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Codici Ateco

Codici Ateco, chi è aperto e chi è chiuso

L'analisi di Antonio Sileo e Niccolò Cusumano tratta dalla rivista Energia

La diffusione del nuovo coronavirus Sars-CoV-2 nel nostro Paese in poche settimane ha determinato un’emergenza sanitaria senza precedenti nella storia recente. L’epidemia ha ineluttabilmente contagiato l’economia con la contrazione dei consumi di numerosissimi beni e servizi. Per contenere il propagarsi del contagio l’Italia si è progressivamente fermata: alla clausura forzata delle persone, che ormai ha superato i 40 giorni, si è affiancato il fermo delle attività produttive e la chiusura della maggior parte degli esercizi commerciali.

Al decreto-legge n. 6 del 23 febbraio e al DPCM dello stesso giorno, sono infatti seguiti una messe di altri DPCM recanti “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica”. Le regioni del Nord iniziano a rallentare le loro attività, d’intesa con il Ministero della Salute vengono emanate varie ordinanze regionali: bar, locali notturni e esercizi di intrattenimento dovranno chiudere dalle 18 alle 6 del mattino.

Tra i consumi subito infettati anche quelli elettrici, che peraltro possiamo considerare anche un indiretto termometro dell’economia del Paese. Nell’ultima settimana di febbraio Terna ha calcolato una flessione (epurata dell’effetto temperatura) del 1% rispetto al 2019. Flessione che si è ridotta allo 0,5% nella prima settimana di marzo, probabilmente dovuta anche agli effetti del DPCM del 4 marzo, che oltre al divieto di eventi e raduni in mancanza di un metro di distanza tra i partecipanti, ha imposto la chiusura di scuole e università in tutta Italia.

Dal 9 marzo – in concomitanza con i Dpcm dell’8 marzo (misure restrittive per Lombardia e 14 province del Nord) e del 9 marzo (Italia intera) – la flessioni si sono fatte significative, per arrivare al 24% nella settimana 23 – 29 marzo (dati Terna epurati), dove si sono visti gli effetti del Dpcm del 22 marzo, evocativamente ribattezzato “Chiudi Italia”, contenete la dibattuta lista delle filiere essenziali da tenere ancora “aperte”.

Ma quante sono le imprese rimaste aperte?

Un elenco in cui non è facile districarsi anche perché non è mai stato davvero chiuso. L’OCSE stima che le attività ritenute essenziali e che quindi possono (devono) continuare ad operare corrispondano a circa il 30% degli impieghi privati. Stime precise sono difficili in quanto i DPCM, oltre a identificare in modo espresso delle attività attraverso i codici ATECO e riferimenti normativi (vedi i servizi essenziali di cui alla legge 12 giugno 1990, n. 146 art.2, comma 3), lasciano spazio alle aperture di una serie di attività non nominate previa una comunicazione alle prefetture di competenza. Il DPCM del 10 aprile ad esempio prevede la possibile apertura di: impianti a ciclo produttivo continuo; attività dell’industria dell’aerospazio e della difesa, incluse le lavorazioni, gli impianti, i materiali, i servizi e le infrastrutture essenziali per la sicurezza e il soccorso pubblico; attività di rilevanza strategica per l’economia nazionale; ogni attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza; le filiere funzionali a garantire il funzionamento delle attività ritenute essenziali e di quelle dei due punti precedenti.

Attività, come mense e alberghi, non compaiono negli elenchi ATECO, ma sono in ogni caso consentite ai sensi dei vari decreti. Altre, infine, come i noleggi di autovetture o le erboristerie, non sono espressamente nominate, ma possono comunque restare aperte stando alla sezione “FAQ” del sito della Presidenza del Consiglio, che forse ad oggi rappresenta la fonte più completa. Anche per quel che concerne attività sospese, come la ristorazione, il calcolo non è semplice, in quanto sono consentite le consegne a domicilio. Basti pensare che soltanto sulla piattaforma Deliveroo risultano attivi più di 11.000 esercizi in tutta Italia.

Contando esclusivamente gli ATECO presenti sulla piattaforma AIDA BvD, il DPCM 10 aprile coinvolge 910.958 attività, in aumento rispetto alle 858.489 del DM 25 marzo, su un totale di poco più di 2 milioni di società di capitale attive in Italia. Dai dati diffusi dal Viminale risulterebbero pervenute al 15 aprile 105.727 comunicazioni ai prefetti, per cui la platea di imprese potenzialmente aperte rappresenterebbe circa il 50% del totale.

Potenzialmente, in quanto il proseguimento delle attività è anche legato a valutazioni di carattere commerciale e in secondo luogo dalla capacità di garantire l’operatività in condizioni di sicurezza. Non è un caso che grandi imprese – come ad esempio Electrolux, Fincantieri, FCA – abbiano annunciato la ripartenza degli impianti dopo essere riuscite a riorganizzare la produzione in chiave Covid-19.

Un attivismo che sembrerebbe attestato anche dai consumi elettrici, che, pur continuando ad essere significativamente inferiori rispetto allo scorso anno, mostrano dei segnali di stabilizzazione e ripresa, specie nel confronto settimana su settimana, come osservabile nella Figura.

Confronto consumi elettrici, a parità di giorni, tra l’8 marzo e il 17 aprile: tra settimane del 2020 e tra il 2020 e 2019

Si fa qui riferimento all’energia richiesta sulla rete nazionale per far fronte al consumo interno netto (“total load”) data dalla somma dell’energia elettrica netta prodotta e di quella importata dall’estero, a cui si sottraggono quella assorbita dai pompaggi e quella esportata. Fonte: elaborazioni su dati Terna, 2020.

Estratto di un’analisi pubblicata su Energia, qui la versione integrale.

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