Una flat tax per il lavoro subordinato? In realtà non sarebbe una novità assoluta. Nel 2008 il governo stabilì che i redditi da lavoro erogati a operai e impiegati nella dimensione aziendale o attraverso accordi territoriali dovessero essere tassati in base ad una aliquota definitiva del 10%. Premi, straordinari, indennità di lavoro notturno o festivo dovevano considerarsi componenti “meritevoli” della retribuzione di fronte alle quali il principio di progressività del prelievo fiscale si doveva fermare.
D’altronde, perché sopportare scomodità o faticare per premialità se poi il fisco ti porta via quasi tutto, magari facendo anche scattare una aliquota superiore? Inoltre, nella presente crisi della offerta di lavoratori per ragioni demografiche, mismatching educativo, rifiuto di alcune prestazioni povere, senza un’adeguata remunerazione il reclutamento diventa ancor più difficile.
La norma non fu compresa nella sua portata strutturale e dal 2012 fu progressivamente sostituita da norme complicate e suscettibili di contenzioso che pretendono, per l’aliquota agevolata ai premi, la incrementalità della produttività che li giustifica.
A poco è servita la recente riduzione della aliquota al 5% in un meccanismo accessibile solo a grandi imprese molto strutturate.
E’ vero che gli accordi aziendali che la regolano sono cresciuti ma rimangono numeri molto limitati.
Quindi, in un contesto di riforma tributaria, di mercato del lavoro complicato, di bassi salari mediani, di crescita in rallentamento, avrebbe senso togliere quanto meno il criterio della “incrementalità” della produttività nei contratti. Meglio ancora, servirebbe riprendere il percorso del 2008.
Maurizio Sacconi