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Welfare Aziendale

Come cambierà il welfare aziendale dopo Covid-19

Pubblichiamo la prefazione di Marco Bentivogli, segretario generale Fim-Cisl, all’e-book di Luca Pesenti e Giovanni Scansani, “Welfare aziendale: e adesso?” edito dalla casa editrice Vita e pensiero

Il tema del lavoro sarà un grande banco di prova per il post-epidemia. Rispetto alle precedenti crisi, questa volta non si tratterà semplicemente di salvarlo, ma di rilanciarlo come valore individuale e collettivo. È questa una delle “lezioni” che, tra le tante, il Covid-19 ci ha impartito. Vista da questa prospettiva, la questione chiama fin d’ora in causa anche il tema del Welfare Aziendale, elemento che del lavoro è ormai una componente di non secondaria importanza, spesso figlia di culture organizzative solide e radicate nel tempo, più recentemente frutto di nuove culture dell’HR management improntate alla logica del “valore condiviso”. In questo quadro, la domanda che pongono gli Autori del volume è al tempo stesso semplice e terribilmente complicata: come sarà il Welfare Aziendale del “dopo-Covid19”? Continuerà a rappresentare un sostegno importante per imprese e lavoratori, anche in una chiave marcatamente anticiclica (come già ha dimostrato nella fase finale della lunga crisi recessiva che ci siamo da poco lasciati alle spalle), oppure si attiverà la tentazione di credere che, in fondo, è un lusso che non ci si può più permettere? Il testo affronta alcuni dei temi più attuali che caratterizzano il lavoro in Italia ed offre una panoramica delle principali questioni aperte dalla crisi innescata dalla pandemia adottando una prospettiva costruttiva, ma non omettendo di segnalare gli aspetti critici che riguardano lo smart working, la partecipazione organizzativa, i premi di risultato e il mercato degli operatori gestionali (Provider). L’e-book di Pesenti e Scansani, “Welfare aziendale: e adesso?” – scaricabile gratuitamente dal sito – si chiude con alcune proposte per un aggiornamento normativo che possa tenere conto delle necessità dell’oggi e soprattutto di quelle che il lavoro e l’organizzazione d’impresa manifesteranno a breve. (Redazione Start Magazine)

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LA PREFAZIONE DI MARCO BENTIVOGLI

Il Coronavirus ha rappresentato il “cigno nero”, l’evento imprevedibile raccontato da Nassim Taleb che cambia le regole del gioco. Certo, non avremmo mai voluto fare i conti con un dramma di queste dimensioni, ma occorre prendere contezza di quanto questa epidemia sia diventata un acceleratore di quelle trasformazioni con le quali avremmo dovuto fare, prima o poi, i conti. Tecnologia, demografia e clima stavano da tempo bussando alle porte del cambiamento, chiedendoci di chiudere definitivamente con il Novecento e aprire una nuova fase che però stentava a decollare. A ben pensarci, se forse la pandemia era del tutto imprevedibile, le vulnerabilità del nostro mondo che l’hanno resa devastante, un po’ meno.

In pochi giorni, il virus ci ha costretti a cambiare le abitudini di vita e la routine rassicurante, rimettendo in discussione le nostre certezze, come mai era capitato dal Dopoguerra. Epicentro di questi cambiamenti è certamente il lavoro, in tutte le sue articolazioni: dagli ospedali, dove medici, infermieri e personale di servizio sono stati fin da subito in prima linea nella lotta alla pandemia, fino alle fabbriche in cui operai e impiegati si sono dovuti misurare con organizzazioni e modalità di lavoro diverse. In gran parte dei luoghi di lavoro, grazie a protocolli discussi e condivisi tra azienda e sindacato sulla base del Prtotocollo del 14 marzo, si è continuato a lavorare. Migliaia di protocolli calzati sulle specificità di ogni azienda: una grande occasione di progettazione, condivisione, partecipazione.

Dove non era necessaria la presenza fisica ci si è organizzati, in poche settimane, con il telelavoro; una modalità di lavoro ancora molto distante, come ben scrivono gli Autori, dall’idea di smart working ma comunque sicuramente utile per capire come possiamo, attraverso la contrattazione, aprire a modalità operative nuove e diverse che consentano di conciliare il benessere delle persone attraverso un differente approccio allo spazio e al tempo di lavoro. Un mondo che era già in fase di “scongelamento” rispetto alla rigidità di queste variabili e che meritava forse capacità di accompagnamento della transizione.

Elevare quindi il dibattito sul welfare oltre la mera riflessione tecnica e utilitaristica, agganciandolo all’accelerazione a cui il virus ci ha costretti, per ragionare su come riorganizzare il lavoro di domani, è più che mai centrale se vogliamo dare una prospettiva positiva a questa emergenza che ci ha lasciato solo morte, sofferenza e una crisi economica terribile le cui conseguenze, anche sull’occupazione, si faranno sentire per anni.

Urge quindi avere strumenti di lettura e analisi. Ma soprattutto appare urgente una visione progettuale per tradurre, nell’immediato, nuove politiche di welfare che siano in grado di mitigare gli effetti della crisi da una parte e contemporaneamente di orientare il futuro. Se c’è una cosa che ci ha insegnato questa pandemia è che nessuno si salva solo. Siamo un’unica comunità di destino. Per questo il nuovo welfare dovrà essere contrattato e indirizzato verso un ecosistema che metta al centro persona, azienda e territorio. Dove salute e sicurezza siano parte integrante di un benessere che dall’azienda si muove fino alla comunità attraverso protocolli territoriali e piani sanitari condivisi. Un welfare che tenga in considerazione anche la rivisitazione del layout e dell’ergonomia delle aziende rendendole non solo sicure ma anche belle e sostenibili, che faccia della rigenerazione del territorio parte integrante di questo progetto attraverso infrastrutture materiali e immateriali, armoniche e sostenibili con l’ambiente e le persone.

Un welfare che faccia della formazione la moneta intellettuale, elemento imprescindibile e diffuso lungo tutta la vita lavorativa, capace di garantire, insieme a salute e sicurezza, il vero diritto al futuro, per tutti. Un cambiamento che possa generare un diverso rapporto con gli enti pubblici, con la burocrazia e con il sistema creditizio più leggero e vicino alle esigenze di persone e aziende. Insomma, abbiamo bisogno di grandi innovazioni sociali, sempre più necessarie di fronte ai cambiamenti tecnologici e culturali in atto, che potranno trovare forma solo attraverso la contrattazione e la partecipazione, fattori determinanti per valorizzare benessere organizzativo e wellness. Serve il coraggio per fare il salto che ci consenta di lasciare, definitivamente, alle spalle il Novecento. Servirà un nuovo protagonismo territoriale, comunitario, aziendale.

La riflessione che portano avanti gli Autori in questo libro va proprio in questa direzione, individuando le piste di lavoro su cui incamminarsi per progettare il futuro.

 

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