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Paese

Come va la vita in Italia? Rapporto Bes

L’intervento di Alessandra Servidori, docente di politiche del lavoro, componente il Consiglio d’indirizzo per l’attività programmatica in materia di coordinamento della politica economica presso la presidenza del Consiglio

 

Il Rapporto Bes (benessere equo solidale) dell’Istat è un ritratto in profondità dello stato del Paese, disegnato con cura dalla statistica ufficiale attraverso la lente del benessere dei cittadini comparandolo all’obiettivo finale delle politiche, oggi di complessa analisi quando le circostanze sono avverse: per una pandemia devastante, per la crisi ambientale, per le minacce alla pace in Europa.

È dal 2009 con i programmi Beyond GDP di Eurostat e Better Life Index dell’Ocse, come progetto largamente partecipato, il Bes, con i suoi indicatori sull’Italia — oggi arrivati alla considerevole cifra di 153 — rappresenta uno strumento di misurazione del grado con cui le politiche producono, in concreto, cambiamenti sulla vita delle persone. I dati sono organizzati nei grandi domini della salute, dell’istruzione e formazione, del lavoro, del benessere economico, delle relazioni sociali, della politica e delle istituzioni, della sicurezza, del benessere soggettivo, del paesaggio e del patrimonio culturale, dell’ambiente, dell’innovazione, ricerca e creatività, della qualità dei servizi.

Il progetto Bes mette a disposizione del Paese un sistema di misure del progresso reale in continua evoluzione, articolate per fasce di età, per genere, per territori sempre più dettagliati, per titolo di studio. Soprattutto, permette di mettere in luce le aree dove si manifestano diseguaglianze e consente di individuare i gruppi più svantaggiati, indirizzando su solide evidenze la domanda di politiche mirate.

Il quadro di insieme è composito, ed è ancora adombrato dalla pandemia, sia sotto il profilo demografico — con una significativa riduzione della speranza di vita alla nascita nel 2020 a livello nazionale che ha raggiunto punte drammatiche in alcuni territori — sia economico — un esempio per tutti, il forte calo dell’occupazione nelle attività culturali e creative — sia ancora ambientale — con la riduzione delle emissioni di CO2 conseguente alle prolungate chiusure di attività economiche e l’attenuarsi dell’inquinamento da PM2,5, che rimane, tuttavia, elevato e senza miglioramenti apprezzabili.

Molti divari si sono mantenuti, o addirittura allargati: dalla speranza di vita alla nascita, che recupera in buona parte al Nord nel 2021 ma diminuisce ancora nel Mezzogiorno, alla mortalità evitabile, che resta più elevata in molte regioni del Sud; dalla spesa dei comuni per la cultura, per la quale il divario territoriale è nettamente a vantaggio del Centro-nord, all’impatto degli incendi boschivi e dell’abusivismo edilizio, più forte nelle regioni meridionali. La pandemia si è tradotta per lo più in arretramenti nel benessere della popolazione femminile: ad esempio, nei livelli di benessere mentale e di occupazione, soprattutto per le madri con figli piccoli. E sono stati anche i bambini, gli adolescenti e i giovanissimi a pagare un altissimo tributo alla pandemia e alle restrizioni imposte dalle misure di contrasto ai contagi. Sono dunque loro a richiedere, oggi e negli anni a venire, la massima attenzione da parte delle politiche, perché in tal senso i dati e i corrispondenti indicatori non lasciano dubbi.

Fuori da ogni retorica, si può dire che le politiche per il benessere dei giovani siano, oggi più che mai, politiche per il benessere del paese tutto intero. Gli interventi da mettere in atto non possono, per definizione, essere emergenziali, ma devono, al contrario, ricostruire le basi strutturali del benessere dei bambini e dei giovani. L’Italia è al primo posto in Europa per presenza di Neet, ossia di giovani che non studiano e non lavorano. Il fenomeno interessa in modo particolare le ragazze. Il nostro Paese ha il primato per la numerosità di questo particolare segmento di giovani, tra 15 e 29 anni, che non sono più inseriti in un percorso scolastico o formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa, noti come Neet, Not in Employment, Education or Training. Nel 2021, tra i giovani di 15-29 anni, il 23,1% non studia né lavora, in calo rispetto al 2020, quando avevano raggiunto il 23,7%, con un incremento di 1,6 punti percentuali rispetto all’anno precedente la pandemia. Tra le donne il 25%,8 non fa formazione né lavora (erano il 25% nel 2020), mentre tra gli uomini sono il 21,8% (erano il 21,2% nel 2020).

Le differenze regionali rimangono elevate e ricalcano la dicotomia Nord-Mezzogiorno. Le regioni con la quota più elevata di Neet sono la Puglia (30,6%), la Calabria (33,5%), la Campania (34,1%) e la Sicilia (36,3%). Il fenomeno interessava nel 2008 il 19,3% di questa fascia di età in Italia e il 13,1% in Europa; la crescita nel nostro Paese è stata più veloce di quanto non sia avvenuto nella media Ue27 fino a interessare nel 2014 – al culmine della crisi occupazionale – più di un giovane su quattro (26,2%, 10 punti percentuali al di sopra della media Ue27). Successivamente la quota è diminuita lentamente, fino al 2019 pur senza ritornare, nel caso dell’Italia, ai valori pre-crisi ma segnalando un deficit di recupero (+2,9 punti percentuali sopra il corrispondente valore del 2008).

Accanto a un serio investimento nell’intero sistema scolastico e universitario — non solo per gli edifici o per le attrezzature, che comunque hanno necessità di essere portati a livelli di qualità accettabili, ma anche e soprattutto a sostegno degli addetti e delle loro competenze — è certamente indispensabile agire al fine di sostenere e potenziare le reti di servizi territoriali per la cultura, lo sport e il tempo libero da vivere nella dimensione della socialità e della condivisione delle responsabilità civili.

E, last but not least, il nodo dell’occupazione, soprattutto delle giovani donne, non è più rinviabile. Le opportunità offerte dal Pnrr per affrontare in modo sistematico questa profonda domanda di cambiamento non hanno precedenti nel recente passato del Paese. Il nostro augurio è che le politiche rispondano con intelligenza, generosità e sistematicità, rendendo possibile, già dalla prossima edizione del Bes, che gli indicatori sul benessere, soprattutto dei nostri giovani, con i quali abbiamo contratto un debito sociale e morale molto serio, misurino un miglioramento diffuso.

 

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