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Come vanno i redditi dei professionisti. Report Adepp

Che cosa emerge dal X Rapporto sulle Casse della previdenza privatizzata associate all’Adepp

Di grande interesse il X Rapporto sulle Casse della previdenza privatizzata (associate all’AdEPP) a cui sono i liberi professionisti iscritti agli ordini e ai collegi (l’unica Cassa di lavoratori dipendenti è L’Inpgi che gestisce la previdenza obbligatoria dei giornali, una professione anch’essa ‘’ordinistica’’). Sono le 20 Casse di previdenza privata aderenti all’AdEPP che rappresenta oltre 1,5 milioni di professionisti. Una realtà complessa – è scritto nel Rapporto – emanazione di professioni anche molto diverse fra loro ma che si configurano unitariamente come un modello innovativo, che coniuga l’autonomia privata degli Enti stessi con la funzione pubblica esercitata. Il regime di privatizzazione (gestione autonoma di forme di previdenza obbligatoria, sotto la vigilanza del Ministro del Lavoro) degli Enti dei Liberi Professionisti è una caratteristica particolare del nostro sistema previdenziale e nasce da alcune norme di delega contenute nella legge finanziaria del 1994, con le quali il Governo Ciampi si proponeva di attuare un riordino degli istituti e delle discipline allora esistenti.

Un cammino ripreso dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 – Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare – e, in seguito, dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e dal decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, grazie ai quali si sono potuti costituire altri Enti, ex novo, sottoposti alle regole del calcolo contributivo. Il Rapporto affronta molti aspetti che meriterebbero una trattazione specifica, sia per quanto riguarda il comparto nel suo insieme, sia le singole Casse. Ci limiteremo in quest’articolo ad esporre e a commentare i capitoli dedicati ai redditi annui lordi dei liberi professionisti secondo i criteri adottati dal Rapporto. La tabella che segue mette in evidenza i dati rispetto al genere e all’anzianità (è bene far notare che in queste categorie l’attività viene portata avanti anche in età anziana, pure dopo il conseguimento della pensione, a fronte del versamento dei contributi e del relativo ricalcolo del trattamento.

Come si vede sia per gli uomini che per le donne (ferma restando una importante differenza di genere a scapito delle libere professioniste) la ‘’maturità’’ professionale coincide con quella anagrafica. Per tante ragioni: l’entrata anticipata nello svolgimento della professione, magari in migliori condizioni del mercato del lavoro specifico; la possibilità di consolidamento di una clientela; il fatto che gli under trentenni spesso sono in formazione negli studi già avviati. Per quanto riguarda il gender gap tra uomo e donna i dati raccolti dimostrano che è più marcato nel settore delle libere professioni che nel lavoro subordinato. Se nel settore del lavoro subordinato questo si assesta su una percentuale di circa il 4%, le libere professioniste guadagnano in media il 45% in meno dei colleghi uomini. I dati mostrano come, in media, nel sud Italia il reddito dichiarato sia del 50% inferiore al reddito dichiarato dai professionisti del Nord mentre la differenza tra Centro e Nord è di circa il 20%. Resta molto persistente la differenza di reddito tra uomini e donne quasi indipendente dalla provenienza geografica. Approfondendo le differenze di reddito dichiarato nelle diverse regioni italiane si vede chiaramente come vi sia una enorme differenza di reddito e, per ogni regione, tra uomini e donne. I professionisti che dichiarano maggiormente sono gli uomini in Lombardia con un reddito annuo medio di circa 65mila euro mentre il reddito più basso è dichiarato dalle professioniste calabresi, circa 13mila euro. È quasi ovvio ricordare un limite del Rapporto: mettere insieme i redditi di tutti i liberi professionisti – ancorché suddivisi per grandi macro-aree: sociale, giuridica ed economica, tecnica, sanitaria – porta ad una sorta di reductio ad unum realtà professionali molto differenti tra di loro rispetto alle stesse possibilità di guadagno. Purtroppo, commentare nel 2020 i dati del 2019 è come riferirsi ad un’altra epoca da cui ci divide la cesura del virus. La pandemia globale – afferma il Rapporto – ha influenzato enormemente anche il mondo delle libere professioni causandone una crisi senza precedenti. Per far fronte alla diminuzione dei redditi, il governo ha previsto, per ogni mese di completo lockdown (marzo, aprile e maggio), un bonus, denominato reddito di ultima istanza (RUI), di 600 euro per marzo ed aprile e 1000 per maggio da erogarsi ai liberi professionisti che ne facessero richiesta e ne avessero diritto. Il numero di liberi professionisti che ha fatto richiesta del RUI per almeno uno dei tre mesi è stato di 513.882, di questi 242.569 sono donne. Se confrontiamo questo dato con il numero di liberi professionisti risulta che il RUI è stato richiesto dal 47% con percentuali leggermente diverse tra uomini e donne (49% delle donne e 46% degli uomini). Come atteso la maggior parte delle domande è arrivata dalla Lombardia, regione con il maggior numero di abitanti e di liberi professionisti in Italia. Per comprendere meglio la distribuzione geografica delle domande, e quindi della crisi legata alla pandemia da COVID 19 la figura sottostante mostra la percentuale di richieste RUI calcolata sul numero di liberi professionisti delle singole regioni. Quanto ai richiedenti (si veda la tabella sottostante) il loro numero è inversamente proporzionale all’età.

 

 

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