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Medici Famiglia

Chi pagherà l’assistenza sanitaria territoriale quando saranno finiti i fondi del Pnrr?

I dubbi dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio e le incognite sul futuro della riforma dell'assistenza sanitaria territoriale una volta che le risorse del Pnrr saranno terminate 

Cosa resterà delle innovazioni introdotte dal PNRR una volta che le risorse del PNRR saranno terminate? Questa domanda se l’è posta l’Ufficio Parlamentare di Bilancio in riferimento all’assistenza sanitaria nazionale. L’UPB nel focus “L’assistenza sanitaria territoriale: una sfida per il Servizio sanitario nazionale” analizza l’impatto sul Servizio Sanitario Nazionale della componente del PNRR dedicata alla sanità territoriale, per la quale sono previsti 7 miliardi di investimenti e 500 milioni del Fondo complementare (FoC).

IL RIDIMENSIONAMENTO DELLA CAPACITÀ DEGLI OSPEDALI ITALIANI

Il report, curato da Stefania Gabriele, si concentra sulla prima componente della Missione 6 del PNRR denominata “Reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale”. Lo spostamento delle cure dal livello ospedaliero a quello territoriale ha rappresentato una delle politiche più diffuse nei paesi europei per migliorare i servizi sanitari. Nel nostro paese questa tendenza si è scontrata con il ridimensionamento della capacità degli ospedali, già più bassa rispetto agli altri paesi UE (in Italia il numero di posti letto per 1.000 persone è 3,2, mentre la media europea è 5,3).

LA RIFORMA DELLA RETE DI ASSISTENZA TERRITORIALE

Le innovazioni, analizzate nel focus dell’UPB, confluiscono nella riforma che vuole rivoluzionare il modello organizzativo per la rete di assistenza sanitaria territoriale “con la determinazione dei relativi standard strutturali, tecnologici e organizzativi, da affiancare a quelli, da tempo definiti, dell’assistenza ospedaliera”.  Sono tre i livelli di trattamento che danno corpo alla riforma:

  • le Case della comunità, che hanno il compito di indirizzare gli assistiti verso i servizi di assistenza sanitaria primaria, socio-sanitaria e sociale, oltre che di curare la promozione della salute e assicurare la presa in carico dei pazienti cronici. A queste strutture sono assegnati 2 miliardi di euro;
  • l’assistenza domiciliare, per cui è previsto un rafforzamento e il cui obiettivo è prendere in carico almeno 800.000 nuovi pazienti over 65. Inoltre, entro giugno 2024, dovrebbero entrare in funzione più di 600 Centrali operative territoriali (COT), interconnesse e dotate di appositi dispositivi per il telemonitoraggio dei pazienti, volte al coordinamento delle strutture sanitarie e socio-sanitarie per migliorare accessibilità, continuità e integrazione delle cure e, alla diffusione della telemedicina. Le risorse stanziate per l’assistenza domiciliare sono così divise: 1 miliardo per la telemedicina, 2,72 miliardi per aumentare gli assistiti over-65 e altri 280 milioni per l’attivazione delle 600 Centrali operative territoriali (COT);
  • gli Ospedali di comunità, a degenza breve, per un massimo di 15-20 giorni, per lo sviluppo delle cure intermedie tra ospedale e ambulatorio. Queste strutture hanno il compito di alleggerire gli ospedali dalle prestazioni a bassa complessità e a contenere gli accessi al pronto soccorso. L’obiettivo numerico è arrivare a realizzare o adeguare 400 Ospedali di comunità entro la metà del 2026. Per gli ospedali di comunità sono state stanziate risorse per 1 miliardo di euro.

 LA DIVISIONE DEI FONDI TRA I DIVERSI LIVELLI TERRITORIALI

Dei 7 miliardi previsti ben 6,675 dovevano essere ripartiti fra Regioni e Province autonome. “I finanziamenti fin qui distribuiti ammontano a 5,9 miliardi, di cui il 42,8 per cento è andato al Mezzogiorno – si legge nel focus -. Si è cercato di rendere più flessibile il vincolo del 40 per cento al Mezzogiorno applicando criteri specifici per i diversi investimenti”. In realtà molte Regioni, soprattutto nel sud Italia, non dispongono di strutture intermedie per degenze a bassa intensità clinica. E anche la diffusione dell’assistenza domiciliare è complessivamente limitata e molto differenziata tra le Regioni “sia in termini di prese in carico rispetto alla popolazione sia in termini di intensità dell’aiuto”. Il quadro che emerge è quello di un’Italia a più velocità.

LE INCOGNITE DELLA RIFORMA

L’Ufficio parlamentare di Bilancio segnala l’esistenza di diverse incognite. Prima di tutto i tempi di realizzazione delle opere, che dovrebbero essere molto rapidi per rispettare la tabella di marcia del PNRR, poi “la capacità di assicurare un riequilibrio territoriale dei servizi, la disponibilità di risorse finanziarie e umane per far funzionare il nuovo sistema di assistenza territoriale, il coinvolgimento dei medici di medicina generale (MMG), l’adattamento della riforma ai diversi modelli regionali”.

CHI PAGHERÀ LA RIFORMA QUANDO I FONDI DEL PNRR SI SARANNO ESAURITI?

L’UPB individua tre grandi criticità della riforma della sanità territoriale come prevista dal DM 77/2022. Prima di tutto le risorse economiche. Se è vero che, per le fasi di costruzione, il sistema sanitario nazionale potrà attingere dai fondi del PNRR, è nella gestione delle nuove strutture della riforma che emergeranno i problemi. Quando le risorse del PNRR saranno esaurite “si dovrà rinvenire nei finanziamenti al SSN più di un miliardo per dare continuità ai servizi di assistenza domiciliare e quando gli Ospedali di comunità saranno disponibili si dovranno reperire 239 milioni per il relativo personale”. E questo è in netto contrasto con la programmazione finanziaria per il triennio iniziato nel 2023 che prevede “un ridimensionamento della quota del prodotto allocata alla sanità pubblica, che renderebbe difficile potenziarne i servizi, anche in presenza di una riorganizzazione degli stessi. Plausibilmente emergerà quindi l’esigenza di destinare ulteriori finanziamenti all’assistenza sanitaria territoriale; tra l’altro il Governo si è impegnato con le Regioni a reperire ulteriori risorse ove si rendessero necessarie, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica”.

LA PERDITA DI ATTRATTIVITÀ DEL SSN E LE INCERTEZZE PER I MMG

Un altro tema molto caldo riguarda il reperimento il reperimento di risorse umane per il SSN. L’UPB sottolinea che la “difficoltà di reperire il personale e la perdita di attrattività del SSN stanno diventando un’emergenza, soprattutto per quanto riguarda gli infermieri e alcune categorie di medici, da affrontare con una adeguata programmazione del personale, l’incremento dell’offerta formativa, l’adozione di misure volte a restituire attrattività al lavoro nel SSN in termini di riconoscimento sociale ed economico”. Questa criticità si intreccia con un’altra. “Il coinvolgimento dei medici di medicina generale (MMG) nell’attuazione della riforma richiederebbe una chiara regolazione delle forme e dei modi della partecipazione alle varie strutture e una revisione dei percorsi formativi per rafforzarli e adeguarli alla nuova impostazione delle cure primarie sul territorio – si legge nel focus -. L’ipotesi di trasformare i medici di base da liberi professionisti convenzionati in dipendenti del SSN al momento sembra essere stata accantonata”. L’Atto di indirizzo per la convenzione con i Medici di medicina generale 2019-21, invece, si limita a presupporre che “la riorganizzazione emersa dai precedenti accordi sia già coerente con le previsioni del PNRR”, a questo si aggiunge il ritardo nella contrattazione nazionale che “finisce per essere causa ed effetto delle difficoltà a introdurre, e finanziare, innovazioni più rilevanti, pure necessarie nell’ottica della riforma”.

IL RUOLO CENTRALE DEL DISTRETTO SANITARIO

L’ultimo aspetto riguarda gli spazi di intervento che potrà trovare la sanità privata. Se uno degli obiettivi del Regolamento dell’assistenza sanitaria territoriale è “assicurare standard uniformi su tutto il territorio nazionale”, dall’altro “le innovazioni istituzionali dovranno essere calate nei singoli modelli regionali”, e con queste, e con le loro interazioni con il sistema privato, interfacciarsi. I tecnici dell’UPB evidenziano che “per assicurare priorità alla funzione di programmazione, mantenendo da un lato il controllo sulla spesa e dall’altro lato l’impegno per l’appropriatezza e l’equità nell’erogazione delle prestazioni” sarà centrale il ruolo del Distretto sanitario “enfatizzato nella parte descrittiva del Regolamento e rafforzato da recenti provvedimenti”.

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