La scorsa settimana la nota congiunturale dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio – autorità indipendente incaricata di validare le previsioni macroeconomiche del governo – ha lanciato una doccia gelata sia sul trimestre estivo alle nostre spalle e sia sui prossimi trimestri.
La stima dell’Upb per la variazione del PIL del terzo trimestre rispetto a quello precedente si attesta ad un -0,2%, a cui farà molto probabilmente seguito un’altra variazione negativa nel quarto trimestre.
Insomma – a dispetto di tutte le dichiarazioni del Presidente uscente Mario Draghi – siamo in recessione “tecnica”. Dove questo aggettivo serve soltanto ad indicare che si registrano due trimestri consecutivi con variazione negativa del PIL.
Particolarmente deludente è il dato del terzo trimestre, per il quale recenti stime riportavano ancora una variazione nulla o anche leggermente positiva.
Troppo forte è stata la frenata dell’industria per compensare l’andamento vivace dei servizi, trainati dal turismo in crescita dopo l’arresto per la pandemia.
Tra gli indicatori tempestivi dell’attività economica che portano le previsioni dell’Upb in territorio negativo, destano impressione i consumi di gas industriale, scesi a fine settembre del 20% circa rispetto al 2019 ed al livello precedente lo scoppio della guerra. In calo anche consumi elettrici ed immatricolazioni, mentre tengono i passeggeri aerei, comunque ancora al di sotto dei livelli pre pandemici.
Se ci fosse stato bisogno di una spiegazione da manuale su come introdurre un tetto al prezzo del gas, l’abbiamo avuta. È bastato ridurre, o meglio distruggere, la domanda ed il prezzo è calato. Lasciando macerie tra le imprese purtroppo.
Nonostante tutto, l’Upb conferma la previsione di crescita per il 2022 pari al 3,3%, tutta maturata nel primo semestre che si confrontava con un 2021 ancora frenato dalla pandemia e dalle conseguenti misure che hanno limitato l’attività economica.
I conti cambiano proiettandosi verso il 2023. Per il quale è prevista una crescita asfittica, al limite dell’errore statistico, dello 0,3%, comunque pari alla metà di quella stimata nella Nota di aggiornamento al Def e ricordiamo che il Fmi ha già stimato un -0,2%.
Di rilievo l’analisi dell’Upb a proposito dell’impatto sul PIL dello shock dei prezzi energetici in corso. Gli effetti del rincaro del gas metano sono equiparabili a quelli di uno shock dei prezzi petroliferi già vissuti in passato.
Nel 2022, si stima che ha sottratto un punto alla crescita del PIL e nel biennio successivo, permanendo questi rincari, sotrarrebbe 3 punti di crescita cumulata.
Per comprendere l’enormità di questi danni, è sufficiente fare un paragone con gli effetti sul PIL del PNRR. Le stime del governo continuano a riportare che, rispetto allo scenario base, entro il 2026 grazie a quegli investimenti e riforme, registreremo circa 3,6 punti in più di crescita cumulata.
Bene, siamo stati capaci in pochi mesi – perché siamo in presenza degli effetti di scelte miopi e velleitarie, non di accidenti fortuiti – di distruggere ben più della crescita che pensavamo di conquistare faticosamente con 5 anni di investimenti pubblici, finanziati indebitandoci per i prossimi 30 anni con la Commissione UE.
Tutto ciò getta una pesantissima ipoteca sull’azione del nascituro governo. Da un lato dovrà necessariamente varare misure per mitigare l’impatto della crisi, dall’altro potrà farlo solo entro gli angusti limiti già prefissati dalla Commissione.
Purtroppo non siamo più nel 2020, quando la generosa politica fiscale dei governi nazionali fu finanziata dalla banca centrale. In questi mesi prevale il (discutibile) mantra che impone alla politica fiscale di non remare in direzione contraria rispetto a quella monetaria. E se quest’ultima è impegnata nel ridurre l’inflazione, via aumento dei tassi, allora la politica fiscale non può alimentarla, con spese generose e taglio delle imposte.
Come detto, tutto molto discutibile, ma i moniti che arrivano tutti i giorni dai principali media internazionali confermano che il prossimo governo è atteso con i fucili spianati dai mercati e dalla Commissione. E sono passati solo 4 anni da quell’autunno 2018, in cui la legge di bilancio del governo Conte 1 fu tenuta in bilico dalla Commissione per quaranta giorni, finché non arrivò quella ridicola riduzione del deficit/PIL 2019 dal 2,4% al 2,04%. Per la cronaca, il dato a consuntivo si attestò al 1,6%, tra i più bassi dei precedenti anni.
Per il 2023 i punti di deficit/PIL necessari per tenere in piedi il Paese si misurano in numeri interi, non in decimali.
C’è solo da augurarsi che il governo Meloni riesca a convincere la Commissione (e anche la Bce) che non conviene a nessuno mettere in difficoltà l’Italia e così renda accettabile da tutti i nostri partner un adeguato sostegno a carico del bilancio pubblico che è improcrastinabile.
L’alternativa è scontentare famiglie ed imprese che attendono quell’aiuto. Ora.