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Ecco come Assicurazioni Generali farà guerra alle banche nel risparmio gestito

L'articolo di Roberta Castellarin e Paola Valentini

La messa a punto è stata lunga, laboriosa e si è svolta senza troppi clamori. Poi è arrivata la zampata, che sta lasciando il segno. La definitiva discesa in campo di Generali nell’arena dell’asset management non passa inosservata. Anche se la scelta di lanciare una politica di commissioni low cost e legate alla performance dei fondi è partita dagli Usa, gli effetti dirompenti arrivano direttamente sul mercato italiano e le ripercussioni si faranno sentire per molto tempo.

COME SI MUOVERA’ ASSICURAZIONI GENERALI NEL RISPARMIO GESTITO

Perché in Italia il colosso assicurativo è primo per masse con oltre 480 miliardi di euro di patrimonio. D’altra parte la strada che porta verso la riduzione delle commissioni pagate dai risparmiatori appare l’unica percorribile oggi perché i fondi passivi e a basso costo, inclusi gli Etf, stanno erodendo sempre più quote di mercato ai fondi attivi, i quali troppo spesso hanno deluso le promesse di rendimento. E l’atteso debutto dei fondi quotati a Piazza Affari del colosso Usa delle gestioni a basso costo, Vanguard, crea ulteriore pressione.

ECCO GLI OBIETTIVI DI GENERALI NELLA SFIDA AGLI ASSET MANAGER ITALIANI E INTERNAZIONALI

Questo è l’assunto che ha convinto Generali a lanciare la sfida ai blasonati asset manager italiani e internazionali, che fanno questo mestiere da anni. «Il totale delle masse gestite in tutto il mondo supera gli 84 mila miliardi di dollari, molti gestori attivi stanno sottoperformando e la gestione passiva è in crescita», afferma Carlo Trabattoni, a capo di Generali Investment Partners, il manager (ex top executive di Schroders) chiamato dal Leone di Trieste a guidare a livello operativo le boutique di gestione che il gruppo sta via via definendo, tra cui appunto Aperture Investors, la nuova società avviata nei giorni scorsi a New York.

CHE COSA FARA’ ASSICURAZIONI GENERALI NEGLI STATI UNITI

Un’iniziativa che prepara il debutto in grande stile di Generali nel risparmio gestito, che avverrà a breve. Il gruppo ha appena varato un importante riassetto che si basa su tre distinte società: Generali Investments Europe (Gie), Generali Investments Partners (Gip) sgr e Generali Investments Holding (Gih), tutte presiedute da Timothy Ryan, chief investment officer di Generali . Il ramo servizi, relativo al supporto alle attività di gestione del risparmio, è stato attribuito a Gih. Mentre il business della gestione dei fondi finora e il relativo patrimonio (in totale circa 40 fondi di casa e circa 60 fondi istituiti da terzi), finora sotto Gie, è andato a Gip sgr di cui ad è lo stesso Trabattoni. Gie invece ha cambiato nome in Generali Insurance Asset Management sgr per concentrarsi sui mandati assicurativi, restando sotto la guida di Santo Borsellino.

TUTTI I DETTAGLI SULL’EVOLUZIONE DI ASSICURAZIONI GENERALI

La scelta di Generali è stata quindi quella di separare lo storico business di gestione delle polizze, dall’attività di gestione patrimoniale che ha logiche più finanziarie, con la creazione su quest’ultimo fronte di un modello che si basa su società specializzate, create ad hoc o acquistate. E Aperture è appunto l’ultima arrivata. «L’asset management è un settore che da tempo attende un cambiamento. Al momento ci sono troppi gestori attivi che gestiscono troppo denaro. Le commissioni fisse e una mancanza di reali vincoli alla dimensioni dei fondi hanno per molto tempo incentivato i gestori a far crescere gli attivi in gestione piuttosto che cercare di ottenere una sovraperformance», dice Peter Kraus, presidente e ceo di Aperture Investors.

COME OPERERA’ ASSICURAZIONI GENERALI CON APERTURE INVESTORS

La società Usa, che lo stesso money manager ha creato insieme a Generali, è autorizzata operare anche in Europa, Italia inclusa (tramite la controllata inglese). La novità rivoluzionaria è che Aperture addebita commissioni di base contenute, come quelle degli Etf, che possono aumentare solo quando i gestori superano i benchmark di riferimento. In sostanza questi ricevono uno stipendio di base limitato e possono guadagnare di più solo se generano un rendimento superiore all’indice di mercato adottato. In questo caso la commissione prelevata sull’extra performance è del 30% e ai gestori va il 35% di questa quota, quindi il totale che può arrivare loro è il 10,5% del risultato superiore al benchmark.

CHI E’ KRAUS, IL NUMERO UNO DELLA SOCIETA’ DI GENERALI

È un modello opposto rispetto alla tradizionale struttura a commissioni fisse in cui i manager sono remunerati in base al volume di attivi gestiti. Dopo aver trascorso più di 20 anni nei livelli più alti nel settore dell’asset management (è stato presidente e ceo di Alliance Bernstein e global co-head della divisione Investment Management di Goldman Sachs) Kraus ha concluso che i gestori attivi hanno difficoltà a rimanere consapevoli dei limiti delle proprie capacità, in gran parte a causa del modo in cui vengono pagati. «I gestori che lavorano in base a modelli a commissione fissa sono molto più incentivati ad aumentare e mantenere il patrimonio di quanto non lo siano a conseguire una performance», dice Kraus, «i gestori attivi non dovrebbero poter guadagnare di più semplicemente gestendo più denaro. Dovrebbero generare una performance. Ma poiché le commissioni fisse assicurano che possano fare proprio questo, essi sono incentivati ad aumentare e mantenere il patrimonio in gestione, non a produrre performance superiori». Per anni questa situazione è andata avanti senza grossi scossoni. Ma con il boom dei prodotti passivi e degli Etf, molto economici e con rendimenti che finora hanno tenuto la rotta grazie a mercati sostenuti da una prolungata fase di politiche monetarie espansive, la politica di costi fissi viene messa in discussione.

LE PAROLE E L’AZIONE DI KRAUS

«L’aumento dei cosiddetti investimenti passivi e degli Etf legati a un indice è stato il cambiamento più significativo nel settore dell’asset management fino a oggi. Prima che i prodotti passivi diventassero ampiamente disponibili, i prodotti a gestione attiva erano l’unica opzione per la maggior parte degli investitori. I prodotti passivi offrono agli investitori un’esposizione al mercato, in gergo denominata beta, e nient’altro. I prodotti attivi si propongono di offrire agli investitori una possibilità di rendimento superiore al mercato, comunemente definiti alfa. Ma ora che entrambi sono presenti, la proposta di valore caratterizzante ciascuno è chiara: i fondi passivi offrono un rendimento che si avvicina al mercato e quelli attivi una possibilità di battere il mercato. Sfortunatamente, i gestori di strategie molto attive non battono frequentemente i rispettivi benchmark», sottolinea Kraus. Che cita due casi: «Negli ultimi 15 anni l’84% dei fondi azionari statunitensi domestici e il 98% dei fondi obbligazionari long investment grade hanno registrato una performance inferiore rispetto ai benchmark».

COME RISPONDERANNO LE SGR ALLA MOSSA DI ASSICURAZIONI GENERALI

Ma come rispondono le sgr attive in Italia alla nuova politica di commissioni della compagnia guidata dall’ad Philippe Donnet? Di recente soltanto Allianz Global Investors e Fidelity International hanno annunciato che applicheranno costi variabili in funzione delle performance. Lo scorso maggio Fidelity International aveva introdotto questa novità per cinque fondi azionari (è prevista una commissione base di gestione annua dello 0,7% che può aumentare fino a un massimo di 0,9% e diminuire fino allo 0,5% in funzione della performance rispetto a un indice di mercato predefinito in un periodo annualizzato di tre anni consecutivi, al netto di tutte le commissioni e spese). A seguire è arrivata Allianz Global Investors il cui ceo Andreas Utermann, ad agosto, aveva annunciato un nuovo schema che «prevede l’applicazione di una commissione di base bassa, paragonabile a quella di un prodotto passivo. I clienti pagano una commissione di performance attiva solo nel momento in cui si consegue una performance superiore. La gestione attiva deve anche dimostrarsi conveniente e applicare una struttura di costi innovativa e interessante per i clienti».

IL MERCATO DEL RISPARMIO GESTITO

Il mercato a questo punto si chiede come reagiranno gli altri protagonisti del risparmio gestito. Per ora i big non prendono posizioni sul tema costi. Come emerge dalle rilevazioni di Assogestioni, dopo Generali il maggior gruppo per masse nell’asset management in Italia è Eurizon Capital, guidata dall’ad Tommaso Corcos, che supera i 300 miliardi, segue Amundi con oltre 200 miliardi. Al quarto posto si piazza Anima con quasi 100 miliardi. E la società è una delle poche che interviene sul tema: «I costi dei fondi di investimento in Italia remunerano sia l’attività del gestore sia quella del consulente finanziario o intermediario. Un eventuale confronto con altri Paesi andrebbe quindi fatto tra le commissioni nette relative all’attività di gestione». Il fatto è che, rileva Anima , «nel nostro mercato la maggiore parte dei costi copre l’attività di consulenza del cliente. Nell’ambito degli investitori retail, questa è una attività essenziale, tanto più considerando il livello delle competenze finanziarie e il tempo che le famiglie italiane dedicano alla gestione dei propri risparmi molto ridotto. In ogni caso, riteniamo che, includendo anche la quota di commissione destinata all’attività di consulenza, i costi dei nostri fondi siano in linea con il mercato».

COME SI MUOVONO LE SGR

Questo avviene perché Anima «nell’ambito dello sviluppo dei nuovi prodotti effettua un’analisi di congruenza del costo complessivo di ogni prodotto rispetto ai rendimenti netti attesi per i sottoscrittori, verificando che non sia disallineato rispetto al mercato». Mentre da Parigi Bnp Paribas am commenta così l’evoluzione che sta avvenendo nel pricing del risparmio gestito: «I bisogni dei clienti stanno cambiando e la regolamentazione si sta muovendo ancora più velocemente, ma per quanto riguarda il pricing vediamo un’evoluzione più che una vera e propria rivoluzione. I gestori attivi che si rivolgono ai risparmiatori retail non hanno cambiato drasticamente la remunerazione: le commissioni di performance non sono molto diffuse e restano concentrate su alcune tipologie di prodotti (come hedge fund o absolute return). Mentre la situazione è diversa per i clienti istituzionali che iniziano a chiedere, anche se ancora in modo moderato, l’introduzione di performance fee. Noi come Bnp Paribas Am proponiamo soluzioni sofisticate per condividere la performance con i nostri clienti istituzionali».

DOSSIER MIFID II

Sul tema Mifid II da Bnp Paribas Am aggiungono: «Sicuramente la Mifid II ha avuto un impatto importante: alcuni canali distributivi non possono più ottenere retrocessioni e quindi abbiamo sviluppato quote nette (dalle retrocessioni). Di fatto per queste quote le commissioni di gestione sono due volte più basse di quelle previste dalle classi retail e poi i distributori chiedono una remunerazione della consulenza direttamente ai loro clienti». E concludono: «Il pricing medio dell’asset management non è cambiato in modo significativo, ma c’è una domanda crescente per prodotti indicizzati low cost».

 

(Estratto di un articolo pubblicato su Milano finanza)

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