Caro direttore,
ci è voluto il petardo lanciato da Fabrizio Palenzona a spezzare il clima un po’ soporifero delle ultime settimane nel mondo della finanza. Le dimissioni di Palenzona da presidente della fondazione Crt – punto culminante di un’intensa e virulenta faida consumatasi in seno a una delle prime fondazioni bancarie italiane – hanno oscurato tutte le altre principali notizie. Al punto che addirittura importanti appuntamenti come l’assemblea di Tim – dove è andata in scena la presente assenza di Vivendi che ha consentito la riconferma di Pietro Labriola come capo azienda del gruppo – hanno dovuto cedere il passo alle ricostruzioni di quanto accaduto a Torino.
La sintesi che arguisco leggendo i giornali è che Palenzona negli scorsi giorni ha scovato una sorta di “P2” (mi raccomando alle virgolette, molte virgolette) all’interno della fondazione. Un patto – un’associazione segreta?, ah saperlo – al quale avrebbe aderito un numero sostanzioso di consiglieri di amministrazione e di indirizzo, con l’obiettivo di condizionare le scelte della Fondazione torinese, incarichi ed erogazioni in primis.
Palenzona ha provato a correre ai ripari, denunciando il patto alquanto anomalo al ministero dell’Economia – che vigila pur sempre sugli enti di estrazione creditizia come appunto le fondazioni ex bancarie – e incenerendone l’estensore materiale, Corrado Bonadeo. Non è bastato: i pattisti, scoperti, hanno dato immediata esecuzione alle proprie istruzioni.
Come? Dapprima contribuendo a silurare diversi candidati graditi a Palenzona quando si è trattato di rinnovare il Consiglio di Indirizzo (in base allo statuto di Crt, il nuovo consiglio di indirizzo è scelto dai consiglieri uscenti). E poi, in consiglio di amministrazione, sfiduciando il segretario generale Andrea Varese e, agitando lo spettro della sfiducia, provando a fare di Palenzona un re fantoccio. Un presidente, cioè, di facciata, costretto a “lasciar fare” e ratificare le scelte del cda (e secondo te Palenzona poteva accettare questo ridimensionamento?).
Prova ne è l’ultima tornata di nomine, in cui i componenti del consiglio di amministrazione si sono auto-nominati ovunque fosse possibile (OGR, Equiter, REAM SGR). In un improvviso amarcord, a molti è parso di essere tornati di colpo agli ultimi mesi del regno di Gianni Quaglia, che era abbastanza in ostaggio del cda e in cui aveva un ruolo di assoluti rilievo il precedente segretario generale Massimo Lapucci).
Significativo questo brano dell’articolo du Claudia Luise – cronista molto scrupolosa e informata che ricordo se non erro come ex collaboratrice anche di Start Magazine – del quotidiano piemontese La Stampa: “In città, più che il toto nome sul prossimo presidente, prevale lo “sconcerto” per le nomine che sono state decise da un Cda già monco del suo presidente, che aveva già lasciato la seduta sbattendo la porta. L’unanimità che ha portato alle scelte, quindi, è tra sei persone di cui quattro (Canavesio, Bima, Monti e Di Mascio) già avevano sfiduciato l’ex segretario generale, Andrea Varese. «Gli stessi votanti si sono votati», è il commento al veleno. E così l’imprenditore dell’innovazione, Davide Canavesio, diventa sia presidente sia amministratore delegato delle Ogr, scalzando Massimo Lapucci. La vice è la notaia Caterina Bima. Canavesio è anche vicepresidente di Equiter (il presidente è scelto da Compagnia di San Paolo). Antonello Monti sfratta Giovanni Quaglia da Ream e ha come vice sempre la notaia. Mentre Anna Maria Di Mascio approda alla guida della Fondazione Ulaop”.
In sostanza, caro direttore: dalla vicenda emerge che Palenzona non se l’è sentita di farsi rosolare dal cda, benché mancassero pochi mesi alla fine dell’attuale consigliatura, e ha rassegnato le dimissioni con una lettera molto ruvida che ti mando in allegato e che va ad aggiungersi all’esposto inviato al ministero dell’Economia, corredato da diversi pareri legali piuttosto “pesanti” (quello civilistico porta la firma del noto e influente giurista Andrea Zoppini, peraltro anche sottosegretario alla Giustizia in passato, mentre sul versante penale si sono cimentati due professori, Sacchi di Milano e Riverditi di Torino).
A questo punto si tratta di capire cosa accadrà. Tra i bene informati si distinguono due posizioni di fondo. Gli uni pensano che il Mef non potrà ignorare l’esposto durissimo arrivato da Torino, e tantomeno il gesto eclatante di Palenzona; anche se da alcune ricostruzioni giornalistiche attestano che al Tesoro freghi poco o nulla della vicenda denunciata da Varese e delle tosta lettera di dimissioni di Palenzona. Gli altri, perfidamente, si dicono convinti che a Torino nessuno oserà fiatare, e sottolineano che al ministero la vigilanza sulle fondazioni è oggi affidata a un direttore generale, Marcello Sala, allievo di Giuseppe Guzzetti ha scritto il Foglio. E Guzzetti non è propriamente un amico di Palenzona, diciamo.
Alla prossima e cordiali saluti
Francis Walsingham