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Perché il caso Danske Bank può provocare un terremoto nel sistema finanziario europeo

L'analisi di Fabio Vanorio sul caso Danske Bank

Il 4 ottobre scorso, Danske Bank, la maggiore banca danese, ha reso nota l’esistenza di un’indagine avviata dal Dipartimento di Giustizia statunitense (DOJ, Department of Justice) relativa ad operazioni di riciclaggio che coinvolgono l’istituto di credito.

Nello specifico, il DOJ ha richiesto a Danske informazioni sulle attività condotte dalla sua filiale in Estonia coinvolgenti entità russe. In base alle risultanze di un’attività di revisione interna effettuata dalla banca danese rese pubbliche nel settembre scorso, il DOJ ha posto sotto osservazione movimenti bancari svolti mediante la filiale di Danske a Tallinn (Estonia) dal 2007 al 2015, ammontanti complessivamente a circa 235 miliardi di dollari di cui, secondo la banca stessa, una “significativa parte” potrebbe risultare sospetta. Solo questa stima iniziale ha indotto il CEO di Danske, Thomas Borgen, a rassegnare le dimissioni.

Dal report dello studio legale danese Bruun & Hjejle, a cui è stato esternalizzato l’auditing interno, emergono errori, incapacità manageriali, mancanze nei processi interni, negligenze, e sospetti di collusioni da parte di 42 persone attualmente impiegate nella banca, e di otto impiegate in precedenza, nell’agevolare lo svolgimento di transazioni illecite identificate.

Secondo il rapporto, tra i principali responsabili della frode perpetrata nella filiale estone della Danske Bank vi sono due c.d. “Laundromat” in Russia e in Azerbaijan.

I “Laundromat” (letteralmente “lavanderie a gettone”) sono veicoli finanziari costituiti a scopo criminale che hanno contribuito attivamente nella fase di riciclaggio di proventi derivanti da attività illecite svolte mediante società di comodo attive in frodi, truffe in contratti statali, ed evasione fiscale.

Il “Laundromat” russo è stato operativo tra il 2011 e il 2014 creando 21 società nel Regno Unito, a Cipro e in Nuova Zelanda. Queste società hanno dapprima generato debito falso. Successivamente, un’ingiunzione di un tribunale moldavo ha ordinato a 19 società russe di pagare questi debiti alla Moldindconbank (con sede in Moldavia) e alla Trasta Komercbanka (con sede in Lettonia). Una volta fuori dalla Russia, il denaro è stato trasferito in tutto il mondo, con 26.746 pagamenti per un totale di 20,8 miliardi di dollari a 5.140 società con conti presso 732 banche in 96 paesi. Alla Danske Bank, 177 clienti hanno ricevuto pagamenti da queste società.

Analogamente, il “Laundromat” azero ha utilizzato una serie di società di comodo per nascondere l’origine di 2,9 miliardi di dollari verosimilmente collegati alla famiglia del Presidente azero Ilham Aliyev. Le attività di riciclaggio coinvolgevano la costituzione di patrimoni occulti impiegati nella corruzione di politici, e nel finanziamento illecito di società private. Sebbene gran parte di questo schema sia ancora oggetto di indagine, 75 clienti di Danske Bank sono implicati e la filiale estone ha gestito i conti di tutte e quattro le principali società coinvolte nello schema fraudolento azero.

L’interesse della giustizia statunitense si va ad unire a molteplici altri fronti giudiziari già aperti a carico di Danske. La banca danese, infatti, è già al centro di attività investigative in Danimarca ed Estonia avviate a seguito di denunce specifiche, e svolte insieme alle autorità di controllo elvetiche e britanniche.

Tra le diverse denunce ricevute, particolare rilievo va attribuito a quella di William Felix “Bill” Browder, fondatore di Hermitage Capital Management, già dichiarato “minaccia per la sicurezza nazionale” nel 2005 dal Presidente russo Vladimir Putin.

Browder sta conducendo una campagna legale per tracciare 230 milioni di dollari, a suo dire, riciclati in transazioni connesse alla morte del suo avvocato, Sergei Leonidovich Magnitsky, avvenuta nel 2009 nella prigione Matrosskaya Tishina di Mosca. Browder ha anche depositato una denuncia presso il Dipartimento del Tesoro statunitense (il cui Assistant Secretary for Terrorist Financing, Marshall Billingslea, ha incontrato le autorità estoni nel Maggio scorso) invocando per Danske Bank il ricorso alla Sezione 311 dell’USA Patriot Act, come recentemente avvenuto per un analogo caso di riciclaggio coinvolgente la banca lettone ABLV.

Il governo di Copenhagen ha già ipotizzato che Danske possa essere soggetta da parte delle autorità giudiziarie nazionali ad una sanzione di 630 milioni di dollari. Ma l’importo, se sommato agli altri capi di imputazione internazionali potrebbe salire almeno a 7,7 miliardi di dollari.

Danske Bank è considerata dalla European Banking Authority (EBA) tra le c.d. Other Systemically Important Institutions (O-SIIs), ossia istituzioni che, a causa della loro importanza sistemica, possono creare rischi per la stabilità finanziaria interna al paese in cui operano prevalentemente. Le O-SIIs hanno, dunque, importanza perlopiù per l’economia interna al paese dove risiedono ma rappresentano il livello immediatamente inferiore rispetto alle c.d. Global Sistemically Important Institutions (G-SIIs, istituzioni con una misura dell’esposizione utilizzata ai fini dell’indicatore di leva finanziaria superiore ai 200 miliardi di Euro). Per questo motivo, l’EBA prevede per le O-SIIs più elevati requisiti di patrimonializzazione necessari all’assorbimento delle perdite di capital consistenti in un Common Equity Tier 1 (CET1) in percentuale dell’ammontare di esposizione al rischio totale, come definito nell’Articolo 131 (5) della Direttiva 2013/36/EU.

Questo spiega perché anche la European Banking Authority (EBA) sia preoccupata. La FSA danese ha ricevuto una richiesta di informazioni da parte dell’EBA per meglio comprendere come sia stata effettuata la supervisione di Danske Bank. Il Primo Ministro danese, Lars Lokke Rasmussen, ha affermato che questa può essere una motivazione che rende impellente l’adesione della Danimarca alla EBA, così da garantirsi una più efficiente supervisione del sistema.

Ogni circostanza nuova che emerge peggiora la condizione di Danske.

La banca danese ha acquisito la filiale di Tallin nel 2007, lo stesso anno in cui le autorità estoni hanno iniziato ad evidenziare problemi con i conti aperti da non residenti. Le transazioni al centro dell’attenzione, secondo il Financial Times, includerebbero c.d. “mirror trades” di obbligazioni governative russe fino a 8,5 miliardi di euro (9,8 miliardi di dollari) operate nel 2013 con lo scopo di assistere clienti russi nel movimentare rubli ricevendo dollari necessari per effettuare pagamenti internazionali. Da queste operazioni Danske avrebbe tratto profitto per circa 10 milioni di Euro in un solo anno.

Le “mirror trades” (transazioni in valuta laddove la stessa parte agisce da entrambi i lati, vendendo rubli e acquistando dollari) sono state la causa di un’indagine, giunta al termine nel Febbraio 2017, che ha riguardato la filiale di Mosca di Deutsche Bank. Nell’occasione, la banca tedesca è stata multata per più di 630 milioni di dollari da parte dei Regulators britannici e statunitensi al termine di accertamenti che hanno evidenziato attività fraudolente per un valore di 10 miliardi di dollari realizzate mediante false transazioni che permettevano a facoltosi clienti russi (verosimilmente contigui alla criminalità organizzata russa) di cambiare rubli con dollari in maniera anonima.

L’emergere delle accuse nei confronti di Danske Bank hanno avuto un ovvio riverbero negativo sull’andamento delle azioni dell’istituto di credito.

Se confrontato con i suoi massimi storici, nel Maggio 2017, il titolo Danske è crollato di quasi il 50 per cento. I rendimenti sul debito dell’istituto sono contestualmente schizzati verso l’alto, ed il prezzo dei CDS (Credit Default Swap) per assicurarsi nei confronti del default di Danske sono raddoppiati nelle ultime settimane. Al peggioramento di questa situazione ha contribuito anche Credit Suisse la quale ha declassato il titolo da “neutral” a “outperform” e tagliato il suo target price a 199 corone danesi (30 dollari statunitensi) dalle 244 (37 dollari statunitensi) precedenti.

A fronte di ciò, gli stakeholders di Danske hanno iniziato a porsi domande sulla solvibilità prospettica dell’istituto di credito danese. Per le pressioni sopraindicate dell’EBA e per fugare i timori degli stakeholders, la Financial Supervisory Authority (FSA) danese ha avviato un’opera di ulteriore patrimonializzazione preventiva di Danske introducendo:

  • un requisito addizionale – nell’ambito del Secondo Pilastro (Supervisory Review) di Basilea II – di 5 miliardi di corone (770 milioni di dollari) destinato a potenziare il buffer di capitale di Danske portandolo a 10 miliardi di corone (1,5 miliardi di dollari) per anticipare l’impatto sul capitale delle potenziali sanzioni;
  • un aumento del Common Equity Tier (CET) 1 Capital Ratio di Danske pari a 150 punti base, portandolo a circa il 16 per cento;
  • la sospensione del programma di riacquisto di azioni proprie (buyback). Il programma, che aveva come obiettivo il buyback fino a 10 miliardi di corone (1,5 miliardi di dollari), verrà ora abbandonato dopo che la banca ha acquistato azioni per circa 6,8 miliardi di corone.

Nel frattempo, crescenti evidenze mostrano come Danske rappresenti solo una piccola parte di un considerevole schema europeo di riciclaggio con operazioni transnazionali attraverso la sola Estonia che superano la cifra di 1 trilione di dollari tra il 2008 e il 2015. Secondo dati forniti da Bloomberg ottenuti dalla Banca Centrale di Estonia, le banche estoni avrebbero gestito circa 900 miliardi di euro (1.04 trilioni di dollari) mediante operazioni transfrontaliere tra il 2008 e il 2015. La banca centrale estone ha chiarito che le operazioni transfrontaliere includono flussi relativi a soggetti residenti e non-residenti, senza però fornire una stima per i flussi relativi ai non residenti.

Secondo ZeroHedge, un indicatore della crescita dell’opacità nelle operazioni bancarie svolte nell’area baltica è rappresentato dall’incremento nella quota di flussi monetari denominati in dollari rispetto alla quota del totale dei flussi intestati a non-residenti.

La disponibilità di dollari, infatti, richiede l’esistenza di una “banca corrispondente”, terza parte nella transazione. Solitamente, poiché il sistema di controlli AML nel sistema bancario statunitense è ampiamente considerato il più rigido al mondo, la criminalità organizzata preferisce optare per operazioni in euro o in franchi svizzeri. La riduzione da 2014 che si può notare nel grafico è proprio da ricondursi al fatto che le banche statunitensi coinvolte hanno iniziato a sollevare la questione dei flussi di non residenti transitanti la filiale estone di Danske e, quando sono state ignorate, hanno interrotto le procedure di liquidazione per conto di Danske.

La considerazione avanzata da ZeroHedge trova un serio approfondimento da parte di di Frances Coppola su Forbes. L’economista britannica, infatti, mostra come Danske Bank Estonia non può essere ritenuta l’unica responsabile di quanto sta emergendo a causa del ruolo fondamentale svolto dalle “banche corrispondenti” nell’accedere a Fedwire, il sistema elettronico della Federal Reserve di regolamenti interbancari, nell’impiego di fondi denominati in Dollari statunitensi.

Tra queste, le grandi banche che emergono come corrispondenti in dollari di Danske Bank Estonia sono J.P. Morgan (fino al 2013, e successivamente Bank of America), e Deutsche Bank AG le quali hanno operato trasferimenti in dollari per conto di clienti non-residenti della filiale estone. A queste due, secondo il Wall Street Journal, deve aggiungersi la filiale di Mosca di Citigroup.

Dal 2014 in poi, secondo Bloomberg, Deutsche Bank ha iniziato a rifiutarsi di effettuare trasferimenti che sembravano particolarmente rischiosi. Ma il flusso delle transazioni non è diminuito drasticamente fino al 2015, momento in cui Bank of America e Deutsche Bank hanno chiuso entrambe le loro relazioni bancarie con Danske Bank Estonia (Bank of America a maggio e Deutsche Bank a settembre). Un report del regulator danese, la Financial Supervisory Authority, ha affermato che un dipendente di una di queste banche ha cercato di allertare Danske Bank nei confronti di clienti moldavi e di clienti che trasferivano denaro verso la Moldova. Secondo il Financial Times, la persona era impiegata in Deutsche Bank. In quel periodo, però, Deutsche Bank era impegnata nelle attività di riciclaggio di fondi russi mediante “mirror trades” a causa del quale, come abbiamo già accennato, regulators britannici e statunitensi hanno comminato una sanzione di 630 milioni di dollari.

L’interesse delle autorità statunitensi più che all’attività di Danske Bank è rivolto alle banche corrispondenti. Quanto detto, infatti, solleva serie preoccupazioni sull’adeguatezza dei processi  AML (Anti-Money Laundering) di Deutsche Bank, la sola banca corrispondente a rimanere i contatto con Danske Bank Estonia sia durante tutto il periodo ritenuto sospetto ai fini dell’indagine, che una volta venuta a conoscenza degli accertamenti giudiziari in corso nei confronti dei movimenti bancari, del personale e dei clienti della filiale estone di Danske. I regolatori degli Stati Uniti sembrerebbero aver preso in seria considerazione anche questo risvolto, che si andrebbe ad aggiungere alla multa di 41 milioni di dollari comminata dalla Federal Reserve nel maggio 2017 per inadeguati controlli AML ed all’attribuzione del rating di “banca problematica” alla controllata statunitense di Deutsche Bank da parte della FDIC, di cui abbiamo ampiamente parlato nel Giugno scorso in un precedente articolo di Start Magazine. L’interesse del DOJ si estende sicuramente anche a J.P. Morgan, Bank of America ed alla filiale di Mosca di Citigroup le quali hanno contribuito a facilitare gli enormi flussi di dollari in entrata e in uscita da Danske Bank Estonia.

Contestualmente, anche in Europa il gigantesco (e ancora non circoscritto) scandalo ha inficiato la reputazione della Danimarca, paese scandinavo considerato in precedenza tra i più trasparenti al mondo, aprendo un nuovo dibattito al Parlamento europeo dove diversi membri hanno avviato una sensibilizzazione per creare una nuova agenzia antiriciclaggio su scala europea.

 

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Fabio Vanorio è un dirigente del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Attualmente vive a New York e si occupa di mercati finanziari, economia internazionale ed economia della sicurezza nazionale. È anche contributor dell’Istituto Italiano di Studi Strategici “Niccolò Machiavelli”.

DISCLAIMER: Tutte le opinioni espresse sono da ricondurre integralmente all’autore e non riflettono alcuna posizione ufficiale riconducibile né al Governo italiano, né al Ministero degli Affari Esteri e per la Cooperazione Internazionale.

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