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Canale Di Suez

Crisi del Canale di Suez, ecco le ripercussioni per il made in Italy

La crisi del Canale di Suez rischia di avere ripercussioni rilevanti sull'economia italiana: dal settore agroalimentare a quello del lusso, dalla chimica alla rete portuale. Fatti, numeri e scenari

Le azioni militati del gruppo armato yemenita Houthi nel Canale di Suez stanno mettendo a serio rischio il commercio mondiale. Dalla metà di novembre gli Houthi sono entrati nel conflitto tra Israele e Palestina in sostegno di quest’ultima. Il sistema di difesa aerea israeliano è riuscito a intercettare tutti i missili lanciati dagli yemeniti rendendoli inefficaci. Al contrario, gli attacchi alle navi commerciali nel Canale di Suez hanno causato gravi danni. I ribelli hanno colpito circa una decina di navi in meno di un mese. Alcuni tra i colossi della navigazione, come Bp e Msc, sono state costrette a sospendere la navigazione nell’area (oggi attraversano il canale solo 250 navi, contro le oltre 400 di prima delle tensioni) e a circumnavigare l’Africa allungando il viaggio di circa due settimane.

Le tensioni nell’area potrebbero avere conseguenze importanti anche per l’economia italiana, specialmente per settori rilevanti come quello della moda. Ecco tutti i dettagli.

L’IMPATTO SULL’IMPORT DI MODA, SECONDO BANKITALIA

Secondo le stime di Banca d’Italia, infatti, basate sui dati del 2022, il trasporto navale attraverso il mar Rosso vale quasi il 16 per cento delle importazioni italiane di beni di valore. Questa rotta, infatti, viene utilizzata per la maggior parte dei beni acquistati dalla Cina (secondo mercato di approvvigionamento per l’Italia, dopo la Germania), dall’Asia orientale e dal golfo Persico.

Come spiega Bankitalia, un terzo delle importazioni italiane legate alla filiera della moda arriva attraverso il mar Rosso; l’incidenza è elevata anche per le importazioni di petrolio e di prodotti metalmeccanici, che costituiscono quasi il 30 per cento degli acquisti dall’estero dell’Italia.

La rotta passante per il mar Rosso è invece molto meno rilevante per le nostre esportazioni, poiché vi transita circa il 7 per cento delle merci in uscita dall’Italia.

DAL CANALE DI SUEZ PASSA IL 12% DEL COMMERCIO MONDIALE E IL 40% DI QUELLO ITALIANO

Dal Canale di Suez transita circa il 12% del commercio mondiale e oltre il 40% dell’interscambio marittimo italiano, per un valore che, secondo uno studio di Srm-Alexbank (Intesa Sanpaolo), nel 2022 si è attestato a 82,8 miliardi di euro. “Da Suez passa buona parte del Made in Italy, tutto ciò che esportiamo in Giappone, Cina, India, Medio Oriente”, sottolinea Alessandro Pitto, presidente di Fedespedi, che rappresenta gli spedizionieri italiani.

CRISI NEL CANALE DI SUEZ: LE RIPERCUSSIONI SULL’ECONOMIA EUROPEA

Le preoccupazioni mondiali riguardano una nuova escalation della crisi in Medio Oriente insieme al contraccolpo economico. “Le conseguenze potrebbero materializzarsi nelle prossime settimane”, ha detto il commissario Ue agli Affari Economici, Paolo Gentiloni, avverte. “Per noi europei il transito da Suez e Bab al-Mandab è fondamentale per i commerci tra il nostro continente e l’Asia”, ha detto l’analista Cesi Giuseppe Dentice.

LE SANZIONI ALLA RUSSIA HANNO FATTO CRESCERE LA RILEVANZA DEL CANALE DI SUEZ

La rotta ha aumentato la sua rilevanza, come scrive il Sole 24 Ore, da quando le sanzioni alla Russia ci hanno imposto di cambiare fornitori, preferendo i produttori del Golfo Persico, dell’India e anche della Cina. Gli attacchi degli Houthi sono condotti con droni e motovedette contro le navi commerciali di tutte le nazionalità: i colossi della navigazione come Bp e Msc sono state costrette a circumnavigare l’Africa allungando il viaggio di circa due settimane.

CRISI DEL CANALE DI SUEZ: I DANNI PER IL SETTORE ORTOFRUTTICOLO

Ma le preoccupazioni non riguardano solo le importazioni di gas e petrolio. I rischi riguardano un gran numero di categorie merceologiche e di settori industriali, dalla moda agli alimentari, alle auto e alla chimica. Il nostro paese lo scorso anno “ha esportato oltre 217 milioni di chili di frutta, di cui oltre 182 milioni di chili mele, con principali destinazioni l’Arabia Saudita (oltre 66 milioni di chili di mele), l’India (oltre 51 milioni di chili di mele) e gli Emirati Arabi (oltre 15 milioni di chili di mele) – ha sottolineato con preoccupazione Coldiretti -. E nella sola Cina, le esportazioni agroalimentari valgono oltre 570 milioni di euro all’anno (112 milioni di euro solo dal vino)”.

Oggi gli operatori ortofrutticoli che esportano in Estremo e Medio Oriente riscontrano un maggior tempo di percorrenza che varia da 15 ai 20 giorni e un rincaro dei costi pari a 1500-2mila euro a container. “In questo momento per una consegna siamo passati dai 30-35 giorni ai 55-60”, ha detto al Sole 24 Ore-Radiocor Mauro Laghi, direttore generale di Alegra, gruppo che coordina circa tremila cooperative e imprese agricole italiane, con un fatturato consolidato nel 2022 di 184 milioni di euro.

I MERCATI DELL’ESTREMO E DEL MEDIO ORIENTE ABBANDONATI DAL MADE IN ITALY

L’allungamento dei tempi incide non solo sui costi ma anche sullo stato di conservazione dei prodotti. Tanto che molti operatori di prodotti ortofrutticoli come mele, kiwi e arance hanno rinunciato a esportare nei mercati di Medio ed Estremo Oriente. L’alternativa al Canale di Suez è circumnavigare l’Africa per raggiungere le destinazioni commerciali. “A oggi abbiamo perso 4-5 container a settimana – ha aggiunto Mauro Laghi – ovvero 100 tonnellate di prodotto a settimana, che devono trovare necessariamente uno sbocco in Europa”. Come in un domino da un problema ne origina un altro. Perché dalla mancata commercializzazione dei beni prodotti segue la sovrapproduzione soprattutto per le mele, che si riversano in grande quantità dalla Polonia sul mercato europeo, e per le arance che non potendo raggiungere l’India dall’Egitto rischiano di saturare i nostri canali di vendita.

LA CRISI NEL CANALE DI SUEZ IMPONE DI RIVEDERE LE ROTTE

Gli operatori commerciali stanno pensando a come ridisegnare le rotte di trasporto, con una maggiore durata dei viaggi e un aumento dei costi. “L’allungamento delle rotte marittime tra Oriente e Occidente – ha sottolineato con preoccupazione la Coldiretti -, costrette ad evitare il Canale di Suez a causa dei ripetuti attacchi terroristici hanno portato ad aumenti vertiginosi del costo dei trasporti marittimi che arrivano fino a raddoppiare ma aumentano di circa due settimane anche i tempi di percorrenza”. Tra l’altro solo una piccola percentuale di merci potranno effettivamente cambiare rotta. “Le navi faranno rotte più lunghe e quindi ne serviranno di più – aggiunge il presidente di Fedespedi Alessandro Pitto -. In teoria la capacità esiste, ma gli armatori devono riportare in servizio portacontainer per 1,4-1,7 milioni di Teu”.

CRISI NEL CANALE DI SUEZ: LE RICADUTE NEGATIVE SUL SETTORE DEI PORTI

“Il traffico giornaliero nel Mar Rosso si è ridotto da 400 a 250 navi, è chiaro che alcuni porti italiani come Gioa Tauro, Taranto, Brindisi Trieste e Genova avranno degli effetti negativi”. Queste parole arrivano dal ministro degli esteri e vicepremier Antonio Tajani che, insieme al ministro dei trasporti Matteo Salvini, sta monitorando la situazione. Il Mar Mediterraneo, infatti, non è solo destinazione e origine degli scambi ma anche un importante snodo logistico. “L’Italia con Gioia Tauro ha un ruolo di primo piano in questo mercato – dice il presidente Pitto -. Ma se si chiude Suez il Mediterraneo non è più luogo di passaggio, diventa quasi un grande lago”.

LA REAZIONE DEGLI USA: PROSPERITY GUARDIAN

La reazione degli occidentali, capeggiati dagli Stati Uniti, non si è fatta attendere. A metà dicembre gli USA hanno lanciato l’iniziativa Prosperity Guardian con l’obiettivo di garantire la sicurezza delle navi commerciali e delle petroliere che transitano nel mar Rosso. In quest’ambito, a cavallo tra l’11 e il 12 gennaio, un raid statunitense ha provato a distruggere le basi dei ribelli sulle cui teste è caduta anche la ferma condanna delle Nazioni Unite con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 10 gennaio.

LE COMPAGNIE DI ASSICURAZIONE NON CREDONO AL PROSPERITY GUARDIAN

L’annuncio della task force Prosperity Guardian cui parteciperà anche l’Italia non ha convinto gli operatori. Più di 130 navi hanno cambiato rotta, preferendo circumnavigare l’Africa. Inevitabilmente i costi di trasporto aumentano, difatti le compagnie Maersk, Msc e Hapag-Lloyd hanno annunciato l’introduzione di una tariffa extra a fronte delle spese per deviare i carichi. Sono aumentati esponenzialmente anche i costi delle polizze navali, più che decuplicate in un mese, così come i costi del noleggio delle navi cisterna aumentati di oltre il 40%.

COSA VUOL DIRE BLOCCARE IL CANALE DI SUEZ: IL PRECEDENTE 2021

Il commercio mondiale ha capito cosa vuol dire il blocco del Canale di Suez nel 2021. Il 23 marzo 2021, la Ever Given, che misura 400 metri di lunghezza e può trasportare fino a 20.000 Teu si incagliò sulla sponda orientale del canale e lì rimase per sei giorni, bloccando il Canale, finché non fu liberato il 29 marzo 2021. Diverse le stime circa le perdite economiche, a causa delle centinai di navi bloccate nel canale, avvenute in quei sei giorni. L’agenzia Bloomberg ha stimato perdite per 9,6 miliardi di dollari al giorno: 5,1 miliardi di dollari generati dal traffico che va dal Mediterraneo verso l’oceano Indiano e 4,5 miliardi quello relativo alla direzione opposta. La Allianz, è stata più cauta, e ha limitato le stime a una somma tra i 6 e i 10 miliardi dollari a settimana.

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