Che cosa pensa della bozza del Decreto Dignità messa a punto dal ministero del Lavoro retto da Luigi Di Maio il professore Michele Tiraboschi, docente di Diritto del lavoro all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia nonché direttore del Centro Studi internazionali e comparati DEAL (Diritto, Economia, Ambiente, Lavoro del Dipartimento di Economia Marco Biagi)
Professore, su Twitter ieri sera lei ha scritto: “Questo decreto (se dovesse uscire così, senza mediazioni) sarebbe un pugno nello stomaco per tutto il sistema delle imprese”. Perché?
Mi ha colpito la tecnica, a questo punto voluta dopo il precedente dei rider, di far circolare in anticipo i testi integrali dei decreti. Quasi a voler lanciare il sasso in avanti per poi mediare una formula di compromesso “migliorativa” in questo caso con la rappresentanza datoriale. Un messaggio del tipo: non lamentatevi troppo e anzi accontentatevi perché vi poteva anche andare molto peggio. Di certo, se quello fatto circolare dovesse essere il testo finale, sarebbe un attacco frontale alla impresa italiana, indifferentemente grande e piccola, manifattura e terziario.
Entriamo nel merito della bozza di decreto. Che cosa pensa delle modifiche alle clausole dei contratti a termine? Si agevola così l’assunzione a tempo indeterminato?
La storia del nostro Paese ci insegna che non è così che si incentiva l’assunzione a tempo indeterminato. Ad ogni stretta sul lavoro temporaneo si accompagna un’esplosione delle collaborazioni coordinate e continuative, delle esternalizzazioni e del lavoro in nero. In fondo comunque resta un nodo che il Jobs Act non ha risolto e cioè comprendere la profonda trasformazione del mercato del lavoro dove non ha più senso, tanto più dopo il superamento dell’articolo 18, la contrapposizione tra lavoro stabile e precario. Tutto il lavoro è fluido e le uniche protezioni sono nei sistemi di welfare e nella formazione delle persone. Attaccare le tutele ai contratti è una scelta perdente.
Peggio questo intervento o peggio il colpo allo staff leasing?
Lo staff leasing, cioè la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, è il classico capro espiatorio. Si contrasta il precariato eliminando la forma più garantita di lavoro (hai ben due datori di lavoro più specifici percorsi formativi e ammortizzatori sociali bilaterali) nel Paese dove dilagano caporali, appalti fittizi, pseudo cooperative. Sommando i due interventi (termine e somministrazione) si torna al quadro regolatorio di fine secolo, quello della legge Treu. Un ritorno al passato che non farà bene alle imprese ma anche e soprattutto a chi cerca un lavoro regolare e di qualità.
Con la norma per scoraggiare le delocalizzazioni non si rischia di castrare le decisioni di investimenti di aziende straniere in Italia?
Non mi pare un rischio, mi pare un dato di fatto. Con l’aggravante che questo provvedimento si somma ora a svantaggi competitivi storici del nostro Paese. Potrebbe essere la classica goccia che fa traboccare il vaso.
Perché? Sembra confermata nella bozza di decreto la stretta sull’iperammortamento fiscale di Industria 4.0. Che ne pensa?
Alcuni principi possono essere giusti in astratto. Chi riceve finanziamenti pubblici deve investire in Italia. Resta il fatto che l’applicazione sarà nelle mani di una burocrazia che applicherà in modo meccanico valutazioni che dovrebbero essere fatte caso per caso e con discrezionalità politica.
Si mira a evitare delocalizzazioni anche dentro la Ue. Bruxelles lo consentirà?
Certamente il decreto dovrà fare i conti col diritto comunitario della concorrenza. Un attacco comunque alla idea di un mercato comune e un errore storico in un contesto di globalizzazione che non si governa con divieti e regole ma ricostruendo le catene globali del valore rendendo competitivi e attrattivi i territori.