skip to Main Content

Zingales

Perché contesto le tesi di Zingales sull’Italia. Il post di Coltorti (ex Mediobanca)

Il post di Fulvio Coltorti (ex Mediobanca) tratto dal suo profilo Facebook.

 

Chi non vuol vedere, serve sempre minestre riscaldate.

Il Prof. Zingales pubblica sul Financial Times la sua opinione che, a dire il vero, è sempre la stessa. L’Italia non ha (più) grandi imprese le quali sarebbero le uniche adeguate a far entrare il Paese nel XXI secolo. Che da noi non vi siano più grandi imprese giganti è certo corretto, ma questo non deriva – come lui sembra pensare – dalla grande ossessione (malattia?) degli italiani di tenere il controllo delle loro imprese. Cita francesi e tedeschi e persino spagnoli davanti a noi, ma peccato che anche nei loro Paesi quella “ossessione” vi sia. Anche in Germania (lui stesso cita il blocco imposto dalla Merkel alla Fiat nell’acquisizione della tedesca Opel).

Il problema non è l’ “ossessione”: nessun imprenditore ama cedere il controllo dell’impresa che ha creato quando essa rappresenta il suo progetto di vita. Tuttavia, molti fondi di private equity, attirati proprio da quel “piccolo è bello” che lui tanto critica, stanno riuscendo ad acquisire pmi italiane: fanno come i cercatori d’oro nei fiumi californiani di un tempo, speranzosi di rivendere poi le pepite (unicorni) ad alto prezzo. Quei fondi che si misurano in questa che viene vista come un’impresa eroica riusciranno a farci entrare nel nuovo secolo? Secolo che peraltro è ormai iniziato da un po’ di tempo e nel quale siamo entrati – a me pare senza troppi problemi – con il nostro sistema produttivo nel quale non incidono più di tanto i giganti che tanto lo affascinano.

Si afferma che abbiamo inventato la pizza, ma non possediamo nessuna grande catena di pizzerie: ma non ne abbiamo forse a centinaia? E non sono in concorrenza le une con le altre? Competizione a base di qualità e non di dominio sul mercato da parte di pochi produttori che monopolizzano gli spazi disponibili. Lo stesso vale per il caffè: non abbiamo una grande catena (tipo Starbucks…), ma non troviamo forse il caffè negli innumerevoli bar che caratterizzano le nostre città? Vale lo stesso per la concorrenza su chi prepara meglio la tazzina… E lo stesso per alberghi e ristoranti.

In altre parole si vorrebbe che accettassimo un sistema di tipo neo-sovietico nel quale, come per l’abbigliamento, tutti fossimo costretti a consumare gli stessi prodotti, irreggimentati sotto le bandiere di imprese tipo Amazon, Facebook, Apple, General Electric… Pardon per la GE che si è distinta per opacità e scarsa dinamicità, oltre che per le sue iniziative in finanza. Idem per le grandi fabbriche di auto che par di ricordare siano state salvate addirittura dallo Stato, insieme con le banche giganti.

Zingales cita la protezione che le imprese italiane hanno avuto grazie alle relazioni con la classe politica e in questo ha certamente ragioni da vendere! Ma perché invece di scagliarsi contro i piccoli e i medi imprenditori (maniaci del controllo…), non se la prende con i gruppi di pressione che comperano i giornali? Persino l’Economist è ormai da qualche anno sotto l’influenza dei nostri ex-concittadini Agnelli Elkann. E la nostra Confindustria è praticamente sostenuta dalle grandi imprese dello Stato che si sono “salvate” dalla privatizzazione: nulla da dire? Non ricorda i danni procurati al mondo dal comportamento dei “giganti” che lo appassionano tanto? I titoli tossici li hanno forse inventati i piccoli e medi imprenditori italiani? I quali sono entrati in forze nel XXI secolo e vi stanno a buon titolo applicando le nuove tecnologie.

Ecco, basterebbe che si ricordasse che il fordismo con le sue economie di scala è finito da un pezzo e che le nuove tecnologie digitali stanno progressivamente favorendo le strutture specializzate e flessibili, dotate di creatività e spinte dalla vera competizione che le fa prevalere sui mercati internazionali.

(Post tratto dal profilo Facebook di Coltorti)

Back To Top