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Concessioni balneari: stessa spiaggia, stesso mare?

In Italia non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge da affidare ai privati. Ma soprattutto non c'è un catasto aggiornato che dica quante sono le concessioni balneari

 

Nemmeno Mario Draghi è riuscito a scalfire il potentato dei balneari, prima rinviando l’applicazione della normativa europea nel tentativo di aggiornare le concessioni balneari, poi cadendo sul dl Concorrenza. Sul tema l’Ue ci insegue e striglia da anni: servono gare trasparenti e realmente accessibili a tutti. Ma, anzitutto, servono gare, perché da noi le concessioni durano così a lungo da passare persino di padre in figlio, in via ereditaria. Non sorprende perciò che la Corte di Giustizia abbia sentenziato che “non possono essere rinnovate automaticamente”, ma debbano essere “oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente”.

COS’È LA BOLKESTEIN

Tutto ha inizio con l’emanazione, a livello europeo, della direttiva n.2006/123/CE, meglio nota come Direttiva Bolkestein, promulgata al fine di eliminare le barriere allo sviluppo del settore dei servizi tra gli Stati membri, garantendone una crescita sostenibile che rafforzasse ancora di più l’integrazione tra i cittadini della Comunità e migliorasse il tenore e la qualità della vita dei cittadini e lavoratori anche attraverso la semplificazione delle procedure amministrative.

I servizi, si legge nei lavori preparatori, rappresentano infatti il 70% dell’occupazione in Europa, e la loro liberalizzazione, a detta di numerosi economisti, aumenterebbe l’occupazione ed il PIL dell’Unione Europea. La direttiva, finalizzata a promuovere la libera circolazione dei servizi, è stata recepita dall’Italia con il decreto legislativo n.59/2010.

CHI L’APPOGGIA E CHI L’AVVERSA

E da allora è diventata lo spauracchio degli ambulanti e dei balneari, le principali categorie che esercitano una attività economica sul suolo pubblico, avuto in concessione, appunto. Ma soprattutto, è diventata il cavallo di battaglia del centro destra, osteggiata con fermezza da figure di spicco quali Renato Brunetta (figlio di ambulanti) e da Matteo Salvini.

Chi la critica sostiene che con bandi europei i nostri imprenditori rischierebbero di essere scalzati da quelli esteri, perdendo il frutto degli investimenti fatti finora. Chi invece l’appoggia, sposa la tesi europea, che è quella poi del mercato liberale, ricordando come le concessioni eterne, oltre a rappresentare una anomalia tutta italiana, sono causa di mancati incassi rilevanti per il nostro Stato, che finisce così per regalare a poche famiglie i suoi beni più preziosi: quei litorali presi d’assalto ogni estate da milioni di turisti.

MANCA IL CATASTO DELLE CONCESSIONI BALNEARI

Ma c’è una questione che dovrebbe imbarazzarci ulteriormente: così come il catasto fabbricati non è più stato aggiornato ed è diventato una questione politica (anche questa è costata cara a Draghi, se si ripercorrono le ultime, convulse, settimane del suo esecutivo), anche quello marittimo versa nel caos.

Insomma, non abbiamo idea di quante siano le concessioni balneari, chi paghi e, soprattutto, quanto si paghi. La questione si trascina da parecchio, i vari livelli di burocrazia si rimpallano la responsabilità: i Comuni attendono direttive certe da Roma, dalla capitale replicano che prima bisogna mappare e poi decidere.

Tant’è, quando si parla di numeri la questione si fa scivolosa e difatti come si vedrà a breve, i numeri non tornano mai, con discrepanze davvero significative e quasi inebrianti. Le certezze sono poche e riguardano le contestazioni dell’Ue: la scarsa trasparenza sulle concessioni balneari, i canoni per buona parte ancora irrisori e soprattutto l’assenza di un regolare e affidabile censimento delle concessioni balneari ed in generale di quelle sul Demanio marittimo. Il dato sui canoni di concessioni è fermo al 2021. Sappiamo che abbiamo 8.300 chilometri di costa: quel che vi accade sopra è invece più difficile stabilirlo. Per Legambiente parliamo di 12.166 concessioni per stabilimenti balneari. La fonte sono i dati del monitoraggio del Sistema informativo demanio marittimo (S.I.D.), effettuato a maggio 2021. Unioncamere censisce 6.823 stabilimenti (qui altri dati ancora), responsabili di ben 29.689 concessioni. La spartizione, insomma, avviene tra pochissimi soggetti.

IL MANCATO GUADAGNO PER LO STATO

Ci guadagnano in pochi, ci perdono tutti. Nel report, Legambiente ricorda che tra i nervi scoperti c’è anche la scarsa trasparenza dei canoni pagati per le concessioni e la non completezza dei dati sulle aree che appartengono al demanio dello Stato. Grazie però alla relazione della Corte dei Conti “La gestione delle entrate derivanti dai beni demaniali marittimi” si scoprono alcune cifre importanti. Per il 2020 le previsioni definitive sull’ammontare dei canoni parlano di 104,8 milioni di euro in totale in Italia, ma di una cifra accertata di 94,8 milioni, di cui 92,5 milioni riscossi. Si tratta di un decremento del 12% rispetto al 2019, in parte, secondo la relazione “da ascriversi alla situazione straordinaria generatasi dall’emergenza epidemiologica da Covid-19 e dai conseguenti numerosi provvedimenti normativi emanati per fronteggiarla”. I dati della media 2016-2020 parlano di entrate accertate per 103,9 milioni di euro annui, con 97,5 milioni riscossi. “A vedere questi numeri, senza confronto rispetto al giro d’affari del settore, sembra quasi che allo Stato non interessino i canoni delle spiagge”, il commento di Legambiente.

“Persino Flavio Briatore chiese allo Stato di poter pagare di più, imbarazzato per il canone annuale del suo Twiga, lo stabilimento a Marina di Pietrasanta di cui è proprietario”, ricorda un articolo della Stampa di fine 2021. Che poi fa qualche esempio utile a comprendere la situazione: A Santa Margherita Ligure, il Lido Punta Pedale versa all’erario 7.500 euro l’anno, il Metropole 3.600, il Continental 1.900. A Forte dei Marmi il Bagno Felice corrisponde 6.500 euro per 4.860 metri quadri occupati. A Punta Ala, l’Alleluja 5.200 euro per 2.400 metri e il Gymnasium 1.200 per 2.100 metri. A Capalbio, lo stabilimento l’Ultima Spiaggia versa 6 mila euro per 4.100 metri quadri. Il Luna Rossa di Gaeta ne sborsa 11.800 mentre il Bagno azzurro di Rimini 6.700. In Sardegna, per le 59 concessioni del comune di Arzachena, lo Stato porta a casa solo 19 mila euro. Il Papeete beach di Milano Marittima del leghista Massimo Casanova paga 10 mila euro di affitto rispetto a un fatturato di 700 mila euro.

I NUMERI DEI BALNEARI

Replicano i balneari: “103.620 concessioni, 6.318 stabilimenti balneari, meno di un’impresa per chilometro di costa e un miliardo di fatturato annuo complessivo, che significa una media di 159.000 euro per azienda”. Sono i numeri di un’indagine elaborata dal Sindacato italiano balneari aderente a Fipe-Confcommercio. Il fatturato dei soli stabilimenti balneari italiani secondo uno studio del Sib-Confcommercio ammonterebbe a poco più di un miliardo di euro, e non a 13 come riportato da un report ben più risalente, del 2004, di Nomisma.

“Se si conta che gli stabilimenti balneari – fanno presente sempre i balneari – sono 6.318, ciò significa che in media ogni impresa ha introiti equivalenti a circa 159.000 euro a stagione, che non è una cifra trascurabile, ma non è nemmeno il guadagno astronomico che fanno credere certi articoli faziosi della stampa generalista. Di questo miliardo di euro, 629 milioni provengono dai turisti italiani e 374 dai turisti stranieri, per una spesa media di 13,4 euro al giorno proveniente da 75 milioni di persone che frequentano gli stabilimenti balneari per le loro vacanze estive”.

LE REGIONI CON PIU’ CONCESSIONI BALNEARI

In alcune Regioni, sottolineano invece da Legambiente, troviamo dei veri e propri record a livello europeo, come in Liguria, Emilia-Romagna e Campania, dove quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari. Nel Comune di Gatteo, in Provincia di Forlì e Cesena, tutte le spiagge sono in concessione, ma anche a Pietrasanta (LU), Camaiore (LU), Montignoso (MS), Laigueglia (SV) e Diano Marina (IM) siamo sopra il 90% “e rimangono liberi solo pochi metri spesso in prossimità degli scoli di torrenti in aree degradate”.

INIZIA LA MAPPATURA?

Ma con l’ultima sentenza qualcosa potrebbe cambiare. Dovrebbe difatti partire la mappatura, sostenuta a livello politico anche da chi ha sempre avversato la Bolkestein. Questo perché la direttiva europea e la stessa pronuncia prevedono che le concessioni balneari siano messe all’asta quando sono un bene scarso, valutando caso per caso: si confida insomma di dimostrare che ci sono tantissime spiagge da assegnare. Le sentenze gemelle del Consiglio di Stato davano per limitata la risorsa del bene spiaggia, ma vengono contestate dal mondo dei balneari proprio perché i giudici amministrativi non avrebbero avuto i numeri reali per dirlo. Serve, insomma, procedere con la mappatura. E poi partiranno ricorsi e appelli: quando si può dire che un bene è scarso? Quando che è sufficiente? Senza contare che la mappatura stessa potrebbe durare anni. Nel frattempo, tutto resterà così. Fino al prossimo cambio di marea.

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