La nuova Irpef ricomincia da 3, varrà per un anno e porterà vantaggi soprattutto ai contribuenti di ceto medio-basso. Del pacchetto dei decreti attuativi della delega fiscale approvato dal Consiglio dei ministri, il testo più atteso riguardava il taglio delle tasse.
Si introducono, dunque, tre aliquote al posto delle quattro finora in vigore, con la prima stabilita al 23% per l’ampliato scaglione di redditi fino a 28 mila euro. Anche se il principale beneficio, secondo i calcoli del governo, dovrebbe avvertirsi nella fascia dei redditi dagli oltre 28 ai 50 mila (aliquota al 35%) con un risparmio di circa 260 euro annuali. Sopra i 50 mila (43%) il taglio delle detrazioni finirà per annullare i vantaggi fiscali.
La riduzione delle imposte fa passare in second’ordine le altre novità, dal contenzioso tributario allo statuto del contribuente, all’adempimento collaborativo: tutte misure per rendere il fisco più “amico” del cittadino. Ma se la direzione di marcia è quella giusta e da troppi anni invocata (siamo il popolo più tartassato d’Europa), la gradualità e la parzialità dell’intervento attenuano l’impatto del grande cambiamento auspicato.
La validità di un anno solamente rischia di far diventare le modifiche quasi un esperimento sotto esame, più che una decisione acquisita. E il concreto, ma modesto risparmio fiscale non riguarderà la totalità della popolazione, come pure sarebbe corretto per il nostro sistema che è progressivo: se il ceto medio paga di più, equità vorrebbe che il risparmio non fosse previsto solo o soprattutto per gli italiani di una fascia su tre.
Conosciamo l’obiezione: non ci sono soldi per alleggerire lo sforzo di tutti i contribuenti. I contribuenti, appunto, perché resta un enigma che cosa il governo intenda compiere per colpire i “non contribuenti”, cioè quella parte notevole e nota di cittadini (basta confrontare ciò che dichiarano a come vivono), per colpa della quale le imposte sono diventate un fardello per chi le paga. Senza ricevere, in cambio, servizi all’altezza di quanto versato, come la sanità, la scuola e il trasporto pubblico rivelano. In realtà, i redditi risultano quasi dimezzati, al netto, in particolare per il vasto ceto medio, la colonna portante. Eppure, anche dal 2024 quei redditi continueranno a essere divorati da una pressione fiscale che, considerando tutte le imposte dirette e indirette, per molti italiani alla fine supererà il 48%. Troppo, per non sollecitare la svolta che ancora non c’è.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)