazionari — con l’effetto combinato di un rialzo dei rendimenti dei T-Bond e un indebolimento del dollaro.

Il risultato? I grandi investitori istituzionali stanno rivedendo i portafogli, riducendo l’esposizione verso gli Stati Uniti. Va ricordato che oltre il 40% dei portafogli dei grandi fondi è investito in obbligazioni, di cui due terzi in titoli governativi. E poiché il risparmio obbligazionario ha “il cuore di coniglio e le gambe da lepre”, la reazione al rischio è rapida e amplificata. Alla base della crisi del mercato dei bond ci sono due fattori chiave: la paura del conflitto e l’incertezza sulla leadership economica globale, in un contesto di crescente sfiducia verso la classe politica e gli economisti – non proprio eccelsi – di cui si è circondata (basti pensare a figure come Navarro).

E se il mercato obbligazionario cala — anche solo moderatamente — gli effetti a catena saranno pesanti.

Oltre gli USA: dove guardare per cogliere le opportunità

Eppure, non tutto è fosco. Le vere opportunità potrebbero trovarsi proprio fuori dagli Stati Uniti. Le economie più dinamiche, innovative e aperte ai flussi di capitale stanno altrove. L’America sembra avviarsi verso la fine della sua supremazia globale.

L’Europa, se riuscirà a superare le proprie divisioni e a presentarsi sui mercati come attore unico — con regole condivise, un mercato unico dei capitali e sistemi armonizzati di quotazione — potrebbe vivere una stagione di rilancio robusto. Oggi l’Europa, se unita, potrebbe approfittare in modo straordinario di questa finestra temporale e mettere a profitto per la propria crescita futura la grande quantità di risparmio che genera e che ancora continua a defluire copiosamente verso altri continenti.

Ma è l’Asia, ça va sans dire, ad avere la strada spianata: crescita demografica, sviluppo industriale, innovazione tecnologica e l’emergere di una nuova classe media la rendono l’area più promettente del secolo in corso.

Conclusione

Alla luce di queste dinamiche — geopolitiche, economiche, finanziarie — riorientare le proprie strategie di investimento sembrerebbe semplice: più Europa e più Asia, più azioni e meno obbligazioni. Ma, come sempre, tra il dire e il fare in mezzo c’è… il mercato.

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