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Alternanza Scuola-lavoro

Come rilanciare il mercato del lavoro in Italia

È urgentissima la necessità di strutturare politiche attive sempre più efficaci che devono trovare corrispondenze adeguate nei lavori offerti, con abbinamento tra domanda e offerta di lavoro di qualità. L'intervento di Alessandra Servidori, docente di politiche del lavoro

 

L’emergenza sanitaria ha stravolto il sistema economico e sociale del nostro Paese, e ha aggravato i problemi di un mercato del lavoro in cui l’occupazione è incancrenita da anni. Malgrado la spinta delle nuove tecnologie e delle nuove modalità organizzative, restano i nodi di un’occupazione sempre più atipica e con sofferenze retributive. Un supporto potrebbe venire dalla formazione, che mostra una ricca offerta di percorsi, cui tuttavia non corrisponde una altrettanto forte partecipazione, mentre le competenze stentano ad allinearsi alle esigenze produttive. Così le categorie più deboli restano più esposte al rischio crescente di disagio e povertà, mentre aumentano le disuguaglianze e si manifesta la necessità di un aggiornamento dei sistemi di welfare.

A questo si aggiunge una congiuntura eccezionalmente sfavorevole che va a incidere su debolezze ormai croniche e dove emerge chiara l’urgenza di interventi mirati e strutturali. La conseguenza ovvia della pandemia è stata l’aumento delle risorse finanziare pubbliche destinate a rafforzare misure d’intervento passivo sul mercato del lavoro (integrazioni salariali per ridurre l’impatto della sospensione e/o diminuzione delle ore di lavoro, indennità di disoccupazione anche per i lavoratori atipici e autonomi). In alcuni Paesi europei si è cercato di favorire la mobilità di lavoratori verso settori che presentavano carenza di manodopera, e di proteggere particolari gruppi di individui che presentavano già prima della pandemia un basso grado di occupabilità.

Gli interventi di politica attiva dovrebbero comunque avere un duplice obiettivo di lungo periodo: migliorare i tassi di partecipazione e l’occupabilità e contestualmente potenziare i servizi per l’impiego nel loro ruolo di supporto ai processi di allocazione e riallocazione della forza lavoro. Sia i Centri per l’impiego che le politiche attive nel loro complesso restano ben lungi dall’essere ottimali: essi non riescono ad essere efficaci intermediari in posizioni ad alta professionalità, ma neanche nelle occupazioni di bassa specializzazione e questa mancanza di collaborazione con le agenzie di intermediazione rimane demenziale.

Fra i gruppi più fragili in tema di occupazione e occupabilità vi è sicuramente quello dei disabili. Nel D.M. n. 43/2022 e nelle linee guida in materia di collocamento ad essi mirato si formulano indicazioni con riferimento sia ai giovani disabili, sia a coloro che accedono per la prima volta nelle liste di collocamento, sia ai disoccupati di lunga durata. Per trovare occasioni di lavoro, saranno basilari la formazione di reti integrate, con la cooperazione di diversi servizi pubblici territoriali (di lavoro, sanitari e sociali), il coinvolgimento attivo del soggetto disabile, il coinvolgimento del cosiddetto ‘Responsabile dell’inserimento lavorativo’, la raccolta sistematica di buone pratiche.

Sappiamo bene che l’incremento delle risorse finanziarie assegnate e spese per le misure passive ha causato la riduzione di quelle dedicate alle politiche attive: le attività dei servizi al lavoro, gli interventi di formazione professionale, gli incentivi all’assunzione hanno quindi subito rallentamenti e sospensioni, essenzialmente per misure di distanziamento sociale ma anche per la loro inerzia.

E’ urgentissima la necessità di strutturare politiche attive sempre più efficaci che però dovranno trovare corrispondenze adeguate nei lavori offerti, con abbinamento tra domanda e offerta di lavoro di qualità.

È chiaro che Centri per l’impiego all’avanguardia saranno basilari nell’affrontare le sfide strutturali con successo come già riconosciuto nel Piano straordinario del loro potenziamento. L’obiettivo è quello di creare servizi che non intermedino solo più lavori a più basso reddito destinati a individui particolarmente svantaggiati, ma quello di preservare e anzi aumentare il capitale umano del Paese ed è necessario che non solo i canali informali siano sfavoriti, ma che sia avviato un ampio progetto di reindustrializzazione dell’intero Paese che necessiterà sia di fondi messi a disposizione e a valere – fra gli altri – sul PNRR, sia di derivazione meramente nazionale. I Centri per l’impiego devono diventare garanti quindi di un’intermediazione efficace che porti il disoccupato a conseguire lavori costruiti in settori innovativi, specialmente – ma non esclusivamente – nella manifattura.

Non basterà un’efficace spesa dal lato dell’intermediazione nel mercato del lavoro, ma occorrerà rafforzare il sistema industriale del Paese. Senza una risposta alla necessità di reindustrializzazione del Paese i processi di digitalizzazione dell’intero apparato della PA che vedranno sempre più utilizzata l’IA, rischiano di restare esercizi sterili che non genereranno auspicate, massicce ricadute favorevoli economiche, tecnologiche, persino ambientali. Senza un organico processo di nuovo sviluppo l’IA rischia, anzi – e a differenza dell’utilizzo dei robot o dei software del recente passato – di dirigersi solo a nicchie particolarmente ridotte del mercato del lavoro, in genere solo ai lavoratori ad alta specializzazione; in altri termini non potrà essere essa lo strumento che a fini pratici determinerà il successo dell’intermediazione nel mercato del lavoro.

L’orientamento professionale dovrà finalmente tornare ad avere ruolo sempre centrale, non solo per gli ‘orientatori-operatori’ ma anche per gli ‘orientati-utenti’ e dovrà fondarsi su esperienze orizzontali che dovranno necessariamente coinvolgere scuole, università, centri di formazione e Servizi per l’impiego e servizi di intermediazione privati. Tale rete dovrà avvalersi di un ‘linguaggio unico’, pur rispettando naturali eterogeneità nei mercati locali, particolarmente forti in un Paese a struttura duale come l’Italia. Prioritari saranno la formazione e l’inserimento dei giovani, per avviare un circolo virtuoso di sviluppo, crescita e nuove opportunità di qualità preservando le giuste aspirazioni degli adulti che possono trovarsi in particolari condizioni occupazionali e fasce ad alto rischio di esclusione, come i disabili (oltre alle persone a rischio di povertà e gli stranieri a rischio di esclusione sociale).

Le istituzioni dunque, devono (ri)prendere il ruolo di ‘datore di lavoro di ultima istanza’, creando un contrasto alla riduzione del salario reale al di sotto delle soglie di povertà (o al di sotto del salario minimo). Finirebbero per favorire anche i settori dell’economia privata più restii: da un lato perché li vedrebbe costretti a investimenti produttivi per cercare di stabilizzare la quota profitti; dall’altro perché la riduzione della povertà incrementerebbe la domanda aggregata e i loro ricavi e quindi la loro domanda di lavoro (pagato al di sopra del salario offerto dallo Stato). Determinante a questo fine l’azione di reindustrializzazione avvantaggiandoci di una ridotta dipendenza dall’estero, con un incremento del moltiplicatore del reddito che, a sua volta, avvierebbe un processo di accelerazione degli investimenti.

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