Se non si può tagliare del tutto il commercio con la Russia, almeno lo si tassi con un prelievo speciale al 5%. È la proposta discussa alla tavola rotonda organizzata a Bruxelles dal think tank lituano Centenary Policy Institute e alla quale hanno preso parte rappresentanti delle varie agenzie dell’Ue tra cui il Servizio Azione Esterna, la Direzione Generale per il Vicinato e l’Allargamento e l’Unità Sanzioni. Ecco di cosa si è discusso a porte chiuse nella capitale belga per, come recita il documento finale, “trovare nuove misure per impedire alle aziende occidentali di finanziare lo sforzo bellico di Putin”.
Tassare il business con la Russia.
Il Centenary Institute è stato fondato a Vilnius nel 2018 – quattro anni dopo l’invasione russa della Crimea e altrettanti anni prima di quella dell’intera Ucraina – con l’esplicito intento di formulare proposte per “affrontare la minaccia emergente posta alle democrazie occidentali dalle azioni ostili di Russia e Cina”.
Ed è stato proprio il suo fondatore e direttore Paulius Kunčinas, economista lituano molto attivo a Bruxelles, a scandire la discussione promossa dal suo Istituto e da lui stesso moderata con un working paper dal titolo eloquente “Tassare il business con la Russia per ricostruire l’Ucraina”.
“L’Ue – è l’incipit – può avere imposto un prezzo alla guerra di aggressione della Russia con 13 pacchetti di sanzioni, ma non è ancora riuscita ad impedire alle aziende occidentali di finanziare la macchina bellica russa”.
Una “tassa sul peccato”.
Se questa è la premessa, le conclusioni sono immediate: “il minimo che l’Ue dovrebbe considerare è imporre una flat tax del 5% su tutti i 51 miliardi di euro di commercio con la Russia che continua tutt’oggi”.
Un prelievo, chiarisce il direttore, che avrà un impiego nella ricostruzione dell’Ucraina attraverso l’immediata, e non posticipata al dopoguerra, “attivazione di un fondo ad hoc”.
Se questo è l’obiettivo, il passaggio intermedio è l’introduzione di una “mandatory disclosure” di tutti gli affari che le aziende occidentali quotate nelle borse del G7 e della Turchia fanno con Mosca nonché delle tasse pagate in Russia.
Kunčinas riconosce che tutto ciò equivale a imporre una sorta di “tassa sul peccato”, come la chiama lui, precisando che “l’alternativa sarebbe non fare niente” e accettare che qualcuno tra noi continui a foraggiare i disegni geopolitici del Cremlino.
Un gettito tra 5 e 10 miliardi.
A illustrare più nel dettaglio la proposta durante la tavola rotonda è stato il cofondatore dell’Ukraine Breakthrough Fund Roman Sulzhyk, che ha anche rivelato di averla già trasmessa alla SEC, l’Autorità borsistica Usa.
Secondo Sulzhyk ogni compagnia occidentale che fa ancora affari con la Russia dovrebbe obbligatoriamente rivelare ai suoi investitori, nell’ordine, “l’ammontare delle tasse pagate in Russia; il commercio effettuato con la Russia; gli addetti in Russia; gli asset, e il relativo valore, presenti in Russia”.
Quanto alla filosofia dell’intervento Sulzhyk la sintetizza così: “è impossibile tagliare completamente il commercio con la Russia. Ma almeno tassiamolo”.
In questo modo, è il suo calcolo basato sui 200 miliardi di euro circa di interscambio che ancora sussiste tra i Paesi G7 e la Russia, “potremmo almeno ricavare tra i 5 e i 10 miliardi di euro all’anno”.
L’opinione dell’ex Segretario Generale dell’Europarlamento.
Il dibattito è stato arricchito dall’intervento di una personalità che, pur precisando di “non poter parlare a nome del Parlamento europeo”, ne è stato Segretario Generale per ben 14 anni.
Klaus Welle conosce talmente bene quel palazzo da poter “assicurare che qualsiasi misura aggiuntiva che possa essere adottata per sostenere l’Ucraina e creare deterrenza nei confronti della Russia sarà senza dubbio appoggiata dal Parlamento europeo con un’ampia maggioranza”.
Welle quantifica addirittura ottimisticamente tra l’80 e il 90% la quota degli europarlamentari in carica – che però, come sappiamo, sono a fine mandato – che voterebbe a favore di “misure aggiuntive” come quella discussa nella tavola rotonda a cui ha preso parte.