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Come stanno le pensioni Inps. Report Itinerari Previdenziali

Che cosa emerge dal Sesto Rapporto “Il Bilancio del Sistema previdenziale italiano. Andamenti demografici e finanziari delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2017” curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali presentato oggi a Roma

Benché in leggera crescita, la spesa pensionistica è sotto controllo; sempre più insostenibile invece il costo delle attività assistenziali a carico della fiscalità generale: 110,15 miliardi di euro nel 2017 (+26,65 miliardi dal 2012).

La spesa per prestazioni sociali (pensioni, assistenza e sanità) in Italia incide per il 54,01% sull’intera spesa pubblica comprensiva degli interessi sul debito: l’incidenza rispetto al PIL, considerando anche altre funzioni sociali e le spese di funzionamento degli Enti che gestiscono il welfare, sfiora il 30%, uno dei valori più alti in Europa a 27 Paesi.

Per finanziare il generoso sistema di welfare italiano, occorrono (con riferimento al 2016) tutti i contributi sociali, tutte le imposte dirette e almeno altri 7,68 miliardi da reperire tramite imposte indirette: sempre più residue le risorse da destinare a crescita e sviluppo del Paese.

In aumento il numero di occupati e il tasso di occupazione complessivo; prosegue anche nel 2017 la lenta ma progressiva diminuzione del numero dei pensionati: il rapporto pensionati/attivi tocca quota 1,435, valore prossimo alla soglia di stabilità di medio-lungo termine del sistema (1,5).

Aumentano le prestazioni in pagamento (in gran parte assistenziali): nel 2017 ogni pensionato ha ricevuto in media 1,433 prestazioni, valore più elevato in assoluto nella serie storica disponibile.

ECCO TUTTI I DETTAGLI

Aumenta il numero degli occupati, mentre decresce rispetto al 2016 il numero di pensionati, che si riduce di quasi 22.000 unità: il rapporto attivi/pensionati tocca quindi nel 2017 quota 1,435, dato migliore dal 1997 (primo anno utile al confronto). Il tutto mentre la spesa pensionistica pura cresce complessivamente di 2,3 miliardi (220,843 miliardi nel 2017), con un aumento medio dal 2013 dello 0,88%, e quella per attività assistenziali a carico della fiscalità generale tocca quota 110,15 miliardi, crescendo anno dopo anno a ritmi addirittura sei volte superiori (+5,32%) rispetto a quelli della spesa per pensioni. 
È il quadro in chiaroscuro che si rileva da Sesto Rapporto “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2017”, a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, presentato oggi al Governo e alle Commissioni parlamentari presso la Sala della Lupa della Camera dei Deputati.

Una sintesi degli andamenti di spesa pensionistica, entrate contributive e saldi nelle differenti gestioni pubbliche e privatizzate, cui si aggiunge un’importante opera di riclassificazione della spesa (con ripartizione tra previdenza e assistenza), utile non soltanto a tracciare un bilancio del 2017, ma anche a effettuare previsioni sulla stabilità di medio e lungo termine del sistema di welfare italiano, tenendo conto anche delle modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio per il 2019.

«Ancor di più in un anno segnato da molte promesse, ma anche da interventi concreti in materia, non si può negare che pensioni e assistenza si confermino temi ad ampia sensibilità sociale per gli italiani. Ragione per la quale – precisa Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – diventa essenziale confutare molti luoghi comuni diffusi anche nel dibattito politico in materia, a cominciare da quello che vuole la spesa per le pensioni fuori controllo. Al contrario, dal 2013 al 2017, al netto dell’assistenza, la spesa pensionistica ha fatto registrare un aumento medio pari allo 0,88%, evidente sintomo del fatto che le riforme varate in questo periodo, pur non esenti da criticità, hanno colto l’obiettivo fondamentale di stabilizzarla. A preoccupare sono piuttosto i numeri dell’assistenza che, peraltro, in assenza di un contributo di scopo, è totalmente a carico della fiscalità generale».

I NUMERI DEL SISTEMA PREVIDENZIALE

Nel 2017, la spesa pensionistica relativa a tutte le gestioni ha raggiunto, al netto della quota GIAS, i 220,843 miliardi contro i 218,5 miliardi del 2016 e con un’incidenza sul PIL del 12,87%. Si scende però addirittura all’11,74% – valore assolutamente in linea con la media EUROSTAT – calcolando la spesa al netto di ogni forma di assistenza (quota GIAS per i dipendenti pubblici, maggiorazioni sociali e integrazioni al minimo per i privati). Pari a 199,842 miliardi le entrate contributive, con un aumento dell’1,7% rispetto a 2016, non sufficiente a evitare un saldo negativo di 21,001 miliardi (21,981 nel 2016): a gravare sul disavanzo in particolare la gestione dei dipendenti pubblici, che evidenzia un passivo di oltre 30 miliardi, e quella dei parasubordinati, con un passivo di 6,78 miliardi. In attivo invece di 3,67 miliardi il Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti.

LA SPESA PENSIONISTICA

Nel dettaglio, volendo calcolare la spesa pensionistica “pura” per il 2017 – vale a dire scorporando i 19,281 miliardi relativi alla GIAS per i dipendenti pubblici e a maggiorazioni sociali e integrazioni al minimo per il settore privato, che vengono erogati solo in base al reddito e che, quindi, come rileva il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, dovrebbero a maggior ragione essere considerati come uscite per il sostegno alla famiglia e all’esclusione sociale – la spesa scende a 201,562 miliardi. Allo stesso modo, sottraendo dalle entrate contributive i trasferimenti a carico di GIAS e GPT (in prevalenza dovuti alle contribuzioni figurative), la spesa si riduce ulteriormente, per toccare infine quota 151 miliardi al netto delle tasse: come rileva il Sesto Rapporto, sulle pensioni grava infatti un importante carico fiscale, che per il 2017 è stato pari a 50,508 miliardi di euro. Se si raffronta il dato della spesa pensionistica “pura” così stimata con i 185,5 miliardi di contributi versati dalla produzione, si ottiene quindi un valore in attivo di oltre 34 miliardi.

Anche a seguito del lento decadimento delle pensioni di lungo corso erogate soprattutto a partire dagli anni Settanta e Ottanta a soggetti di giovanissima età, prosegue la lenta riduzione del numero di pensionati, che nel 2017 ammontano a 16.041.852 unità. Una riduzione modesta, ma che segna comunque uno dei valori più bassi in assoluto tra quelli registrati dal 1995 in poi. Non solo, grazie all’effetto combinato dell’aumento dei lavoratori attivi, il rapporto tra occupati e pensionati tocca quota 1,435 (era pari a 1,417 nel 2016), valore prossimo a quell’1,5 che potrebbe rappresentare la soglia necessaria per la stabilità di medio e lungo periodo per l’intero sistema.

COME AUMENTANO LE PRESTAZIONI IN PAGAMENTO

Nel 2017, si registra poi un aumento delle prestazioni in pagamento (28.682 prestazioni in più rispetto al 2016), un incremento che incide negativamente anche sul rapporto tra numero di prestazioni in pagamento e pensionati: ogni pensionato riceve in media 1,433 prestazioni, numero più elevato nella serie storica elaborata dal Centro Studi e Ricerche; se si tiene conto della popolazione italiana complessiva, il rapporto è di circa 2,630 prestazioni per abitante. «Un dato nient’affatto incoraggiante – precisa Brambilla – in ragione del fatto che l’aumento, in sé leggero rispetto agli anni precedenti, è imputabile prevalentemente a prestazioni di natura assistenziale, e allontana quindi l’Italia da quello che dovrebbe essere un percorso virtuoso di contenimento di questo tipo di spesa».

PERCHÉ SERVE SEPARARE PREVIDENZA E ASSISTENZA

Con riferimento al 2017, l’insieme delle prestazioni assistenziali (prestazioni per invalidi civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, pensioni di guerra) ha toccato quota 4.082.876, per un costo totale annuo di 22,022 miliardi. Se si aggiungono però anche integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali, si arriva a un totale di 8.023.935 di “pensioni assistite”: al lordo di qualche inevitabile duplicazione, i beneficiari di queste prestazioni rappresentano di fatto la metà dei pensionati totali e, sottolinea il Prof. Brambilla, «che un Paese del G7 abbia almeno la metà dei propri pensionati totalmente o parzialmente assistita dallo Stato dovrebbe far riflettere gli apparati politici, ma anche di vigilanza». Se ai primi va imputata la responsabilità di promesse elettorali che spesso fanno leva sull’erogazione di nuove o di più generose prestazioni assistenziali, per i secondi il Rapporto mette in guardia da una possibile “inefficienza della macchina organizzativa”, che finisce col distribuire queste risorse a una platea che i numeri suggeriscono essere troppo vasta per rispecchiare l’effettiva situazione economica del Paese.

«Il vero problema è che negli anni – puntualizza Brambilla – alle prestazioni pensionistiche finanziate dai contributi, si è affiancata tutta una serie di prestazioni sociali, che si sono di fatto sommate e sedimentate nella legislazione, senza che ne sia mai stata prevista una razionalizzazione o che si istituissero controlli efficaci e “incrociati” tra i diversi enti erogatori. Anzi, nel 2005, era stata in realtà prevista l’istituzione di un “casellario dell’assistenza” sul modello di quello già in uso (e con buon successo) per pensioni e pensionati, ma non se n’è poi fatto nulla. Tra i rischi, in prospettiva estendibili anche a reddito di cittadinanza e misure analoghe, quello che queste prestazioni finiscano con l’incoraggiare “furbi”, evasori ed elusori, anziché essere realmente destinate ai “più bisognosi”».

Come puntualizza il Sesto Rapporto, il costo di tutte le attività assistenziali a carico della fiscalità generale per il 2017 è ammontato a 110,15 miliardi di euro: in sei anni il tasso di crescita dei trasferimenti, e quindi delle spese per assistenza, è stato quindi pari al 5,32%, un incremento superiore alla crescita del PIL e che vale oltre il 65% della spesa pensionistica al netto dell’IRPEF (e le cui prestazioni sono totalmente esenti da imposte). Senza considerare peraltro che a queste cifre andrebbero poi aggiunte le spese per il welfare sostenute dagli Enti locali.

«Ecco dunque che si può forse cogliere meglio il senso dell’“esercizio” di separare previdenza e assistenza attuato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – spiega Brambilla, nel commentare l’utilità dell’operazione a livello contabile, ma anche e soprattutto nella gestione delle comunicazioni con organi e istituzioni internazionali, cui troppo spesso questi dati sono comunicati assimilando spesa previdenziale e assistenziale tra loro – con il rischio di sovrastime, che mettono in allarme le agenzie di rating e che spingono l’Unione Europea a chiedere al nostro Paese riforme del sistema previdenziale, di fatto non necessarie. Almeno per quanto riguarda la pesa pensionistica pura, già in equilibrio e sostenibile, e che necessita semmai di essere supportata da opportune politiche occupazionali».

QUANTO PESA IL WELFARE

Un falso mito che il Sesto Rapporto sfata è quello secondo cui l’Italia spenda poco per il welfare: la spesa per prestazioni sociali nel 2017 è ammontata a 453,87 miliardi di euro. L’aumento rispetto al 2016 è dello 0,4%, ma sale addirittura al 6,18% se si guarda al 2012. Sul totale della spesa pubblica complessiva comprensiva degli interessi sul debito pubblico, la spesa per prestazioni sociali incide quindi per il 54,01% (il 58,6% al netto degli interessi). Non solo, se si rapporta, da un lato, la spesa sociale alle effettive entrate contributive e fiscali e, dall’altro, si tiene conto anche di tutte le funzioni sociali e delle spese di funzionamento degli enti che gestiscono il welfare a livello centrale e locale, la spesa sociale rispetto al PIL si attesta al 30% circa, uno dei livelli più elevati dell’Europa a 27 Paesi. Una spesa ingente che, secondo le stime Itinerari Previdenziali (in questo caso riferite al 2016, in assenza dei dati sulle entrate tributarie relativi al 2017), richiede per essere finanziata – oltre a tutti i contributi sociali, quando previsti – tutte le imposte dirette (IRPEF, IRES, IRAP e ISOS) e almeno altri 7,68 miliardi cui attingere attraverso imposte indirette.

Non a caso, proprio in un insufficiente livello di finanziamento, la pubblicazione rileva uno dei principali elementi di vulnerabilità del sistema. «Su 60,58 milioni di italiani quelli che fanno una dichiarazione dei redditi sono circa 40,87 milioni, quelli che dichiarano almeno 1 euro sono 30,78 », precisa lo studio Itinerari Previdenziali, non senza rimarcare un evidente paradosso tra le diverse fasce contribuenti: mentre il 44,92% dei cittadini (corrispondenti alle fasce di reddito fino a 7.500 euro e da 7.500 a 15.000 euro) versa il 2,82% di tutta l’IRPEF, il 12,09% (corrispondenti alle fasce di reddito oltre i 35.000 euro lordi) ne paga il 57,11%.

ECCO LE PROSPETTIVE DI MEDIO-LUNGO PERIODO

Oltre al casellario centrale dell’assistenza che, migliorando l’allocazione delle risorse, potrebbe portare a un risparmio di 5 miliardi di euro l’anno, il Rapporto rileva come essenziale ai fini della tenuta del sistema di protezione sociale un maggiore e serrato controllo sull’evasione fiscale e contributiva, da estendere – come già accade in molti Paesi europei – anche a chi non dichiara redditi né paga contributi oltre una certa soglia anagrafica, e da affiancare a soluzioni che, come il “contrasto d’interessi”, possano concretamente disincentivare il fenomeno. Se la riduzione della spesa per assistenza resta la priorità, per quanto riguarda invece la spesa pensionistica di natura previdenziale, i dati disponibili a fine 2018 anticipano una possibile conferma del trend di miglioramento di questi ultimi anni e, in particolare, il calo delle prestazioni in pagamento.

L’IMPATTO DEGLI INTERVENTI DEL GOVERNO SULLE PENSIONI

Ancora tutto da valutare però l’impatto degli interventi sul sistema pensionistico inseriti nella Legge di Bilancio per il 2019 e nei successivi decreti (introduzione quota 100 e reddito di cittadinanza, blocco dell’indicizzazione dell’anzianità contributiva, flessibilizzazione in uscita per precoci e donne, mantenimento di APE sociale e lavori gravosi): provvedimenti che, verosimilmente, potrebbero in prima battuta interrompere sia la riduzione del numero delle pensioni sia il miglioramento del rapporto attivi/pensionati, facendo prevedere un incremento nel numero dei pensionati di oltre 300.000 unità, senza alcun elemento equitativo nel calcolo della pensione, e un aumento della spesa assistenziale di oltre 8 miliardi (anche in virtù dell’introduzione del reddito di cittadinanza), cui non si accompagnano peraltro incentivi a favore di lavoro e produttività. Con il rischio concreto che la spesa assistenziale superi nel 2019 i 120 miliardi di trasferimenti (142 miliardi in totale): una prospettiva “pericolosa”, in assenza non solo di un’efficiente macchina organizzativa e di controllo, ma anche e soprattutto alla luce del rallentamento dell’economia del Paese.

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