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Silicon Valley

Cosa c’è che non va nei calcoli delle aziende della Silicon Valley

Ecco perché la remunerazione dei lavoratori pagata attraverso “Stock Based Compensation” oggi può rappresentare un problema per le aziende della Silicon Valley. L'analisi di Alberto Artoni, Portfolio Manager US Equity di AcomeA SGR

 

Gli analisti finanziari sanno bene che, per misurare in modo efficace la performance di un’azienda, può rendersi necessario, di tanto in tanto, derogare ai principi contabili, in modo da poter analizzare al meglio la situazione reddituale e patrimoniale.

Nel singolo trimestre possono, infatti, verificarsi eventi particolari che non impattano lo stato di salute del business. In questi casi, per loro natura rari, gli operatori calcolano una stima dei risultati aziendali definita “adjusted”, che non considera cioè gli effetti dell’evento atipico, in modo da avere una stima dell’andamento dell’operatività direttamente confrontabile con i periodi precedenti.

Inoltre, spesso le aziende condividono con gli investitori ulteriori metriche di misurazione della performance dell’impresa, che, pur non avendo una definizione ufficialmente stabilita dai principi contabili, aiutano il mercato a comprendere l’evoluzione del business. Queste pratiche, però, pur essendo pienamente legittime, tendono, nei momenti di grande euforia, a focalizzare l’attenzione degli operatori sugli elementi positivi, mettendo in ombra, o quantomeno rimandando, un’attenta analisi delle criticità.

Riteniamo che questo rappresenti oggi un problema per la Silicon Valley, dove una parte significativa della remunerazione dei lavoratori viene pagata attraverso sistemi di assegnazione di azioni noti come “Stock Based Compensation”.

Di per sé, la pratica costituisce un elemento positivo: gli interessi dei lavoratori e quelli degli azionisti sono maggiormente allineati, stimolando la così la produttività e la cooperazione. Il problema, a nostro giudizio, risiede nella prassi diffusa tra analisti ed investitori di “ignorare” i costi legati alla “Stock Based Compensation”, nonostante i principi contabili li classifichino come tali.

In questo caso spesso le aziende stesse forniscono stime cosiddette “adjusted” o “non GAAP”, che escludono sistematicamente questi costi, presentando così un risultato significativamente migliore di quello calcolato secondo gli standard contabili.

Secondo le nostre stime, oltre il 90% dei componenti del Nasdaq paga in Stock Based Compensation in media il 5% circa del fatturato generato nell’anno. Questa cifra potrebbe sembrare poca cosa a prima vista, ma un aumento/diminuzione della marginalità del 5% ha in realtà un impatto significativo sulla valutazione di un’azienda. Ancora più significativo è però l’impatto su alcuni sottosettori della tecnologia, che hanno raggiunto valutazioni da capogiro in concomitanza dei massimi del 2021 e hanno da allora iniziato una severa correzione.

Prendiamo ad esempio l’indice Nasdaq Emerging Cloud (circa -60% dai massimi), che rappresenta le aziende produttrici di software legate al trend secolare di transizione dai server di proprietà al cloud. Le aziende di questo indice pagano in media, secondo le nostre stime, circa il 24% del loro fatturato in “Stock Based Compensation”.

L’utilizzo di sistemi di retribuzione in azioni tende ad incidere in modo più marcato sulle aziende più “giovani” e innovative, con le più elevate potenzialità di crescita. Queste aziende, per poter competere con i concorrenti più grandi e affermati, devono offrire consistenti pacchetti azionari per attrarre i talenti necessari a creare il livello di innovazione funzionale a raggiungere le forti ambizioni di crescita.

A nostro giudizio, quindi, la mancanza di disciplina da parte degli operatori ha permesso di “dimenticare” costi per loro natura ricorrenti pari al 24% del fatturato, contribuendo così a spingere le valutazioni oltre le 12 volte il fatturato, a fronte di aziende che nell’80% dei casi non sono ancora arrivate al pareggio di bilancio.

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