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Landini

Contratti: i numeri, la realtà e i sogni (della Cgil)

Qual è lo stato dell'arte sui contratti di lavoro? L'approfondimento di Giuliano Cazzola

 

Come stanno i sindacati in Italia? Cgil, Cisl e Uil sono in difficoltà? Devono cedere il passo, da un lato, alle organizzazioni-pirata, dall’altro, al sindacalismo sfascista di base? Hanno la necessità di una nuova legislazione di sostegno, 50 anni dopo lo Statuto dei lavoratori? La prima risposta rassicurante proviene dalla marcata concentrazione dei lavoratori su pochi contratti collettivi che si riscontra in tutti i settori contrattuali. Si sa che il numero dei contratti nazionali è molto aumentato negli ultimi anni per via dei c.d. contratti pirata: accordi in regime di dumping sociale a scapito delle retribuzioni e dei diritti dei lavoratori. In apparenza il fenomeno è preoccupante, ma si porta appresso una eccessiva drammatizzazione. E’ vero che ben 353 CCNL su 933 (pari al 38%) sono stati sottoscritti da firmatari datoriali e sindacali non rappresentati al CNEL, ma tali contratti risultano applicati a 33 mila lavoratori su oltre 12 milioni (si tratta di circa lo 0,3%). Ciò mentre I 128 contratti collettivi sottoscritti da soggetti datoriali e sindacali rappresentati al CNEL, pari al 14% dei CCNL vigenti, riguardano poco più di 10,6 milioni di lavoratori, circa l’87% del totale dei lavoratori. Per 7 settori contrattuali, sui 12 per i quali disponiamo del dato sul numero dei lavoratori, il CCNL maggiormente applicato copre da solo almeno la metà di tutti i lavoratori dipendenti del settore. Si tratta dei seguenti settori: “meccanici”, “tessili”, “alimentaristi”, “terziario, distribuzione, servizi”, “trasporti”, “credito e assicurazioni”, “CCNL plurisettoriali, micro-settoriali, altri”. In tutti i settori contrattuali, i primi 5 CCNL maggiormente applicati interessano almeno l’80% dei lavoratori, e in 6 settori su 12 più del 90%. (Fonte: Cnel, XXIII Rapporto sul mercato del lavoro e della contrattazione)

Per le peculiarità settoriali e tematiche che la caratterizzano, è utile trattare separatamente la contrattazione territoriale che conta in tutto 146 contratti, suddivisi tra accordi regionali, provinciali e di sito, distretto o filiera. Oltre la metà di questi documenti è stata firmata nel 2021 ( Regionali 24, 16,4%; Provinciali 118, 80,8%; Sito/distretto/filiera 4, 2,7%. Questo tipo di accordi, che hanno sempre un riferimento geografico, sono prevalentemente riferiti alle regioni del Nord-est, tra cui spicca l’Emilia Romagna che da sola conta circa il 14% dei contratti territoriali. Va comunque sottolineato che circa un quarto di questo gruppo di accordi riguarda territori meridionali, in particolare si tratta di molti rinnovi del settore agricolo. (Fonte: Fdv-CGIL, terzo report).

Quanto alla frequenza delle aree tematiche degli accordi territoriali (% calcolate entro il tot. di accordi territoriali) si riscontrano le seguenti ripartizioni: Relazioni e Diritti sindacali 101 accordi (66%); Inquadramento e formazione 86 accordi (56,2%); Occupazione e rapporto di lavoro: 78 (51%); Trattamento economico: 76 (49,7%); Orario di lavoro: 53 (34,6%); Ambiente, salute e sicurezza: 42 (27,5%) Diritti e prestazioni sociali 35 (22,9%); Welfare integrativo: 23 (15%); Politiche industriali e crisi aziendali: 23 (15%); Organizzazione del lavoro: 22 (14,4%). (Fonte: Fdv-CGIL, terzo report).

Il rapporto della Fondazione Di Vittorio (CGIL), tra i tanti dati interessanti (come i riferimenti alla contrattazione nei più importanti comparti merceologici) affronta il tema degli accordi aziendali che costituiscono circa l’85% del totale di contratti presenti in archivio. In particolare, gli accordi aziendali siglati tra il 2019 e il 2021 e analizzati (come campione) in questo terzo report sono in tutto 1.839, divisi tra: gruppi (37%), unità produttive (8%) e aziende (55%). Vengono presentate le frequenze relative alle singole aree tematiche per i soli accordi aziendali e si può osservare come le distribuzioni risultino piuttosto simili al quadro generale della contrattazione collettiva. La ricchezza tematica -intesa sia come ampiezza che come variabilità dei temi affrontati- che caratterizza questo gruppo di accordi è caratterizzata principalmente dalla natura contrattuale molto varia che compone il campione. Nonostante molti degli accordi aziendali siano integrativi o rinnovi (principalmente CIA, integrativi su specifici aspetti contrattuali e rinnovi di contratti sul premio di risultato), ci sono altri consistenti gruppi di documenti che si caratterizzano per alcune specificità tematiche: Rinnovo/Integrativo 111 accordi (60,8%); Difensivi 83 (4,5%); Ultrattività/Proroga/Accordo Ponte 60 (3,3%); Nuovo Accordo 55 (3%); Accordi Covid: 404 (22%); Accordo FNC: 119 (6,5%) per un totale di 1839 accordi.

Quanto ai contenuti vengono segnalati i seguenti: trattamento economico; orario di lavoro; politiche industriali e crisi aziendali; inquadramento e formazione; ambiente, salute e sicurezza; occupazione e rapporto di lavoro; welfare integrativo; diritti e prestazioni sociali. E’ poi appena il caso di ricordare, nel momento in cui si riparla di salario minimo legale (smic) su indicazione della Ue, che il nostro Paese ha un livello di copertura della contrattazione collettiva (si veda il grafico, dove risulta al scendo posto tra i grandi Paesi dopo la Francia) che lo escluderebbe dall’applicazione (peraltro non obbligatoria) della direttiva quando sarà approvata. Insomma, in Italia i sindacati sono presenti, attivi e svolgono il loro ruolo. Certo, rispetto al 1980, in Italia il tasso di sindacalizzazione in tutti i settori è diminuito del 15%, ma si tratta sempre di dieci punti in meno della diminuzione media dei Paesi OCSE.

Nei giorni scorsi è stato sottoscritto il rinnovo contrattuale del settore chimico e farmaceutico. In questo settore la contrattazione collettiva è molto avanzata e le relazioni industriali sono eccellenti, tanto a livello nazionale che decentrato. Il Centro Studi Adapt ha dedicato un numero speciale del suo Bollettino alle esperienze negoziali di questa categoria. Non si era ancora asciugato l’inchiostro di quelle firme che la Cgil ha promosso, da solo, per il 18 giugno una manifestazione a sostegno della pace e delle sue rivendicazioni. A leggere le dichiarazioni del segretario generale Maurizio Landini (in una intervista di Nunzia Penelope su Il Diario del Lavoro) ad illustrazione dei motivi dell’iniziativa, viene da chiedersi se vi sia coerenza tra la linea e le rivendicazioni del vertice della Cgil (Jean-Luc Mélenchon direbbe: ‘’Poi date dell’estremista radicale a me?!) e il riformismo di strutture protagoniste di relazioni industriali di alto livello come quelle che abbiamo descritto. Seguiamo insieme il filo del discorso di Landini.

Sulla pace, la Cgil resta contraria all’invio delle armi in Ucraina; chiede infatti il “cessate il fuoco’’ immediato e l’apertura di un negoziato, nel quale l’Europa deve svolgere una vera azione diplomatica”. Molto bene. Ma chi ci va a svolgere quell’iniziativa e ad imporre il cessate il fuoco? Landini, magari insieme a Papa Francesco? E come deve essere il negoziato? Una resa dell’Ucraina, perché disarmata non potrebbe agire diversamente? Ma lasciamo Landini a bandire la guerra nel campo delle relazioni internazionali, come ha proclamato dal palco a piazza San Giovanni, a Roma. Il suo pacifismo finisce con la medesima desinenza di ‘’gargarismo’’.

Per quanto riguarda il lavoro, la Cgil chiede la fine “della precarietà, del finto lavoro autonomo, del lavoro povero e sommerso”; chiede “investimenti” che possano garantire “buona e stabile occupazione”; il rinnovo dei contratti nazionali e l’aumento dei salari; la legge sulla rappresentanza sindacale e l’estensione erga omnes della validità dei contratti nazionali; un piano straordinario di assunzioni per donne, giovani e Mezzogiorno; un investimento specifico per la salute e la sicurezza; il diritto alla formazione permanente.

Infine, per il capitolo “giustizia sociale e democrazia”, la Cgil ha presentato un lungo elenco di richieste: sostegni strutturali per i redditi più bassi, ribadendo che i 200 euro di bonus decisi dal governo non bastano; l’aumento del netto in busta paga e la diminuzione del carico fiscale per lavoratori e pensionati; l’aumento del valore e della platea della quattordicesima per i pensionati; contributo di solidarietà straordinario sulle grandi ricchezze; aumento dei finanziamenti per sanità, scuola, università e ricerca pubbliche; una legge sulla non autosufficienza; l’istituzione della pensione di garanzia per precari, lavoratori discontinui e, infine, il superamento della legge Fornero.

Manca solo che si chieda al governo di fare piovere, altrimenti tra un po’ sentiremo dire dal vertice del più grande sindacato italiano: ‘’Non piove! Governo ladro!’’.

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