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Interventismo

Cosa succederà a commercio, petrolio e materie prime

L’approfondimento di Raffaele Perfetto   Le cinque più grandi società di trading gestiscono oggi circa 24 milioni di barili al giorno tra petrolio grezzo e prodotti raffinati che equivalgono quasi un ad un quarto della domanda mondiale di petrolio. I sette principali trader di prodotti agricoli hanno tra le mani un volume di scambi che è di poco inferiore della metà dei cereali e dei…

 

Le cinque più grandi società di trading gestiscono oggi circa 24 milioni di barili al giorno tra petrolio grezzo e prodotti raffinati che equivalgono quasi un ad un quarto della domanda mondiale di petrolio.

I sette principali trader di prodotti agricoli hanno tra le mani un volume di scambi che è di poco inferiore della metà dei cereali e dei semi oleosi su scala globale. Un terzo della fornitura mondiale di cobalto è gestito da Glencore: il cobalto è una materia prima fondamentale per i veicoli elettrici.

Un immenso e concentrato potere economico.

Lo sbilanciamento dei mercati a volte in eccesso a volte in difetto crea un’opportunità per i trader che catturano valore nell’acquisto di materie prime da chi produce e nella vendita verso chi ne necessita. I trader comprano e vendono; per loro, se il prezzo sale o scende poco importa. Quello che conta è la differenza di prezzo tra diversi luoghi o differenti caratteristiche del prodotto o anche il tempo di consegna. Tutti questi differenziali sono catturati dal trader, che tende ad eliminarli rendendo i mercati più efficienti: la famosa mano invisibile.

TRADING & POWER

Come raccontato da Blas & Farchy in The World for Sale – Money Power and the Traders who barter the Earth’s Resources negli anni 80’ una delle aziende di trading più famose dell’epoca anticipò 80 milioni di dollari al governo dell’Angola, nel bel mezzo di una guerra civile, usando il petrolio come security per il prestito. Questo tipo di approccio fu utilizzato in seguito e diventò abbastanza comune, basta guardare quanto accaduto in Libia e in Kurdistan negli ultimi anni.

All’inizio del 2011 tutto il Nordafrica si trovava nella morsa delle rivolte popolari note poi come Primavera Araba. In Libia, le forze ribelli avevano appena preso il controllo di Bengasi, la città più importante dell’est del Paese, creando un proprio governo. L’esercito ribelle aveva un piccolo problema: stava finendo il carburante, c’era bisogno di diesel e benzina per i veicoli militari e di olio combustibile pesante per far funzionare le centrali elettriche. Le raffinerie libiche erano fuori uso a causa della guerra e nel Paese entravano solo qualche centinaio di camion dall’Egitto.

Vitol, una delle compagnie di trading più importanti al mondo, ebbe un ruolo chiave. Il Qatar aveva bisogno di sapere se Vitol avesse potuto rifornire Bengasi: il problema era che i ribelli non avevano soldi. Si decise che il pagamento fosse direttamente sotto forma di greggio dai giacimenti petroliferi controllati dai ribelli. Anche altre compagnie di trading erano pronte ad entrare nel deal libico ma Vitol fu la più aggressiva,anche grazie ai suoi collegamenti (geo)politici con Londra e Washington. Sempre nel loro ultimo libro, Farchy e Blas riportano che nel Regno Unito una “cella petrolifera” segreta al Foreign Office avrebbe lavorato per impedire alle forze di Gheddafi di ottenere carburante o vendere greggio a livello internazionale. Washington concesse una deroga alle sanzioni per consentire alle società statunitensi di acquistare petrolio libico da Vitol.

Anche in Kurdistan sono menzionate dinamiche simili. I trader erano disposti a prestare soldi in cambio di futuri carichi di petrolio. Alcuni entrarono direttamente nei deal come Vitol e Trafigura, altre come Glencore fecero qualcosa di più ingegnoso. Glencore infatti ritenne che il paese (in realtà non era un paese) era troppo rischioso quindi si rivolse alla comunità internazionale di investitori, vendendo un oil backed bond. Lo strumento finanziario SPV 1 DAC prometteva infatti un rendimento del 12% in cinque anni: un alto tasso di interesse, allettante per i fondi pensione americani come quello dei professori della Pennsylavania, i quali mai avrebbero immaginato che i loro risparmi sarebbero finiti in questa parte del mondo. Qualcosa di simile accadde in Chad dove Glencore facilitò l’arrivo di soldi attraverso un gruppo di banche e anche qui, come in Kurdistan, i fondi pensione come il Public Employees Retirement System dell’Ohio e il West Virginia Investment Management Board entrarono nel deal di Glencore in Chad.

Ci sarebbero anche altri casi che vedevano da un lato i trader e dall’altro paesi come il Kazakhstan nel 2016 o la Russia nel 2016 oppure con quelli addirittura sotto embargo come la Cuba di Castro e l’Iraq di Saddam; questi deal servivano non solo per il commercio delle materie prime ma come un vero e proprio supporto finanziario in mancanza di accesso alla comunità finanziaria internazionale.

Ma come hanno fatto le compagnie di trading di oggi a diventare così importanti? Occorre considerare quattro fasi.

La prima fase ha riguardato il mercato del petrolio quando era ancora controllato dalle “Sette Sorelle”. Un cambiamento strutturale rappresentato dalle fasi di nazionalizzazioni del Medio Oriente e Nord Africa negli anni 70’. Fu l’inizio di un cambio irreversibile. Se da un lato i leader mediorientali e nordafricani erano riusciti ad ottenere il pieno controllo delle loro risorse, dall’altro c’era bisogno di un mercato e i trader aiutarono a trovarlo. I trader iniziarono così a fare affari con i leader di quelli che poi sarebbero diventati noti poi come Petrostati.

In realtà il mercato iniziò ad aprirsi già da prima (fine anni 50) quando la Russia iniziò a vendere il suo crudo al di sotto di quello che era il prezzo ufficiale stabilito dalle Sette Sorelle.Come risposta all’iniziativa russa, nell’agosto del 1960 i dirigenti della Standard Oil of New Jersey decisero di tagliare il loro prezzo di circa il 7% senza consultare i governi dei paesi da cui producevano petrolio. Quest’azione unilaterale causò forte malcontento tra le popolazioni locali e non è un caso che un mese dopo i ministri del petrolio di alcuni paesi diedero vita a quello che sarebbe poi diventato l’OPEC. Le sette sorelle dovettero cedere una parte dei loro profitti per continuare a produrre in quei paesi. Allo stesso tempo i trader cominciarono a trattare volumi sempre più consistenti e la capacità di stabilire il prezzo iniziò gradualmente a spostarsi verso il mercato open. Lo spot market iniziò a crescere e a Rotterdam il prezzo era diverso di quello che veniva pubblicato dallo stesso OPEC…

La seconda fase parte dagli anni ’80 e riguarda la finanziarizzazione dell’economia globale e del settore bancario. Prima di questa fase i trader avevano bisogno di capitale per pagare ogni spedizione, la finanziarizzazione garantì l’accesso al denaro in prestito e alle garanzie bancarie. Questo significava commerciare maggiori quantità.

Infine negli anni ’80 altri prodotti finanziari davano la possibilità ai trader di “scommettere” sul prezzo futuro del barile. I trader potevano così fissare nel futuro il prezzo dello scambio fisico della materia prima, proteggendosi da movimenti avversi di prezzi.

La terza fase è legata al crollo dell’Unione Sovietica. Da un giorno all’altro stati che prima facevano riferimento a Mosca per la fornitura di materie prime, si trovarono a dover fare da soli gestendo le tante fabbriche e miniere che erano dislocate nei loro confini senza avere più un mercato finale. Il passaggio dall’economia pianificata al caos generato dal crollo dell’URSS rappresentò per i trader un’immensa opportunità, in alcuni casi arrivarono a sostenere le economie di interi governi.

Quando crollò l’Unione Sovietica l’alluminio, lo zinco, il petrolio, il carbone, tutte le materie prime confluirono sul mercato globale causando il crollo dei prezzi di alcune di esse. Le condizioni erano critiche e facevano deal di ogni tipo. Celebre la frase del Chairman della PepsiCo alla Casa Bianca: “stiamo disarmando l’Unione Sovietica più velocemente di voi” con riferimento ad un deal che vedeva da un lato i prodotti di PepsiCo dall’altro, come pagamento, 17 sommergibili, un incrociatore, una fregata e un destroyer.

La quarta ed ultima fase ha riguardato il risveglio del gigante dormiente. L’industrializzazione della Cina a partire dal 2000 ha rappresentato per i trader un’ulteriore spinta alla loro espansione. La Cina dal 1980 al 2010 è cresciuta del 10% anno su anno. Nel 1993 la Cina esportava petrolio, nel 2001 importava 1.5 milioni di barili al giorno, nel 2009 triplicò le importazioni e nel 2018 comprava quasi 10 milioni di barili al giorno.

Si parla di superciclo quando è la domanda a supportare l’aumento dei prezzi delle materie prime. Il prezzo del petrolio passò da 10 a 50 dollari dal 1998 al 2004.

Fare affari con paesi sotto sanzioni ha dei rischi.La crescita economica delle compagnie di trading le portò in spazi “extraeconomici” e in un certo senso più “geo-politici”. Qui gli attori, i pesi e le dinamiche sono differenti.

Nel 2017 Vitol caricò una petroliera con olio curdo, la Neverland, con circa 1 milione di barili diretta verso il Canada. Come noto il Kurdistan non è uno stato, il governo di Bagdad intervenne per bloccare la vendita di petrolio dalla regione indipendentista. La corte federale del Canada ordinò la cattura del cargo se fosse entrato nelle acque federali canadesi. La petroliera Neverland sparì dai radar diventando una nave fantasma, per circa 4 settimane nessun segnale era disponibile. Comparve nei pressi di Malta ma vuota, il suo carico era praticamente sparito e nessuno è mai venuto a sapere chi ha ricevuto carico.

Tra queste figura, una delle più grandi compagnie di trading era riuscita a crescere soprattutto grazie al supporto finanziario del gruppo BNP Paribas, in generale una delle banche più attive con i trader fin dagli anni ’70, che forniva prestiti a breve termine per comprare e vendere olio, metallo, grano. La banca però entrò nel mirino del governo americano perché aveva fatto affari con paesi sottoposti a sanzioni: Cuba, Iran, Sud Sudan. I prestiti erano in dollari e tecnicamente non era possibile prestare dollari a paesi in blacklist del governo americano. BNP fu costretta a pagare 9 miliardi di dollari. Gli USA utilizzavano la potenza del dollaro nel sistema finanziario globale per la loro “diplomazia economica”. Questo è stato possibile perché erano loro potenza dominante e le materie prime erano tutte prezzate in dollari. Oltre ai paesi sopra menzionati nel mirino finirono anche Venezuela e Russia.

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