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Qual è la migliore risposta dell’Ue ai dazi di Trump?

Cosa può e deve fare l'Ue. L'approfondimento di Giuseppe Liturri.

Rappresaglia, ritorsione. Sono queste le avventate e sconnesse parole con cui una spaesata Ursula von der Leyen ha commentato da Samarcanda (un posto in cui si torna indietro nel tempo…) l’annuncio dei dazi da parte di Donald Trump mercoledì sera.

Invece il riequilibrio deciso dall’amministrazione Usa all’assetto del commercio mondiale, potrebbe rivelarsi una formidabile opportunità per cogliere finalmente le virtù (più decantate che effettive, almeno finora) del grande mercato unico da 450 milioni di consumatori. Dove però si preferisce esportare e vivere grazie ai consumi del resto del mondo, anziché avere consumatori con un reddito decente per sostenere la domanda interna.

Questi sono i fatti ultimamente sottolineati anche da Mario Draghi nel suo discorso a La Hulpe «…Abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e, combinando ciò con una politica fiscale prociclica, l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale…».

Concetto ribadito poi sul Financial Times solo poche settimane fa «… il FMI stima che le barriere interne dell’Europa equivalgano a una tariffa del 45 percento per la produzione e del 110 percento per i servizi. Queste riducono di fatto il mercato in cui operano le aziende europee: il commercio tra i paesi dell’UE è inferiore alla metà del livello di commercio tra gli Stati degli USA. E man mano che l’attività si sposta sempre di più verso i servizi, il loro peso complessivo sulla crescita peggiora…» e poi ancora «… questa incapacità di abbassare le barriere interne ha anche contribuito all’insolita apertura commerciale dell’Europa. Dal 1999, il commercio come quota del PIL è aumentato dal 31 al 55 percento nell’eurozona, mentre in Cina è aumentato dal 34 al 37 percento e negli Stati Uniti dal 23 al 25 percento. Questa apertura era un vantaggio in un mondo in via di globalizzazione. Ma ora è diventata una vulnerabilità…».

Quindi è stato proprio Draghi, prima di Trump, a dirci che l’eccessiva apertura al commercio internazionale è fonte di vulnerabilità. E ora Trump ci invita, con le sue decisioni, ad andare proprio in quella direzione. Ma ci sono due precondizioni: bisogna volerlo fare e bisogna essere attrezzati per farlo. E non sembra che, al momento, siano soddisfatte.

Allora dobbiamo farci raccontare che il Sole sorge a est e tramonta ad ovest da uno dei sempre autorevoli commentatori del Wall Street Journal, Joseph Sternberg che il 4 aprile ci ha invitato esattamente a fare questo. «L’unica buona mossa dell’Europa di fronte alle guerre commerciali del presidente Trump», stando alle sue parole.

Che qui riportiamo testualmente nei passaggi più salienti.

«L’Europa “ha molte carte in mano” in una potenziale disputa commerciale con Washington, ha affermato all’inizio della settimana la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Il problema per la signora von der Leyen e per i molti altri leader politici preoccupati del continente è che questo non è necessariamente vero

È la premessa iniziale a cui segue la dimostrazione che la cassetta tradizionale degli attrezzi della von der Leyen è desolatamente vuota. È infatti ormai arcinoto che qualsiasi decisione relativa a dazi e contromisure su merci e servizi Usa importati e consumati nella Ue avrebbe il solo effetto di aumentare i danni.

E né a Trump potrebbe importare granché se ci fossero maggiori importazioni di gas naturale liquefatto e attrezzature di difesa dagli Stati Uniti, oppure un allentamento dei tipi di regolamenti sulla sicurezza alimentare che da tempo hanno irritato gli esportatori americani e promesse di maggiori investimenti transfrontalieri.

Secondo Sternberg, «In questo contesto, i piani di ritorsione dell’Europa suonano come una minaccia di schiaffeggiare un’economia statunitense dopo che l’amministrazione Trump ha già sparato il colpo…».

Proseguendo poi con la constatazione che «se le barriere commerciali del signor Trump mettono a repentaglio la crescita economica europea, allora le tariffe di ritorsione peggiorano le cose.

Il punto è che «L’Europa ha bisogno di una nuova strategia e il piano migliore in assoluto è vivere bene, ovvero crescere economicamente. Se il mercato delle esportazioni americano non è più disponibile come una volta, ci sono enormi opportunità di espandere il mercato interno europeo. Negli ultimi anni gli europei hanno preso coscienza del divario sconvolgente che si è aperto tra produttività e redditi pro capite europei e statunitensi, con gli europei circa il 34% più poveri in media rispetto ai loro coetanei americani. Ciò implica che ci sono enormi opportunità per l’economia europea di slanciarsi verso una maggiore prosperità.».

Anche Sternberg torna sul rapporto Draghi rilevando che «una conclusione sorprendente del suo rapporto alla luce della guerra commerciale degli Stati Uniti è l’enfasi di Draghi sulla crescita economica interna piuttosto che su una strategia dipendente dalle esportazioni.».

Ove mai il concetto non fosse sufficientemente chiaro, Sternberg rincara la dose osservando che «Il risultato è che, mentre l’ambiente economico estero (non solo gli Stati Uniti ma anche la Cina) è stato raramente più ostile all’Europa negli ultimi decenni, le condizioni politiche interne sono state raramente più favorevoli a un riassetto economico. […] Gli elettori stanno diventando più consapevoli dei costi di politiche orribili come la disavventura climatica net-zero. Gli europei sembrano anche di nuovo favorevoli ai compromessi politici come le riforme del welfare necessarie per garantire una maggiore sicurezza strategica ed economica

Insomma certe scelte sarebbero anche politicamente praticabili.

Degna di nota la chiusura, perché Sternberg ha gli stessi dubbi che abbiamo noi sulla capacità della Ue di conseguire certi obiettivi e attuare il cambio di rotta richiesto. Soprattutto perché si tratta di un assetto istituzionale concepito e strutturato per conseguire obiettivi diametralmente opposti. È come voler utilizzare un coltello al posto della forchetta. In genere non funziona. E così la conclusione è che «…Speculare su questo roseo futuro non significa predire che accadrà. L’Europa ha perso molte opportunità di prosperità in passato. Piuttosto, significa osservare che se l’Europa vuole vendicarsi di Mr. Trump, far crescere la propria economia è la sua migliore e forse unica opzione di vendetta.».

Sarà in grado la von der Leyen di comprendere questa ovvia e banale verità?

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