Con un coupe de théatre degno di miglior causa, ieri è apparso sul sito l’ordine del giorno commentato del prossimo Eurogruppo del 16 marzo. E, sorprendentemente, sono cambiati sia gli argomenti che il loro ordine apparsi nella prima bozza pubblicata lunedì 9 marzo, i cui contenuti erano stati anticipati dall’Ansa venerdì 6.
La parte relativa alla riforma del MES è passata nelle “varie ed eventuali”, ma non solo. Il testo è cambiato da “avallo politico” (political endorsement) a proseguimento del lavoro (continue the work) e la discussione sulla crisi economica da COVID-19 è passata dal terzo al primo punto.
È una differenza enorme. Infatti, il prossimo Eurosummit del 26/27 marzo era in attesa della conclusione del lavoro dell’Eurogruppo, appunto l’avallo politico, per procedere alla firma della modifica del Trattato, a mezzo dei propri ambasciatori, e sottoporlo poi alla ratifica dei Parlamenti nazionali. Ora si torna alla casella di partenza del giugno/dicembre 2019, o quasi. Infatti, bisogna prendere atto che il lavoro di definizione dei contenuti della riforma è praticamente terminato già da allora, come abbondantemente scritto nei comunicati finali delle riunioni dell’Eurogruppo di quei mesi. Restano da definire alcuni dettagli relativi alla legislazione di secondo livello, ed alla posizione delle Clausola di Azione Collettiva (che con unico voto a maggioranza potrebbero decidere di approvare la ristrutturazione del debito pubblico di uno Stato), da inserire nell’articolato principale o negli allegati.
Preoccupa, e non poco, invece l’ordine del giorno del Consiglio Ue in configurazione Ecofin (ministri dell’economia e della Finanze) che è il fulcro decisionale delle istituzioni europee. Per il 17 marzo figura ancora all’ordine del giorno il peggio del peggio dell’ormai anacronistico strumentario della Ue.
L’austriaco Thomas Wieser, tristemente noto alle cronaca come il presidente del gruppo di lavoro dell’Eurogruppo durante la crisi greca del 2015 e definito da Varoufakis come un aguzzino, presenterà una relazione sull’elaborazione di raccomandazioni strategiche per le future azioni dell’Unione dei mercati dei capitali.
Ma, ancora peggio, la Commissione europea presenterà le relazioni per paese e gli esami approfonditi 2020. I ministri procederanno a uno scambio di opinioni sull’attuazione delle raccomandazioni specifiche per paese. Si tratta, di un ciclo di coordinamento delle politiche economiche dei paesi dell’eurozona dominato da quel pacchetto di regole incomprensibili che abbiamo imparato a conoscere in questi anni. Six-pack, two-pack, Patto di Stabilità e Crescita, Fiscal Compact, un reticolo intricatissimo che sarà spazzato via dallo tsunami della crisi economica ormai in atto.
È appena il caso di notare che la relazione riguardante l’Italia è il solito affastellarsi di richiesta di riforme strutturali e disciplina di bilancio. Ormai vecchia chincaglieria. Tenere ancora al centro dell’agenda temi del genere, fa venire in mente la famosa scena del Fuhrer asserragliato nel bunker della Cancelleria che confida di liberare Berlino ormai accerchiata, facendo affidamento sul “piano Steiner” che si rivelò essere invece un’armata fantasma.
Sulla variazione dell’ordine del giorno del MES, si possono formulare solo congetture. Si tratta di un semplice sostanziale rinvio, disposto in tutta fretta dopo che il “blitz” di un’approvazione non è passato per le proteste di numerosi partiti politici e dell’opinione pubblica italiana (di fatto, solo il PD non si era opposto)? Non c’è da fidarsi troppo.
Perché tanta fretta? Si voleva forse avere il MES riformato e pronto per applicarlo all’Italia che potrebbe presto averne bisogno, vista la latitanza della BCE? Oppure ci si è resi conto della sua sostanziale inutilità per salvare sia le banche che gli Stati, considerata la limitata potenza di fuoco (poco più di 500 miliardi per tutta l’eurozona) al confronto con le cifre che circolano in questi giorni? Basti pensare al fatto che l’economista Ashoka Mody ha parlato, solo per l’Italia di uno stimolo di natura fiscale nell’ordine di 500-700 miliardi.
A corroborare questa ipotesi, soccorrono anche le registrazioni delle riunioni dell’Eurogruppo pubblicate ieri da Yanis Varoufakis. Di fronte ad un piano di salvataggio finanziario proposto a Klaus Regling (capo del MES), la sua risposta quasi testuale fu “non ho 27 miliardi su due piedi e nemmeno tra un mese”. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, sulla efficacia nulla del MES, questo passaggio potrebbe dissolverli.
L’unico vero prestatore di ultima istanza è la Banca Centrale Europea, a cui però i Trattati vietano il finanziamento monetario del deficit.
Se non si scioglie questo nodo, e non si potrà sbrogliare, pena l’uscita della Germania, ogni altro strumento sarà un semplice palliativo, peraltro dannoso, lento e di modesta portata.