Se le sanzioni occidentali contro la Russia non hanno sinora impedito a Paesi come la Turchia di fare il doppio gioco, continuando a rifornire Putin di beni dal potenziale impiego bellico, qualcosa sembra essere cambiato negli ultimi mesi. Lo evidenzia Bloomberg in un articolo da cui emerge la significativa flessione degli scambi commerciali sull’asse Ankara-Mosca.
Liaison dangereuse.
Perché, malgrado le sanzioni in vigore da due anni, un membro Nato come la Turchia continua a commerciare con la Russia di Putin?
Si tratta della classica domanda da un milione di dollari, anzi un miliardo come i minori introiti derivanti dal commercio turco verso Mosca di macchinari registrati nel 2023 in un calo dovuto, sottolinea il presidente della Machinery Exporters’ Association, ad una lista di prodotti sanzionati “in rapida espansione” a causa soprattutto del potenziale impiego bellico.
Scambi proibiti.
Ankara dunque esporta ancora in Russia macchinari, pompe idrauliche e motori elettrici ma in misura molto inferiore anche rispetto al recente passato, con una diminuzione dell’export complessivo rispetto all’anno scorso che il Ministero del Commercio turco ha fissato giovedì nel 33,7%.
Si tratta, scrive Bloomberg, di un brutto colpo per le compagnie turche e soprattutto per un governo che sta tentando disperatamente di aggiustare la bilancia commerciale in deficit, in un obiettivo reso impervio dal dover coniugare la fedeltà al campo occidentale con la tradizionale politica turca delle mani libere, anche se quella da stringere è sporca di sangue.
Doppio gioco.
Non a caso gli scambi bilaterali sull’asse Ankara Mosca erano letteralmente esplosi subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, in un comportamento che ha attirato sul presidente Erdogan l’ira dell’intero Occidente che, mentre cercava di piegare il dittatore del Cremlino soprattutto con le ritorsioni commerciali, era costretto a fare i conti con il doppio gioco non solo della Turchia ma anche di Paesi come Emirati Arabi Uniti e Cina che hanno fatto l’impossibile per aggirare le sanzioni.
Sanzioni.
Sanzioni che in questi due anni sono continuate ad aumentare fino a raggiungere, dalle 2.600 varate subito dopo l’aggressione all’Ucraina, le attuali 18.000 contate da Casrellum.AI.
Provvedimenti che, spiega a Bloomberg Tan Albayrak, legale specializzato di Reed Smith, colpiscono oggi soprattutto i settori nevralgici dell’economia russa come la manifattura, l’aerospazio, le miniere e le costruzioni.
Il tutto con l’obiettivo di negare ai russi quei chip, circuiti e parti meccaniche che, sebbene siano impiegati anche a scopo civile, hanno potenziali applicazioni militari. “Possono essere usati infatti – commenta Albayrak – tanto in una lavatrice quanto in un carro armato”.
Resipiscenza?
Seppur i legami turchi con la Russia non siano ancora recisi del tutto, è un bel progresso rispetto solo al novembre scorso quando il Financial Times segnalava il passaggio ad Ankara e Istanbul del sottosegretario Usa al terrorismo e all’intelligence finanziaria Brian Nelson per discutere con le autorità “gli sforzi necessari a prevenire, interrompere e indagare le attività commerciali e finanziarie che aiutano gli sforzi russi nella guerra contro l’Ucraina”.
Quella di novembre era tra l’altro la seconda visita di Nelson in Turchia nel solo 2023, ad indicare la preoccupazione degli Usa per il fatto acclarato che alcune componenti dual-use “venissero trasportate direttamente in Russia” con una partita di giro che oscurava il destinatario finale sebbene non allo sguardo occhiuto dei monitor Usa.
Il calo negli scambi registrati negli ultimi mesi segna dunque, forse, un nuovo orientamento da parte del governo turco e, più probabilmente, anche un segnale per Putin: difficile per noi ora continuare a imbrogliare per voi.