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Energia

Dissesto Banca Marche: colpa di Bruxelles o di un governo succube?

Caso Banca Marche: il tribunale Ue respinge la richiesta di risarcimento danni e assolve la Commissione europea. L'analisi di Giuseppe Liturri

 

La storia dei controversi rapporti tra il nostro Paese e la Direzione Concorrenza della Commissione UE si arricchisce di un altro capitolo. Dopo Banca Tercas, mercoledì scorso è stata la volta di Banca Marche, una delle quattro banche i cui azionisti ed obbligazionisti subordinati caddero sotto la scure della risoluzione disposta dal governo guidato da Matteo Renzi, su proposta di Bankitalia, nel novembre 2015.

A pochi mesi dalla sentenza con cui la Commissione è stata bocciata per la seconda volta in due anni sulla vicenda Tercas, ieri per la Direzione guidata da Margrethe Vestager è arrivata la rivincita.

Davanti ai giudici del Tribunale della UE era in discussione la richiesta di risarcimento dei danni a carico della Commissione, presentata dalle fondazioni principali azioniste dell’istituto marchigiano. Ed il Tribunale non solo ha negato alcuna responsabilità della Commissione ma, per non farsi mancare nulla, ha attribuito la risoluzione della banca allo stato di dissesto, che è stato ritenuto causa determinante.

Insomma abbiamo fatto tutto noi, senza che dalla Commissione sia arrivato alcun rilevante condizionamento. In ogni caso, non risulta giuridicamente dimostrato che, in assenza del comportamento illecito della Commissione – che riteneva erroneamente che tale intervento fosse un aiuto di Stato – il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) sarebbe riuscito ugualmente a salvare la banca. Una prova diabolica che può essere concepita e richiesta solo nel mondo distopico di questa UE.

Va fatto notare che l’articolo 340 del TFUE – che disciplina la responsabilità extracontrattuale delle istituzioni della UE – lascia uno spazio piuttosto modesto per azioni di questo tipo. Bisogna infatti dimostrare che ci sia stata una violazione da parte della Commissione e che essa abbia causato un danno, secondo un rapporto causa-effetto sufficientemente diretto e determinante. Il tutto da provare a carico dei ricorrenti.

La lezione che se ne trae è che la Commissione può ritrovarsi talvolta a soccombere in alcuni giudizi (come Tercas) ma giammai deve essere chiamata a rispondere dei danni determinati dai suoi atti. È questa la sintesi della difesa a spada tratta operata dai giudici, ben consapevoli della crepa che avrebbero potuto aprire nel muro del diritto unionale, dando ragione ai soci della banca.

Una tesi che lascia davvero perplessi e che passa come un rullo compressore su quei convulsi 11 mesi tra dicembre 2014 ed ottobre/novembre 2015 in cui Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia dell’epoca, fu in costante contatto con gli uffici della Commissione per convincerli – o almeno osiamo sperare che ci abbia provato – ad applicare una prassi che, grazie all’intervento del FITD, aveva evitato che dissesti bancari producessero conseguenze ancora peggiori per il sistema.

È questo il punto dirimente: il governo dell’epoca fu sufficientemente fermo nel difendere gli interessi del nostro Paese? O fu colpevolmente acquiescente? O, ancora peggio, utilizzò la sponda degli “avvertimenti” della Commissione come avallo per adottare decisioni gradite alla burocrazia del Mef ed a Bankitalia?

Non è bastata una Commissione di inchiesta parlamentare per chiarire questi dubbi.

Secondo i giudici, la Commissione che, a mezzo di lettere ed avvertimenti informali avvertiva che l’intervento del FITD sarebbe stato valutato come aiuto di Stato, è immune da colpe. Si trattava di “prese di posizione provvisorie”. Peccato che per Padoan e per Bankitalia suonassero invece come “offerte da non rifiutare”, per dirla con le parole di Don Vito Corleone.

Di conseguenza, al FITD, che pure l’8 ottobre 2015, dopo aver concluso una due diligence sui conti della banca, aveva deliberato un aumento di capitale di 1,2 miliardi, fu impedito di condurre in porto il suo progetto. La Commissione, la cui tesi è stata accolta, chiese soltanto di notificare preventivamente il progetto di aumento di capitale, affinché potesse esprimere compiutamente il suo giudizio. Tesi davvero paradossale. Ma se non si verteva in materia di aiuti di Stato, che bisogno ci sarebbe stato di notificare alcunché? Questo i giudici non lo spiegano.

Anzi, sostengono che i ricorrenti non possono richiamare la posizione espressa su Tercas come prova che la Commissione avrebbe valutato allo stesso modo l’intervento del FITD in Banca Marche per la quale esisteva solo un progetto, e quindi la Commissione non poteva esprimersi e non poteva di conseguenza bloccare nulla. Con questa tesi il Tribunale mostra però un fianco scoperto: allora forse su Banca Tercas esistono i presupposti per un risarcimento del danno, visto che la Commissione è stata due volte perdente in giudizio per la decisione assunta sul caso della banca abruzzese? In questo caso a Bruxelles non potranno giustificarsi dicendo che non avevano chiari i contorni del progetto!

Peccato che proprio il Mef nel dicembre 2015, in una lunga nota avesse spiegato che, nonostante fosse già pronto il piano di ricapitalizzazione del FITD, era stata la posizione della Commissione – fermamente orientata a considerare l’intervento del FITD come aiuto di Stato – ad imporre il passaggio attraverso la risoluzione, rendendo vano il salvataggio già progettato. Fu la famosa lettera del 19 novembre, firmata dalla Vestager, a cristallizzare l’aut aut: volete far intervenire il FITD? Allora dovete passare dalla risoluzione con sacrificio di azionisti ed obbligazionisti subordinati. Invece il Tribunale UE sostiene che tale decisione fu “adottata nell’esercizio delle competenze e del margine di discrezionalità delle autorità italiane… e non fu influenzata in modo decisivo dall’atteggiamento della Commissione”.

Ma se fu il dissesto della banca ad imporre la risoluzione, come ritengono i giudici, allora perché fino a poche settimane prima tutti ritenevano che il progetto del FITD l’avrebbe risanata, senza sacrificio degli obbligazionisti, come peraltro risulta da una precisa deposizione del presidente del FITD, Salvatore Maccarone, davanti al tribunale di Ancona? Chi ha bloccato quel progetto (la Commissione), sulla base di una valutazione completamente infondata, come fa oggi a sostenere che quel dissesto sarebbe avvenuto comunque, quando era evidente che fino a poche settimane prima della risoluzione esso, grazie al FITD, non esisteva?

Sarebbe come sostenere che chi ha impedito di gettare un salvagente in mare, per di più facilitando l’annegamento, è privo di colpa perché chi chiedeva aiuto sarebbe annegato ugualmente. Con l’aggravante che, oltre a non aver gettato quel salvagente, il soccorritore potrebbe pure aver contribuito all’annegamento.

(Versione aggiornata e ampliata di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)

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