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Cdp

Cosa può e deve fare la Cdp, il tesoro del Tesoro

Pubblichiamo un breve estratto del libro di Roberto Sommella “Gli arrabbiati. La prima guerra di secessione europea” che sarà presentato lunedì 5 novembre alle ore 17, in Fieg a Roma, Via Piemonte 64

Le privatizzazioni finora compiute in Italia, dal 1992 ad oggi, hanno fatto incassare allo Stato 170 miliardi di euro ma il
debito è rimasto altissimo: oltre il 133% del Pil e sopra i 2.300 miliardi di euro. È evidente che va ristrutturato, senza vendere
i pochi gioielli di famiglia che peraltro sono finiti quasi tutti in mani straniere.

Per anni si è parlato di un taglio del debito pubblico e della necessità di fare una stima degli assets statali da dismettere. L’ultima
risale a dieci anni fa. Il patrimonio pubblico, mobiliare e immobiliare, sarebbe pari a circa 400 miliardi di euro, da un’azione
dell’Eni al faro sperduto in Sardegna. Serve una due diligence seria e immediata per capire due cose: a quanto ammonta
attualmente questo patrimonio e quanti sono davvero i debiti fuori bilancio, quei “pagherò” dell’amministrazione di cui non
si trova traccia negli impegni di spesa.

La Corte dei Conti è arrivata a stimare nel 10% quella parte di bilancio pubblico che non ha riscontri cartacei nei libri di bilancio. A ciò deve essere preposta una struttura apposita della Ragioneria Generale dello Stato, messa troppo da parte e invece struttura di eccellenza,
con il contributo della Corte dei Conti, senza nominare inutilmente un commissario esterno alla Spending Review.

Una volta verificata l’entità di questo patrimonio, che spesso non produce alcun reddito, va messo a frutto emettendo titoli
di debito nuovi che possano essere scambiati con altri già in circolazione, che andrebbero poi cancellati.

Parallelamente a questa operazione, occorre inserire nella legislazione italiana, sulla base del principio comunitario di reciprocità,
una norma che preveda l’impossibilità per uno Stato membro di scalare un’azienda nazionale ritenuta strategica. È inaccettabile che i francesi blindino le loro aziende e poi gestiscano o addirittura comandino, in giganti un tempo pubblici o quanto meno italiani, come Generali, Telecom, Parmalat, Mediobanca, Unicredit.

Tutte le banche italiane più importanti sono attualmente sotto il controllo di fondi esteri, quando una volta erano a guida statale. Questo ha comportato da una parte, un impoverimento dell’economia italiana e dall’altra, una dipendenza dello stesso gestore del debito pubblico dagli istituti di credito che ancora oggi detengono nei loro bilancio un quarto dei titoli emessi dal tesoro.

L’Italia deve riappropriarsi dei suoi gioielli nazionali e questa operazione andrebbe portata avanti con il tesoro del Tesoro, la Cassa Depositi e Prestiti.

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