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Cosa succede alle banche fra utili e ruolo sociale

Le banche italiane macinano utili record, ma la politica si interroga sul loro ruolo sociale: tra extraprofitto e responsabilità, serve un nuovo patto per il credito e la crescita. Il taccuino di Guiglia

 

L’ormai riconosciuta solidità delle banche italiane rappresenta non soltanto un fiore all’occhiello del nostro sistema, ma anche un pilastro della stabilità finanziaria nei Paesi dell’euro. E che le banche d’Italia siano in buona salute, lo conferma l’utile da primato che esse hanno registrato l’anno scorso: più di 46 miliardi. Che diventano 112 se lo sguardo e l’analisi si estendono al triennio 2022-2024.

Da tempo e in maniera compulsiva, ma ricorrente, la politica s’infervora e si divide sul che fare -se qualcosa si può o si deve fare-, con l’extraprofitto.

E’ la parolina magica di pifferai spesso improvvisati, perché ha un suono stonato. Chi stabilisce quale sia la soglia del guadagno per un istituto privato? E come si fa a immaginare quasi una tassa per vendetta?

Siccome hai fatto bene o troppo bene, ne dovrai pagare le conseguenze.

Ma quella parolina abusata ha il dono della chiarezza. Perché tutti immediatamente capiscono che, nel momento in cui la società tira la cinghia e l’economia ha bisogno di essere stimolata per crescere, c’è un conclamato guadagno delle banche del quale governo e istituzioni hanno il dovere di interessarsi con gli istituti interessati.

Non per vetero ideologismo contro i banchieri ricchi, sporchi e cattivi, come pure una parte trasversale nei partiti pensa anche quando non lo dice. Ma perché il ruolo sociale della libera iniziativa privata è stabilito nella Costituzione, che tutto ciò riconosce e tutela: la libertà di chi intraprende e pure i “fini sociali” a cui l’attività economica pubblica e privata può essere opportunamente indirizzata (articolo 41).

Ma anche volando basso, un cittadino qualunque e un contribuente indefesso non si lamenterebbero dell’extraprofitto altrui, se vedessero che in compenso gli istituti bancari danno il credito giusto, anziché col contagocce, ai giovani, alle famiglie, alle piccole e medie imprese, a quanti decidono di mettersi in gioco.

Quanto è facile dare soldi a chi già ne ha. Più impegnativo è mostrare fiducia nei riguardi di chi comincia, osa, investe senza santi né denari in paradiso. Alle banche si richiede lo stesso coraggio e la stessa lungimiranza per lo sviluppo di ogni attività e personalità. “La Repubblica disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”, prescrive, del resto, un altro articolo della Costituzione, il 47, alla fonte del necessario e costruttivo confronto tra banche e politica.

Proprio perché è solido e benestante, il sistema bancario non può più chiudersi nelle torri d’avorio. Nessun risiko bancario e nessuna scelta di applicare o no il potere d’oro (“golden power”) a tutela di settori strategici devono distogliere lo sguardo del governo da quest’altro interesse nazionale: in che modo rilanciare il ruolo sociale delle banche. Rilanciare, non dettare o decretare perché, se lo Stato siamo noi, la politica bancaria ne è uno dei suoi liberi fondamenti.

Il dialogo con gli extra-profittatori, che spetta al mondo politico coltivare, non potrà che dare “utili” risultati all’Italia tutta, che è in perenne cammino.

(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)

www.federicoguiglia

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