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Che cosa unisce e che cosa divide Landini e Colla nella corsa alla Cgil post Camusso

Visioni e divisioni tra Maurizio Landini e Vincenzo Colla ai vertici della Cgil nell'articolo di Giuliano Cazzola

 

Ormai siamo ad un tiro di schioppo dallo svolgimento del Congresso nazionale della Cgil. E’ terminata la fase delle assemblee congressuali delle categorie e delle strutture territoriali; tutto è pronto per l’assise di Bari.

Il 20 dicembre scorso, in occasione dell’ultima riunione dell’anno che ormai volge al termine (e che sarà ricordato come l’anno per me nefasto della vittoria delle forze populiste) si è verificato un fatto nuovo, ancorché previsto da tempo. Vincenzo Colla, componente della segreteria confederale uscente, ha annunciato che presenterà all’Assemblea nazionale eletta dal Congresso la sua candidatura in alternativa a quella di Maurizio Landini, proposta e sostenuta da Susanna Camusso (per la cronaca, sconfitta nella elezione alla guida della Confederazione internazionale).

Colla, piacentino, 56 anni, è un uomo alto, cordiale ma riservato, sicuramente meno conosciuto dall’opinione pubblica del suo rivale che, per molto tempo, era divenuto un frequentatore assiduo dei talk show televisivi, sempre generosi nel sostenerlo nelle tante battaglie sbagliate e perdute che fanno parte della sua storia di dirigente sindacale.

Colla e Landini sono coetanei, entrambi emiliani ed ex metalmeccanici, nel senso vero del termine, perché hanno cominciato la loro attività sindacale partendo dalla fabbrica. Entrambi hanno un cursus honorum di notevole spessore.

Prima di entrare in segreteria confederale Colla dirigeva la Cgil dell’Emilia Romagna (la più importante struttura territoriale della Confederazione); Landini era il leader della Fiom, la federazione di categoria entrata nella storia del Paese, anche come fucina di grandi dirigenti, da Bruno Buozzi a Luciano Lama e a Bruno Trentin.

Ma proprio nelle diverse esperienze compiute stanno le caratteristiche dei due protagonisti del Congresso. Lo ha fatto notare, in una delle sue prime interviste da candidato, proprio Vincenzo Colla, sottolineando come l’aver diretto, in prevalenza, istanze orizzontali (dapprima come segretario della Cgil di Piacenza, poi di quella regionale) incidano sulla linea di condotta di un dirigente rispetto ad un altro che sia sempre rimasto alla testa di una categoria ancorché importante.

Il livello di direzione orizzontale mette a contatto con realtà profondamente differenti anche all’interno del medesimo sindacato ed impone una capacità di sintesi (che è qualche cosa di più della semplice mediazione) che sappia unificare un movimento complesso nella prospettiva di una visione generale. Colla, poi, non ha nascosto di non aver spesso condiviso le posizioni di Landini.

A chi gli chiedeva i punti principali del suo programma, ha risposto evocando l’Europa, la società e l’economia aperte (‘’siamo un Paese che è totalmente in relazione con gli altri, dobbiamo essere un Paese aperto”); e ancora, il ruolo dell’industria manifatturiera, la centralità del lavoro e della partecipazione dei lavoratori.

Mentre ho avuto tante occasioni per criticare le azioni di Landini quando era alla Fiom, io non conosco Vincenzo Colla. Quando ho iniziato la mia esperienza di sindacalista alla Fiom di Bologna, Colla non aveva ancora l’età per essere iscritto alle scuole elementari.

Di lui ho apprezzato la presa di posizione polemica contro l’invito (e gli applausi) rivolti al ministro Paolo Savona nelle Giornate del lavoro di Lecce. Mentre non mi ha mai persuaso il leitmotiv del racconto di Maurizio Landini in quasi tutti i congressi in cui è intervenuto: l’episodio del suo incontro, in un Grill sull’autostrada nei pressi di Pescara, con alcuni iscritti della Cgil che avevano votato per la Lega ma che lo invitavano a ‘’tener duro’’ anche nei confronti del governo giallo-verde.

Se ho ben compreso il senso di quell’aneddoto, secondo Landini, la Cgil è in grado di rappresentare anche quei lavoratori. Io al suo posto mi sarei rifiutato di prendere persino un caffè con loro. Mi piacerebbe sapere come si sarebbe comportato in quella circostanza Vincenzo Colla. Ma non insisto troppo, da quando un anonimo libello di (in)cultura sindacale (che si intitola Fortebraccio) ha sostenuto che il mio appoggio nuocerebbe alla causa di Colla. E sinceramente mi dispiacerebbe.

A mio avviso, infatti, il Congresso della Cgil è il primo banco di prova della reazione della sinistra alla sconfitta del 4 marzo. Poi sarà il momento della verità anche per il Pd. La scelta in ballo è tra l’alleanza con il M5S (sono convinto che sia questa l’opzione di Nicola Zingaretti) o la discesa in campo delle masse in difesa della democrazia. Non sarebbe questo il compito storico della Cgil?

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