La notizia del dietrofront di Donald Trump sui dazi alla Cina, con l’intesa trovata per abbassare le tariffe reciproche e una pausa di almeno 90 giorni nella guerra commerciale, ha ridimensionato il cosiddetto “Liberation day”. Cioè il giorno in cui il presidente statunitense aveva trionfalmente annunciato i dazi a tutto il mondo. Era giusto poche settimane fa. Già dopo pochi giorni aveva sospeso le tariffe con molti paesi per dare il via a negoziati. E ora, dopo i colloqui tra le delegazioni degli Stati Uniti e della Cina in Svizzera nello scorso fine settimana, è arrivata la retromarcia con Pechino.
“Raramente una politica economica è stata ripudiata in modo così netto e rapido come i dazi del Giorno della Liberazione del presidente Trump, per mano dello stesso Trump”, è il lapidario commento del board editoriale del Wall Street Journal. I motivi di tale scelta possono essere molti e allo stesso tempo pochi. Uno di questi, sicuramente, è il contraccolpo economico subito dalle grandi aziende Usa, quella che viene definita la Corporate America.
IL CASO APPLE, COSA SI SONO DETTI TRUMP E TIM COOK
Soltanto pochi giorni fa, infatti, le più grandi aziende statunitensi hanno comunicato risultati, stime e proiezioni che inquadravano l’impatto delle tariffe di Trump. In pratica, come e quanto le compagnie si preparavano a perdere o a spendere in più del previsto. Tra queste, anche il colosso Apple. Per l’azienda fondata da Steve Jobs, l’aumento dei costi stimato solo nel trimestre in corso era di 900 milioni di dollari. Ciononostante alcuni prodotti Apple erano stati esentati dai dazi più elevati (145%) che Washington aveva adottato sulle importazioni dalla Cina. Dopo l’annuncio dell’intesa con la Cina, lunedì le azioni Apple sono salite.
E Trump ha dichiarato di aver parlato con Tim Cook, ceo dell’azienda. “Credo che ridurrà i costi”, ha affermato il presidente Usa. Per poi aggiungere: “Con 500 miliardi di dollari costruirà molti stabilimenti di Apple negli Stati Uniti”. Il riferimento era alla promessa fatta ad a febbraio dall’azienda di spendere quei 500 miliardi per sviluppare le sue attività nel paese, magari portando la produzione di molti suoi dispositivi negli Usa. Almeno questa era la speranza della Casa Bianca. La marcia indietro sui dazi, per l’amministrazione americana serve proprio a dare impulso a questo processo.
I DANNI PER L’INDUSTRIA AUTO E MOTO
Ad ogni modo, le altre grandi aziende americane erano sulla stessa lunghezza d’onda. General Motors, per esempio, prevedeva un calo di 5 miliardi di dollari quest’anno, per via soprattutto delle sue importazioni di veicoli da Canada, Messico e Corea del Sud. L’altra grande azienda automobilistica, Ford, ha calcolato una riduzione dell’Ebit per un miliardo e mezzo di dollari, sempre per quest’anno. E la casa motociclistica della Harley-Davidson ha stimato costi superiori per 175 milioni di dollari.
LE STIME DEL SETTORE TECH
Nei settori tech è lo stesso. Nvidia, come sottolineato da Bloomberg, aveva stimato “un onere di 5,5 miliardi di dollari per i nuovi controlli sulle esportazioni” solo nel trimestre in corso. Anche Meta ha reso noto che le sue previsioni di spesa in conto capitale per l’anno in corso sono salite di 7 miliardi di dollari, soprattutto a causa dei costi maggiori per le componenti provenienti dall’estero. Microsoft ha subìto meno, aumentando le vendite di Windows e altri prodotti perché i clienti hanno spinto per accumulare scorte. Mentre Amazon ha anticipato alcuni acquisti del primo trimestre, proprio in previsione dei dazi, ma è stata una mossa che ha ridotto il suo profitto nel primo trimestre di circa 1 miliardo.
LE PROIEZIONI NEGATIVE DELLA CORPORATE AMERICA
I danni sono stati stimati da tutta una serie di altre aziende della Corporate America. Da Procter&Gamble, che ha previsto un aumento di 1,5 miliardi di dollari dei suoi costi annuali, a Stanley Black & Decker, per cui l’impatto possibile era di 1,7 miliardi di dollari. Passando per i giganti della Difesa e dell’aerospazio. Rtx Corp a fine aprile aveva dichiarato di aspettarsi una riduzione dei profitti per 850 milioni di dollari, Honeywell International, Ge Healthcare Technologies e Ge Aerospace avevano previsto ognuna danni per 500 milioni. Mentre Boeing si preparava a veder aumentare i costi della sua produzione di altri 500 milioni. Numeri enormi, resi noti senza tanti filtri proprio per mandare un monito – diretto o indiretto – all’amministrazione Trump. Della serie: così ci facciamo male tutti. E la Casa Bianca sembra aver recepito il messaggio.