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economia russa

Che effetto sta avendo la guerra in Ucraina sull’economia russa?

Con l’iniziare della guerra in Ucraina il rublo è crollato del 30% e la vita quotidiana dei russi è stata stravolta, ma oggi si assiste alla sostanziale tenuta e anzi una crescita. Ecco perché. L'intervento di Leonardo Dini

 

Un argomento essenziale è diventato dopo il caso Navalny quello dell’opposizione in Russia. Su questo tema è stato scritto un saggio: La Russia che si ribella. Repressione e opposizione nel presente e futuro di Maria Chiara Franceschelli e Federico Varese, edizione Altra Economia, Milano, 2024.

“Il libro indaga quel che intercorre fra consenso e rivoluzione, fra silenzio e violenza” in Russia. Come è noto la società civile russa non è mai veramente nata, dopo l’esperienza sovietica e tradizionalista dei precedenti zaristi, essa deve ancora nascere.

Nelle conclusioni del libro si citano infatti al riguardo i concetti dell’economista Albert Hirschmann, esposti in un’opera del 1970: in particolare si descrivono i concetti di “voice” e di “exit”, dunque l’alternativa dei cittadini russi fra “alzare la voce per protestare” o “andare via”. Questa è oggi l’alternativa terribile dei cittadini russi.

Dunque oggi dopo il caso Navalny la Russia che si ribella equivale all’espressione di dissenso, alternativa. Chi agisce sono gli individui e a loro, nel complesso sociale, spetta ribellarsi contro i dittatori.

Il libro di Franceschelli e Varese si richiama esplicitamente pertanto a Goffredo Fofi che affermava che “bisogna dire un netto no”. Il saggio ripercorre le vicende dell’opposizione civile in Russia in tutta l’era putinista, dal 2000 a oggi, mediante il diario delle vicende umane di alcuni esponenti della società civile russa e di cittadini intervistati nel 2022, nel 2023 e sino a oggi, dagli autori.

La prima intervistata è una biokadnitsa, un’anziana cittadina di San Pietroburgo, vivente al tempo della Seconda Guerra Mondiale e sopravvissuta allo storico assedio nazista della città in cui morì perfino il fratello maggiore Vitja Viktor di Putin e in cui la stessa madre di Putin fu data per morta e salvata avventurosamente.

L’anziana donna Liudmilla evoca nel suo racconto la narrazione del “patriottismo dell’anima, che rifiuta l’aggressione e l’esclusione”. Cita la poesia di Viktor Bokow “Dove inizia la Russia”. Quella usata da Liudmilla per ragionare con i repressori è la tecnica dell’affratellamento, la stessa promossa in Italia dal pacifismo di Aldo Capitini. La donna si ricollega anche agli ideali della Ong Vesna Ptimavera che difende i diritti dei perseguitati russi.

Il secondo ritratto sociale del saggio sulla Russia antagonista descrive il pope di Karabanovo (Kostroma), unico parroco sinora condannato per le sue attività pacifiste, sgradite sia al potere laico che a quello ecclesiastico in Russia. La condanna origina da una predica pacifista del pope, ma nella stessa comunità religiosa un altro pope suo predecessore era stato componente del Gruppo Mosca Helsinki, fondato nel 1976, in casa di Andrei Sacharov, per valutare l’adesione URSS agli Accordi di Helsinki.

Il pope di Karabonovo afferma: “Io non mi sento di appartenere a nessuna nazione”, ribadendo l’universalismo cristiano che si richiama all’apostolo Paolo: “Gesù non era ebreo o romano”. Nella opinione del pope, coerente col messaggio cristiano: “L’identità cristiana non appartiene a nessuna nazione: siamo tutti fratelli e sorelle”. Anzi, alla base della civiltà cristiana vi è il comandamento di non uccidere, incompatibile con ogni guerra.

Sempre durante l’“Operazione speciale” in corso, d’altra parte, in Russia, un prete ortodosso di Mosca è stato costretto a ridursi allo stato laicale per aver chiesto che in ogni sermone in Russia la parola pace sostituisse la parola guerra.

Inoltre il 7 agosto 2001, (a dimostrare da quanto lontano nasce questa guerra attuale: dall’avvento al potere di Putin, nel 2000), la chiesa ortodossa russa ha inopinatamente canonizzato un ammiraglio russo del 1700, creandolo patrono degli aerei bombardieri nucleari: un evidente gesto a carattere millenaristico neomedievale.

Il terzo testimone citato nel libro si ricollega al sito russo di resistenza civile OVD Info.org che monitora gli arresti di dissidenti. Si tratta del docente di filosofia politica della Scuola di Scienze Sociali di Mosca, il professor Gregorij Judin.

Secondo Judin “siamo a un punto critico della storia russa, la Russia diventerà uno stato totalitario ed emergerà un movimento clandestino di resistenza”. Con l’iniziare del conflitto, ricorda Judin, il rublo è crollato del 30% e la vita quotidiana dei russi è stata stravolta.

Tuttavia, per Judin, una reazione alla guerra è nata, l’associazione delle madri dei militari russi è una forza da non sottovalutare e destinata a espandersi. Nell’analisi del professore oggi i piani di Putin includono già Moldavia e Polonia e Lituania: “Se cade l’Ucraina, cade l’Europa tutta” (come nelle invasioni barbariche premedioevali).

Aggiunge Judin che “il saggio pubblicato da Putin il 16 luglio 2021 parla chiaro sull’unità politica di Russia e Ucraina” e rappresenta un testo rivelatore di una ideologia nascente neodittatoriale a vocazione paneuropea (come lo fu un tempo il III Reich, contraddizione delle contraddizioni della narrazione putiniana).

Oggi secondo il filosofo Judin prevale in Russia un senso di colpa collettivo (simmetrico e opposto a nostro parere al senso di colpa collettivo degli europei verso i paesi extraeuropei ben trattato dal geopolitologo Alexander Del Valle nell’omonimo libro appena pubblicato in Italia). Sembra quasi che l’avanzare militare russo in marcia verso l’Europa e l’avanzare antieuropeo ed endoeuropeo dell’Islam violento radicale in e verso l’Europa, procedano all’unisono e di pari passo, in coincidenza con le due guerre simultanee in Europa e in Medio Oriente.

Da esperto di sociologia, Judin prosegue ricordando le parole di preoccupazione diffuse tra i russi oggi: “Come abbiamo permesso che un dittatore come Putin andasse al potere?”. Per il professore in Russia: “Siamo in una situazione di tipo Arendtiano (da H. Arendt).

L’autocritica generalizzata fra i russi è controproducente perché intende assolverli dalle loro proprie responsabilità. Emerge dunque in Judin il concetto della responsabilità morale dell’individuo di fronte al potere: “La cosa più grave in questo momento è rinunciare”. Ecco dunque che l’Europa si trova di fatto fra due fuochi: da un lato la Russia a est; e a sud l’avanzata dell’Islam radicale, coincidenze non casuali aggiungiamo.

Per Judin “in Russia dobbiamo chiederci quale sia l’azione politica minima da intraprendere”. Le elezioni plebiscitarie russe in corso e il caso Navalny di questi giorni dimostrano l’urgenza di una risposta, collettiva appunto, della società civile russa.

In economia dopo l’iniziale crisi del rublo e dell’inflazione, oggi si assiste alla sostanziale tenuta e anzi crescita dell’economia e finanza russa (grazie al supporto di India, Cina, Turchia, Emirati), queste nuove forze dell’economia e della finanza costituiscono i principali problemi e ostacoli, oltre alla ostinata repressione, per la Russia ribelle.

Nonostante la fronda di parte degli oligarchi, peraltro perseguitati da Putin all’estero, e nonostante la neutralità di Abramovich che anzi ha inscenato trattative di pace. In Russia oggi l’economia russa regge: l’inflazione è scesa intorno al 12,5% già nel 2022, attestandosi ai valori medi europei. Già, la Russia che vuole conquistare l’Europa è, nolente o volente, parte, economicamente, dell’Europa.

Il tasso di cambio rublo dollaro è tornato ai valori pre-guerra.

Il Pil non è sceso del 20%. Nel 2023 il calo dell’economia russa va dal -2,5% (Oecd), al -0,2% stimato dalla Banca Mondiale.

Anzi, per il Fmi si è avuta una crescita, sia pure dello 0,7%.

Il paese ha esteso il suo export, verso Turchia e Kazakistan, e verso Cindia: Cina e India.

Ma Cina, India e Turchia, alleate di fatto, in pratica, hanno sostituito i partner economico finanziari tradizionali occidentali. Proprio mentre l’importazione in Russia dagli USA diminuiva dell’85% e dall’Europa del 50%.

Secondo Judin in Russia “i consumatori si sono adattati a beni di qualità inferiore”. Anzi, come recensore del libro sulla Russia ribelle posso testimoniare, per esperienza diretta, che la borghesia a Mosca, paradossalmente, vive in modo agiato, proprio mentre la middle class italiana, americana, europea, si è eclissata socialmente in questi anni recenti, e mentre nasce un ceto medio di massa in Cina, India e Turchia.

Intanto, come già si usava in Urss (e Putin si ispira molto all’Urss e al metodo Sovietico di Stalin e Brezhnev), “la Russia ha inaugurato la politica dell’importazione parallela (non autorizzata dalla casa produttrice)”. Aumentano in Russia le richieste di licenze commerciali per compagnie basate in Kazakistan.

Inoltre le sanzioni, come sempre, nella storia, si sono rivelate inefficaci, un flop.

Oggi Putin sta anche usando efficacemente il sistema educativo e universitario russo, non solo per rieducare gli abitanti postucraini della Novorossija, ma per fare della generazione Z e dei giovani una Putin jugend, da usare per la conquista dell’Europa e dell’Ucraina… Si è riaperta l’organizzazione dei Pionieri, nelle scuole, che riecheggia l’Urss.

La geopolitica euroasiatica e i valori tradizionalisti ortodossi (in realtà estremizzati) saranno il dogma politico sociale imposto alle generazioni russe future. (Alla Germania di Hitler furono sufficienti gli anni dal 1933 al 1939, per mettere su la macchina da guerra che ha poi devastato l’Europa). Questo accade perché i giovani russi “occidentalizzati” o semplicemente acculturati, rimangono tuttora i russi più scettici eppure dunque i ribelli più validi.

Tuttavia il 60% dei russi resta incerto, secondo i sociologi, come Alexej Minjajlo, a fronte di un 22% di russi pro-guerra e di un 20% contrario.

Per Judin però “i russi non sono ancora un popolo di fanatici” ma “se l’indottrinamento funzionerà, avremo una nazione di 140 milioni di persone vocate a invadere l’Europa”. Inoltre la guerra ha aggravato le disuguaglianze esistenti creando due Russie, una degli oligarchi e una periferica e povera (si pensi ai daghestani, agli jakuti, ai buriati, fra le etnie russe). Oltre alle migliaia di combattenti esterni dall’Asia centrale (quasi un nuovo esercito dei mongoli, a oltre mille anni da Gengis Khan).

Si è creato perciò un immenso esercito russo feudale imperiale, come nel medioevo.

Putin, conclude Judin, “come ogni dittatore corrompe la maggioranza e arresta la minoranza”. Eppure un’altra Russia è possibile e forse proprio Julia Navalnaja, potrebbe essere in divenire, la presidente di una nuova Russia alternativa, democratica e post Putin.

Storicamente, nel 1916, la rivolta antizarista dei popoli russi euroasiatici fu una delle origini della Rivoluzione russa. Oggi intanto, di fatto, la Cina ha la golden share, progressiva, su economia, potere e territori russi, inclusi quelli del conflitto odierno, tanto che, nel febbraio 2020, Putin stesso incontrò, non a caso, Xi, prima di iniziare la guerra in Ucraina.

A tutto questo si aggiunge la divisione, da divide et impera, fra i potenti russi emigrati all’estero: Mickail Khodorkorskij, Sergej Aleksashenko, Garry Kasparov, Gennadi Gudkov, distanti ideologicamente e socialmente dai tanti attivisti pacifisti russi giovani, con vocazione comunitaristica e non individualistica.

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