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Perché le normative Ue sui crediti deteriorati fanno rischiare all’Italia un credit crunch

L'intervento del segretario generale Uilca, Massimo Masi, e del responsabile del centro studi Uilca, Roberto Telatin, sui crediti deteriorati

I crediti deteriorati in Europa dalle analisi della Banca Centrale Europea sono diminuiti del 41,3% dal 2014 ad oggi e attualmente sono pari a 587 miliardi.

Anche in Italia si è avuto il processo di riduzione degli NPL dai bilanci bancari, soprattutto delle sofferenze nette che ad ottobre 2019, secondo il rapporto mensile dell’ABI sono pari a 31,4 miliardi, in calo del 52% rispetto ai 65,8 miliardi di euro dell’ottobre del 2017.

Il processo di riduzione dei crediti deteriorati si è attuato soprattutto attraverso la loro cessione a società finanziarie o a fondi d’investimento e come indica la Banca d’Italia nella sua Relazione Annuale del maggio 2019, queste cessioni sono aumentate passando dai 46 miliardi di euro del 2017 ai 55 miliardi di euro del 2018.

L’incremento dei volumi di tali cessioni sono tuttavia solo la punta di un iceberg sotto il quale si sono sviluppate delle criticità del sistema bancario, in parte risolte che non si possono tuttavia cancellare solo cedendo il credito deteriorato.

Apprezziamo nel rapporto CERVED-ABI 2019 la diminuzione del tasso di deterioramento delle sofferenze che oggi è al 3,1% rispetto al 3,3% del 2018, pur evidenziando come il sud Italia abbia un tasso di decadimento a sofferenze quasi doppio del nord-est ( 4,4% vs 2,3%).

L’enorme lavoro di smaltimento degli NPL per rendere più sicuri gli istituti di credito italiani non eliminato però i problemi economici del Paese che rimane diviso in due e con un divario che cresce continuamente.

Per questo concordiamo con quanto detto da Andrea Enria, responsabile del meccanismo di supervisione bancaria intervenuto nel giugno 2019 al convegno ILF alla Goethe Univesität di Francoforte sul tema delle dismissioni degli NPL: tanto è stato certamente fatto ma tanto resta ancora da fare. Per questo, pur consapevoli della necessità di aumentare la solidità del sistema creditizio crediamo dovremmo interrogarci se gli aumenti di patrimonio o maggiori accantonamenti sui crediti deteriorati siano ancora le scelte più efficienti per rafforzare sia le banche sia il sistema economico.

Le rassicurazioni del Presidente dell’ABI Antonio Patuelli, riprese in alcune interviste apparse su diversi quotidiani italiani, ci tranquillizzano anche se occorre prevedere un nuovo modo di fare banca.

Le nuove normative europee che prevedono per i crediti concessi dopo aprile 2019 e divenuti successivamente deteriorati la loro svalutazione integrale in tre anni se il credito è non garantito, in sette se garantito da altre tipologie di garanzie, o nove anni se credito ipotecario, rischiano soprattutto in Italia di creare un credit crunch piuttosto che rafforzare la solidità delle banche.

Per questo dovremmo agire piuttosto per diminuire i tempi della giustizia nel recuperare il credito ed eliminare gli svantaggi competitivi che il sud ha in infrastrutture, formazione e sicurezza sociale.

Non attuando questi correttivi non potremo avere uno sviluppo del paese e non potremmo avere banche solide, fare impresa e banca diventerà sempre più difficile e chiuderanno non solo le imprese ma anche le banche.

Il settore del credito non deve essere considerato, dalla politica e dal legislatore separato dall’economia e dalla giustizia.

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