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Bce

Ecco come la Bce ha aiutato anche Francia, Germania e Olanda

Che cosa emerge dalle elaborazioni del Cer sulla Bce illustrate in audizione parlamentare da Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa Ricerche. La Grecia ma anche insospettabili come le “critiche” Olanda e Germania. Vladimiro Giacchè, presidente del Centro Europa Ricerche (Cer), ha presentato un’elaborazione per capire quali siano gli Stati che hanno guadagnato di più dalle…

La Grecia ma anche insospettabili come le “critiche” Olanda e Germania. Vladimiro Giacchè, presidente del Centro Europa Ricerche (Cer), ha presentato un’elaborazione per capire quali siano gli Stati che hanno guadagnato di più dalle politiche monetarie espansive della Banca centrale europea e ne ha parlato durante l’audizione in commissione Politiche comunitarie della Camera riguardo alla partecipazione dell’Italia al programma Ue 2020.

Nel suo intervento ha ricordato pure come Francoforte, a seguito dell’emergenza sanitaria e della crisi economica causata dal Covid-19, sia stata “meno tempestiva nei suoi interventi” che, anche da un punto di vista quantitativo, all’inizio sono stati “meno significativi” di quelli attuati dalla Federal Reserve. C’è però da considerare che il dibattito sui pro e sui contro delle politiche monetarie espansive, sia convenzionali (riduzione dei tassi d’interesse) sia non convenzionali (acquisto titoli), è “da sempre particolarmente vivace proprio all’interno dell’Unione Europea”.

LE CRITICHE ALLE POLITICHE MONETARIE ESPANSIVE

Chi critica questo genere di politiche di solito evidenzia che si tratta di un trasferimento mascherato dal Nord al Sud dell’Unione Europea e di misure che apportano limitati benefici per quanto riguarda la crescita economica. Al contrario comportano un alto rischio di alimentare l’inflazione. Secondo Giacchè, però, alcune ricerche empiriche uscite di recente smentiscono entrambe queste obiezioni.

In particolare, per valutare a chi siano andati i maggiori benefici della politica monetaria espansiva di Francoforte, si può calcolare il risparmio sulla spesa per interessi passivi che i membri dell’Area euro hanno registrato. Il Cer ha dunque effettuato un’elaborazione (su dati Eurostat) misurando il tasso implicito pagato nel 2006 da ogni Stato (interessi passivi effettivamente pagati in rapporto al debito pubblico) e calcolando il pagamento di interessi passivi nel periodo 2007-20195 imponendo questo tasso fisso per tutto il periodo. In sostanza, la differenza tra quanto effettivamente pagato e quanto calcolato con il tasso fisso è il risparmio registrato nella spesa per interessi passivi.

In totale nell’eurozona il risparmio di spesa tra 2007 e 2019 è di 1.393 miliardi di euro. In valore assoluto, le cinque nazioni che hanno registrato il risparmio maggiore sono Germania (-406 miliardi), Francia (-353 miliardi), Italia (-197 miliardi), Spagna (-97) e Olanda (-91 miliardi).

Il Centro di ricerche rileva però come il valore assoluto del risparmio, sebbene fornisca una visione già indicativa della situazione delle diverse nazioni, “può non essere l’indicatore più preciso per considerare quale sia stata la nazione” che ha tratto maggiore beneficio dalla politica monetaria espansiva della Bce. Per questo motivo l’elaborazione del Cer si spinge fino a mostrare il risparmio della spesa per interessi in rapporto al Pil e al debito, così da fornire un quadro più completo mettendo in luce il risparmio da interessi in relazione alla dimensione delle economie e dei debiti pubblici.

RISPARMIO SPESA INTERESSI PASSIVI 2019 RISPETTO AL PIL 2019

In tal caso è la Grecia il Paese dell’eurozona che ha beneficiato di più dell’azione dell’Eurotower con un risparmio che supera il 4,5%, sebbene si trovi in una situazione particolare visto che è stata sottoposta a vari interventi di salvataggio, a ristrutturazioni del debito ed è soggetta a controlli rafforzati da parte delle istituzioni europee. Segue la Francia che nel 2019, in assenza della politica monetaria espansiva, avrebbe speso in più per il pagamento degli interessi passivi una somma pari al 2,4% del Pil. Un aggravio di spesa identico rispetto al Pil si sarebbe registrato anche in Belgio, mentre in Italia il risparmio di spesa per interessi è stato pari al 2,2% del Pil. Considerando le altre due grandi nazioni dell’Area euro, sia in Germania sia in Spagna il risparmio da spesa per interessi nel 2019 è calcolato pari all’1,6% del Pil. Agli ultimi gradini della classifica troviamo Malta, Lettonia e Slovacchia (poco meno dell’1%), Lituania (intorno allo 0,5%), Lussemburgo (circa 0,4%) ed Estonia (circa 0,3%).

RAPPORTO TRA RISPARMIO SU SPESA PER INTERESSI 2007-2019 E STOCK DEL DEBITO PUBBLICO

Se invece si guarda al rapporto tra il risparmio cumulato sulla spesa per interessi nel periodo 2007-2019 e lo stock del debito pubblico a fine 2019 si noterà che nella classifica a svettare è l’Estonia, in cui il risparmio da interessi passivi rispetto ad una situazione di tassi fermi al valore del 2006 è calcolato pari al 23,9% del debito pubblico. In seconda, terza e quarta posizione ci sono tre nazioni di solito “restie ad accettare politiche europee espansive” ovvero l’Olanda – che ha registrato un risparmio di interessi pari al 23,0% del debito -, la Germania – in cui il valore è pari al 19,8% -, l’Austria – in cui il rapporto è pari al 18,4% -. Prendendo in considerazione altre grandi economie dell’eurozona, in Francia il rapporto è stato pari al 14,9%, in Italia all’8,2% e in Spagna all’8,1%. In coda Portogallo (poco sotto il 5%) e Lituania (intorno al 3%).

Un altro dato interessante è quello inerente il livello dei tassi di interesse impliciti pagati dai principali Paesi. Nel 2006 la differenza tra i diversi Stati era “relativamente contenuta: in Olanda il tasso era pari al 4,4%, in Italia al 4,2%, in Germania e Spagna al 4,1% e in Francia al 4,0%. L’anno scorso questi valori erano scesi all’1,3% in Germania (-2,8 punti rispetto al 2006), all’1,5% in Francia (-2,5 punti rispetto al 2006), all’1,6% in Olanda (-2,8 punti rispetto al 2006) al 2,4% in Spagna (-1,7 punti rispetto al 2006) e al 2,5% in Italia (-1,7 punti rispetto al 2006). Da questi dati si evince chiaramente come “alcune delle nazioni usualmente più restie ad appoggiare politiche espansive da parte della Bce e delle altre istituzioni europee sono, in realtà, tra i Paesi che più hanno beneficiato nell’ultimo decennio dall’impostazione ultra espansiva della politica monetaria”.

LA RICERCA DELLA BUNDESBANK

Durante l’audizione il presidente del Cer ha pure ricordato una recente ricerca condotta dalla Bundesbank e relativa agli effetti delle politiche monetarie espansive di Francoforte, in particolare sul fronte dell’acquisto di titoli, sulla crescita economica e sull’inflazione.

La ricerca ha stimato gli effetti dell’acquisto titoli (Asset purchase programme) dal 2015 al 2018 sul Pil reale, i prezzi al consumo e il credito alle imprese non finanziarie nei quattro maggiori Paesi dell’eurozona (Germania, Francia, Italia e Spagna). Ne è emerso che ne sono risultati “effetti positivi” sulla crescita e sul credito alle imprese e che, come rilevato dagli autori, “gli effetti sull’inflazione sono generalmente più deboli di quelli sulla crescita del prodotto”, molto modesti dopo il secondo anno, con il minore aumento di inflazione registrato in Italia.

PERCHE’ E QUANTO SERVE OGGI UNA POLITICA MONETARIA ESPANSIVA

Dai numeri presentati ne emerge, a parere del presidente del Cer, l’importanza di politiche monetarie espansive nell’attuale fase “in cui le finanze pubbliche di tutti gli Stati dell’Unione Europea sono sottoposte a forti pressioni ed è quindi quanto mai opportuno sgombrare il campo da falsi problemi circa gli effetti delle politiche monetarie espansive”.

Si rivela dunque “essenziale” il contributo di Francoforte “alla riduzione degli oneri connessi al debito pubblico, tanto più che esso viene ora contratto non a seguito di politiche economiche sbagliate, bensì per evitare che un’emergenza derivante da un’esternalità gravissima e imprevista arrechi danni di lungo periodo, se non irreparabili, al tessuto produttivo”.

Peraltro, visto che stanno intervenendo le banche centrali di tutte le aree del mondo a sostegno delle rispettive economie, “il necessario sostegno della politica monetaria all’economia europea non può per definizione rappresentare una svalutazione competitiva occulta della propria moneta” secondo l’accusa che in passato è stata mossa alle politiche di Quantitative easing volute dall’allora presidente Mario Draghi. Secondo Giacchè “l’azione della Bce è oggi, e continuerà a essere per lungo tempo, il contributo più significativo a livello Ue ai fini della positiva risoluzione della crisi derivante dalla pandemia”.

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