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Quando Automobile Uccise Cavalleria

Cosa c’entra la Fiat con la fine di un’epoca (e della cavalleria)

Il libro "Quando l’automobile uccise la cavalleria" di Giorgio Caponetti letto da Tullio Fazzolari

 

Che la realtà superi l’immaginazione è considerata ormai una frase fatta quasi come non esistono più le mezze stagioni. Però arriva spesso la conferma che è proprio così. Tanto che, per scrivere un romanzo davvero originale evitando la solita banalità della finzione, non serve inventare trame e personaggi di fantasia.

Quando l’automobile uccise la cavalleria di Giorgio Caponetti (Utet, 460 pagine, 20 euro) è la ricostruzione di una storia italiana del primo Novecento attraverso ricordi e testimonianze di chi ha visto o ha sentito raccontare. Se la narrazione è assolutamente da romanzo tutto il resto è pura realtà. Magari con qualche approssimazione perché, come premette l’autore, in un romanzo storico è la storia che si adatta alla fantasia e non viceversa ma una cosa è sicura: per oltre un secolo quasi nessuno (tranne Pietro Bairati e Valerio Castronovo) s’era mai preso la briga di raccontare questa storia.

I protagonisti sono alcuni giovani e brillanti ufficiali di cavalleria che poi avranno destini diversi. Federico Caprilli sarà ricordato come il più grande campione di equitazione di tutti i tempi. Il suo compagno d’armi e, soprattutto, il suo migliore amico è Emanuele di Bricherasio: erede di una delle più nobili famiglie piemontesi, lascerà l’esercito per dedicarsi all’industria dell’automobile creando prima la Ceirano e poi la Fiat di cui, di fatto, è stato il vero ideatore. Successivamente, quando la società viene costituita davanti al notaio, compare finalmente un altro ex ufficiale di cavalleria: Giovanni Agnelli che sarà poi protagonista indiscusso dell’espansione della casa automobilistica torinese.

Caprilli non cambierà stile di vita e resterà sempre un cavaliere. Bricherasio e Agnelli condivideranno la passione per l’innovazione, per i motori e per l’auto. Ma l’affinità di idee si fermerà lì. Sul modo di concepire l’industria avranno punti vista diametralmente opposti.

Agnelli, ricco e borghese, pensa già in grande anticipando sotto molti aspetti la visione che ne avrà Henry Ford. L’aristocratico Bricherasio è invece molto attento alle questioni sociali tanto da essere soprannominato il conte rosso: vede l’industria e l’automobile innanzi tutto come uno strumento di crescita della società e dei lavoratori e in questo anticipa di mezzo secolo quelli che saranno gli ideali di Adriano Olivetti.

La collaborazione fra i due si rivela presto impossibile e finisce con una clamorosa rottura: Bricherasio viene estromesso e Agnelli resta padrone incontrastato della Fiat. Quale sarà l’epilogo?

Purtroppo non sempre vincono i migliori ma il modo in cui Caponetti racconta i protagonisti di Quando l’automobile uccise la cavalleria (titolo già emblematico) stimola ad arrivare fino all’ultima pagina. E in conclusione ne sapremo di più non solo su come è andata veramente la nascita della Fiat ma anche su come era l’Italia di quell’epoca.

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