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Che ne sarà delle criptovalute? E dell’oro?

Criptovalute e oro: fatti, commenti e scenari. L'analisi di Alessandro Fugnoli, capo strategist dei fondi Kairos.

Che ne sarà delle criptovalute? E dell’oro? Lo sgonfiamento delle criptovalute prosegue non solo nei prezzi ma anche nella credibilità del loro modello. Tuttavia nonostante la crisi, per molti versi autoinflitta, uno spazio rimarrà. Un’area grigia al riparo dal controllo delle autorità monetarie e fiscali (e del Tesoro americano, per quanto riguarda le transazioni globali in dollari) non ha infatti al momento molte alternative rispetto alle criptovalute. È significativo che la Russia abbia riaperto nei giorni scorsi alla possibilità di un loro utilizzo per transazioni commerciali con l’estero.

Quanto all’oro, il suo andamento giorno per giorno continua a essere legato alle aspettative sui tassi, ma a livello strutturale è interessante che le banche centrali dei paesi emergenti, quando ne hanno la possibilità, continuino ad accumularne. Segnaliamo poi l’ultima audace provocazione intellettuale di Zoltan Pozsar. Se la Russia decidesse un giorno di farsi pagare il petrolio in oro, dice, molte cose potrebbero cambiare per tutti. Oggi un barile di petrolio vale quanto un grammo d’oro. Se la Russia offrisse però due barili per un grammo invece di uno, l’arbitraggio porterebbe rapidamente a un raddoppio del prezzo dell’oro, molto conveniente per chi ne sta costruendo ampie riserve, come Russia e Cina.

Che fare sui mercati? Di solito la domanda più frequente è se comprare o aspettare oppure se vendere o aspettare. In questo periodo, tuttavia, si sente spesso una domanda per certi aspetti sconcertante: comprare o vendere? Questo significa che per una parte importante del mercato esistono altrettanto motivi per entrare quanti ne esistono per uscire. Questo, a sua volta, porta a pensare che il mercato sia in equilibrio.

A conferma, l’SP 500, che a partire dal momento in cui la Fed ha iniziato ad alzare i tassi ha oscillato quest’anno tra 4300 e 3600, è oggi quasi esattamente al centro del range di variazione. E lì sembra al momento trovarsi bene. Il posizionamento e il sentiment, che avevano raggiunto livelli particolarmente negativi in ottobre, sono oggi bilanciati.

Per quello che si può capire oggi del 2023, questo range potrebbe uscire confermato. A spingere verso l’alto è la discesa dell’inflazione, a spingere verso il basso è il rallentamento atteso dell’economia. Gli utili, che il consenso prevede stabili, non spingono in nessuna particolare direzione.

Lo scarso desiderio del mercato di allontanarsi da questo suo punto di equilibrio è dovuto anche alla lentezza del rallentamento. Ricordiamo che questo è un raffreddamento programmato dalle banche centrali, non un incidente come il 2008 o il 2020. Questo spiega la gradualità dei processi in corso.

Esiste naturalmente la possibilità che il controllo sul ciclo venga meno e che la recessione, come ha ipotizzato Larry Summers, cominci piano e poi prenda velocità. Se così sarà, si uscirà dal range verso il basso. Se però la manovra dovesse rivelarsi perfettamente calibrata e si riuscisse ad evitare una recessione con un’inflazione ricondotta su livelli accettabili, si potrebbe pensare a una fine 2023 sopra 4300.

Per il momento non ci sono elementi per puntare su un’uscita dal range, almeno per la prima metà del 2023. Alleggerire sopra 4000 e accumulare cautamente sotto 3900 rimane l’indicazione di fondo per i prossimi mesi.

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