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Come riformare il fisco pro pmi

Ecco alcune idee per un riassetto del sistema tributario: superare il meccanismo degli acconti e del credito d’imposta; cancellare le riprese fiscali. L'intervento di Marco Salustri, consigliere nazionale di Unimpresa

Il meccanismo degli acconti, in Italia, risale alla fine degli anni 70. In  particolare si fa riferimento alla legge n. 97/1977, al cui articolo 1, recita:  “A decorrere dall’anno 1977 i contribuenti soggetti all’Irpef o all’Irpeg devono versare nel mese di novembre di ciascun anno, a titolo di acconto dell’imposta dovuta per il periodo d’imposta in corso, un importo pari al 75 per cento dell’imposta relativa al periodo precedente, come indicata, al netto delle detrazioni e dei crediti d’imposta e delle ritenute d’acconto, nella dichiarazione dei redditi presentata per il periodo stesso. Se per il periodo precedente è stata omessa la dichiarazione, l’acconto è commisurato al 75 per cento dell’imposta corrispondente al reddito complessivo che avrebbe dovuto essere dichiarato, al netto delle detrazioni e crediti d’imposta e delle ritenute d’acconto”.  Questo sistema è stato pensato, fin dall’inizio, al solo scopo di  far ottenere un incasso anticipato, a favore dello Stato, sulle imposte prodotte dal reddito ipotetico delle imprese per l’anno fiscale successivo, a quello in corso, costringendole, dunque, ad un sacrificio economico molto rilevante. Le imprese devono versare, ogni anno, imposte sia in base al reddito fiscale effettivamente prodotto, sia su un reddito futuro, del quale non hanno certezza, che, di fatto, riduce drasticamente la liquidità necessaria al reinvestimento degli utili. Le imposte dovrebbero essere pagate esclusivamente sul reddito concretamente generato e senza negare la deducibilità dei costi se effettivamente inerenti e senza prevedere acconti d’imposta che alimentano l’evasione fiscale. Questa forma di pensiero, da parte del fisco italiano, ha caratterizzato il sistema impositivo dalla fine degli anni Settanta fino ai nostri giorni. A titolo esemplificativo si prendano le norme che caratterizzano il credito d’imposta. Ogni apparente contributo che lo Stato ha voluto accordare ai contribuenti è sempre passato attraverso un investimento da parte contribuenti stessi per poi vedersi riconosciuto un credito di imposta.  In altre parole, le imprese devono anticipare delle somme, a titolo esemplificativo e non esaustivo, per investimenti in nuove tecnologie e attrezzature, ricerca di mercati esteri e piani di fattibilità per poi vedersi riconosciuto un credito da utilizzare in compensazione con future imposte. Un sistema che, anche se in apparenza garantisce un vantaggio per le imprese, implica sempre e comunque un esborso anticipato per le stesse per poterlo ottenere.

Tutto questo è dovuto esclusivamente ad esigenze di cassa e all’incapacità di elaborare politiche fiscali equilibrate. Una valida alternativa, che possa invertire questo meccanismo, dovrebbe essere quella di ridurre le aliquote impositive e consentire, in proporzione alla riduzione, alle imprese di investire nel proprio campo e in base all’oggetto sociale.

Se in un primo momento si riducono le entrate tributarie per lo Stato viene, però, consentito alle imprese di crescere nel loro settore e di avere, di conseguenza, una base imponibile maggiore su cui applicare le aliquote IRES in tutti gli anni successivi a quello di partenza. Di fatto questa procedura inverte un meccanismo che penalizza i conti delle imprese e fa lievitare sensibilmente l’evasione fiscale. Gli imprenditori, dovendo sempre anticipare imposte, sia a causa della legge in materia di acconti sia per beneficiare di eventuali crediti d’imposta, cercheranno di “nascondere” ricchezza per evitare di dover pagare imposte sproporzionate, se rapportate alle effettive entrate. È una spirale che costringe le imprese a rimanere micro e a non poter competere con analoghe realtà oltre confine. Inoltre, questa macchina fiscale vetusta, ha destrutturato nelle imprese la capacità di fare previsioni economiche per il futuro.

Gli imprenditori sono più concentrati sul fatto di pagare meno imposte, che su come investire quel poco rimastone nelle loro casse e messo da parte per la programmazione industriale, attraverso lo strumento del business plan. Inquieta che questa degenerazione di attitudine, negli imprenditori, stia colpendo anche le imprese di medie dimensioni, dove i titolari, spesso rappresentati da familiari e congiunti, prendono le loro decisioni a “naso” e a grandi linee, senza avere la consapevolezza dell’andamento della posizione finanziaria netta della loro società, né degli indici di bilancio essenziali per il rating bancario.

Improcrastinabile è diventato anche l’abbandono del sistema delle riprese fiscali per l’elaborazione delle imposte ai fini Ires. È un meccanismo distorsivo per le imprese e ad altissimo rischio di evasione fiscale. I costi per le imprese dovrebbero essere riconosciuti in pieno se effettivamente inerenti. È dispendioso per le imprese elaborare un bilancio civilistico e un bilancio fiscale. Elaborare un bilancio civilistico è una procedura complessa che deve rispondere a tutte le norme imposte dal codice civile e dai principi contabili elaborati dall’OIC (organismo italiano di contabilità).

La fase successiva impone l’applicazione degli obblighi normativi dettati dal testo unico delle imposte dirette per riprendere a tassazione tutti quei costi che il sistema fiscale non riconosce pienamente deducibili seppur inerenti all’attività dell’impresa. Un processo farraginoso, complesso e che potrebbe essere oggetto di manipolazione dei costi per ridurre la base imponibile, su cui applicare l’Ires. Al contrario un esempio virtuoso che premia le imprese è quello sviluppato negli Stati Uniti per migliorare il rapporto tra contribuente e agenzia delle entrate. Le imprese utilizzano un software contabile definito QuickBooks. Il QuickBooks è un apparato cloud nel quale le imprese inseriscono costi e ricavi tipici della loro attività. L’agenzia delle entrate ne ha pieno accesso e fa controlli a campione per capire se le spese e le entrate sono inerenti o meno all’attività dell’impresa. In caso di legittimo dubbio, da parte dell’agenzia, vengono chieste spiegazioni all’imprenditore e, qualora le risposte non risultino pienamente soddisfacenti, vengono ripresi a tassazione i costi che non hanno trovato corretta giustificazione. Questo semplicissimo metodo potrebbe essere applicato a tutte le pmi italiane. Si ricorda che, solo per le questioni fiscali, il nostro sistema informatico è tra i più avanzati al mondo ma, allo stesso tempo, ne viene fatto un utilizzo parziale, improprio o inutile. Un sistema cloud per le pmi che cristallizzi le scritture contabili sarebbe una forma di trasparenza che migliorerebbe il rapporto dei contribuenti con l’agenzia delle entrate e se ben strutturato, con la riduzione dell’aliquota Ires, farebbe incrementare sensibilmente le entrate per lo Stato, crescere le imprese in competitività e ridurre sensibilmente la piaga dell’evasione fiscale.

Con queste rivoluzionarie impostazioni fiscali si otterrebbe una serie di vantaggi: trasparenza tra contribuente e fisco; controlli fiscali immediati; riduzione dell’evasione fiscale; riduzione dei costi per le imprese che non dovrebbero più elaborare due bilanci; una tassazione più equa, basata su costi e ricavi effettivamente conseguiti e, non da ultimo, eliminazione di coercizioni fiscali, quale la deduzione degli interessi passivi ai fini fiscali e degli Isa (ex studi di settore). Così diventerebbe realmente attuabile una tassazione per cassa.

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