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Banca Popolare Di Bari

Che fine farà la Banca Popolare di Bari?

Tutte le ultime novità sulla Banca Popolare di Bari: fatti, numeri, commenti e scenari. L'articolo di Emanuela Rossi

 

Cambio al vertice ma ancora tanta incertezza per Popolare di Bari, la banca uscita dalle pastoie della gestione Jacobini e ora controllata da Mediocredito centrale, che però ancora naviga in acque incerte. Al nuovo amministratore delegato, Cristiano Carrus, il compito di rilanciare un istituto di credito che – tenuto conto dei 12,4 milioni di imposte di competenza – ha chiuso i primi sei mesi del 2021 in perdita per 101,1 milioni. Una situazione delicata come appare anche dalla lettera che il presidente del board, Gianni De Gennaro, ha inviato ai dipendenti. “Molto è stato fatto ma c’è ancora tantissimo da fare nell’interesse di chi vi lavora, di chi ha investito capitali, dei risparmiatori, delle famiglie e delle aziende del territorio – ha scritto De Gennaro -, realizzando le indispensabili condizioni di equilibrio gestionale, da cui consegue il mantenimento della altrettanto necessaria solidità patrimoniale”.

L’ADDIO DI BERGAMI

Dunque, dopo circa 14 mesi al timone della popolare di Bari, il 13 dicembre scorso si è dimesso l’ad Giampiero Bergami, manager bolognese, ex Unicredit e Montepaschi, che – secondo indiscrezioni giornalistiche – avrebbe maturato la scelta in seguito ai risultati negativi della banca e alle divergenze con i vertici di Mcc, guidata dal presidente Bernardo Mattarella. Audito in commissione d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, un mese prima, Bergami era stato chiaro: Mediocredito aveva “ereditato una banca che si è allontanata dal mercato per 10 anni”. Le sue dimissioni erano state precedute, in estate, da quelle del collegio sindacale e del chief lending officer, Alberto Beretta.

“Sicuramente è finita una fase complicata in cui la banca ha avuto bisogno di focalizzarsi e iniziare a ristrutturarsi – è stato il commento di Mattarella all’addio di Bergami -. Se ne apre una nuova orientata da parte nostra verso un interesse che è l’unico che abbiamo e abbiamo sempre avuto, che è quello di restituire al territorio una realtà sana, trasparente e in grado di generare valore per gli stakeholder. Questo è l’unico faro che ci ha guidato e che sempre ci guiderà”.

CHI È CRISTIANO CARRUS

Al posto di Bergami arriva dunque Cristiano Carrus, 63enne, veneziano, cfo della Popolare di Bari da febbraio 2020 ad ottobre dello stesso anno quando è stato nominato chief business officer. In passato Carrus è stato direttore generale e poi amministratore delegato con funzioni di direttore generale di Veneto Banca – finita poi in liquidazione coatta amministrativa nel 2017 – e prima ancora ha lavorato in Banca Popolare di Verona e poi in vari istituti del Gruppo Banco Popolare, facendo comunque parecchia strada da quel primo impiego come addetto alla biglietteria aerea, ferroviaria e navale nel 1977-1978 (Carrus ha un diploma di perito per il turismo). Con il nuovo ad, come esplicitato in una nota, il board “condivide la visione per guidare la Banca verso una fase di risanamento e crescita”.

La nomina di Carrus non è stata particolarmente apprezzata da Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, il primo sindacato dei bancari. “Carrus rappresenta l’ultima spiaggia – ha detto senza mezzi termini -. La banca deve essere definitivamente rilanciata e valorizzata per quello che merita perché ha un parco clienti di prima qualità e di lavoratori che stanno pagando economicamente per poterla in qualche modo rilanciare”. Per Sileoni “se anche Carrus dovesse fallire è chiaro che tutto il progetto della Banca del Sud, che per come stanno le cose oggi è quasi un miraggio, verrebbe definitivamente accantonato. Ci deve essere una perfetta sintonia questa volta tra Mediocredito e Popolare di Bari”.

LA SITUAZIONE ATTUALE

Il riferimento del numero uno della Fabi è al decreto legge 142 “Misure urgenti per il sostegno al sistema creditizio del Mezzogiorno e per la realizzazione di una banca di investimento” del dicembre 2019, convertito a febbraio 2020, con cui Invitalia e il suo braccio operativo, Mediocredito centrale, erano investite del compito di creare un polo del credito per il Sud del Paese. Un obiettivo che però al momento non è decollato né è chiaro come lo si possa attuare.

Nel frattempo gli ex proprietari della banca, Marco Jacobini e suo figlio Gianluca, sono ancora a processo in quanto accusati di falso in bilancio e di ostacolo alla vigilanza. Occorre ricordare che prima dell’arrivo di Mcc – che a giugno 2020 ha preso il controllo di Popolare di Bari con un aumento di capitale da 430 milioni – è stato il turno del Fondo interbancario di tutela dei depositi (https://www.startmag.it/economia/banca-popolare-di-bari-riuscira-a-risollevarsi/) che tra dicembre 2019 – quando Via Nazionale ha posto la banca in amministrazione straordinaria – e marzo 2020 ha versato 1.200 milioni nelle casse dell’istituto.

Il crac della Popolare di Bari, peraltro, ha portato all’azzeramento del valore delle azioni con conseguenti forti perdite per i 66 mila azionisti. Per questo a dicembre sono stati presentati due emendamenti alla Legge di Bilancio – uno a firma di Barbara Lezzi (ex M5S, ora Gruppo Misto) e uno di Dario Damiani (Forza Italia) – per creare un fondo ristori per i risparmiatori e i soci della banca con tetto per gli indennizzi di 150mila euro a persona. Veniva escluso dall’accesso al fondo chi avesse avuto un incarico di componente nel consiglio d’amministrazione o negli organi di controllo e vigilanza o nel collegio sindacale o chi avesse ricoperto il ruolo di consigliere delegato, direttore e vicedirettore generale. Le modifiche al testo non hanno trovato posto in manovra tuttavia è stato dato il via libera a un ordine del giorno della deputata Francesca Anna Ruggiero (M5S) con cui il governo si è impegnato a “valutare l’opportunità di intraprendere idonee e tempestive iniziative, nel prossimo provvedimento utile e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, finalizzate a indennizzare i risparmiatori della Banca Popolare di Bari delle forti perdite subite dal crollo dei titoli azionari che sarebbero stati prospettati come sicuri, facilmente liquidabili e al riparo da potenziali perdite”.

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