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Quota 100

Che cosa succederà ai lavoratori senza il super green pass?

Ipotesi e scenari sulle conseguenze per i lavoratori che non avranno il super green pass. L'analisi di Giuliano Cazzola

 

Il 5 gennaio dovrebbe essere il D Day. Il Consiglio dei ministri è convocato per decidere sul che fare del super green pass sui luoghi di lavoro ovvero se per entrare in azienda non basterà più l’essersi sottoposto due giorni ad un tampone risultato negativo, ma occorrerà esibire la certificazione verde.

Sappiamo altresì che il rinvio al 5 gennaio è dovuto a dissensi emersi a questo proposito all’interno dell’esecutivo. E sappiamo pure, per esperienza, che ad ogni battuta d’arresto della certificazione verde, ricompare nel dibattito la proposta dell’obbligatorietà della vaccinazione.

A sostenere questa soluzione non vi sono soltanto i soliti ‘’benaltristi’’ o quei sindacalisti che, per ragioni che a noi continuano a sembrare incomprensibili hanno dichiarato guerra da subito al green pass, ma anche persone serie e stimate, che sostengono argomenti solidi e fondati.

Personalmente non riesco ancora a convincermi della validità di questa opinione; non già per motivi di carattere giuridico – che pure non andrebbero sottovalutati – ma soprattutto per ragioni pratiche.

Credo che un’operazione del genere non sia sostenibile innanzi tutto dal punto di vista organizzativo. Si sta andando verso una fase in cui la somministrazione del vaccino deve essere ripetuta anche a breve periodo di distanza, presumibilmente per anni; ed è difficile raggiungere ripetutamente tutti i cittadini, tenendo in piedi una mobilitazione permanente.

Non mi pare neppure che, con l’obbligo sancito per legge, si risolverebbe la questione dei renitenti, nel senso di riuscire a svuotare le nutrite sacche di no vax che resistono sul territorio.

A meno di non andare a prenderli casa per casa, sarebbe necessario predisporre dei filtri di verifica in tutti i luoghi d’accesso anche laddove è sufficiente – come nei negozi, nei locali pubblici, nei supermercati – entrare indossando la mascherina e rispettando il numero di presenze contemporanee stabilite per quei locali.

Vi sono luoghi di socialità in cui non si rimane solo qualche decina di minuti, ma alcune ore, come – è il caso più comune – i posti di lavoro, le officine, le aziende, gli uffici. Non vedo una sostanziale differenza tra il consentire l’accesso con il green pass o con un’altra certificazione dell’avvenuta vaccinazione.

Ma il green pass resta una soluzione più flessibile, un modo di concentrare le risorse laddove vi è la maggiore necessità, senza trattare allo stesso modo e affliggere con i medesimi obblighi chi vive da eremita e chi prende parte alle gare di ballo.

Il green pass consente di allargare le maglie dei vincoli per chi è vaccinato e di restringerle per chi si ostina a non esserlo e si avvale di un controllo sociale più diffuso e articolato, perché nel quotidiano ‘’vivere civile’’ sono tanti i posti di blocco da superare, da cui si entra ed esce solo con la parola d’ordine.

Tutto ciò premesso, credo che il problema sia un altro e più o meno lo stesso quale che sia la scelta che si andrà a fare.

Pare di capire che con l’istituzione del super green pass verrà a mancare la scappatoia del tampone: il che non sarebbe una cosa da poco.

Non sappiamo se esistano dati sicuri su quante persone hanno continuato a svolgere regolarmente le loro mansioni presentando due tamponi negativi alla settimana; né quanti – sdegnosamente – hanno scelto la via della sospensione senza assegni pur di onorare i loro insani convincimenti.

Però – rigoristi e flessibili – è venuto il momento di mettere la carte in tavola: che cosa succede a chi non si vuole vaccinare? Scartiamo per ora l’ipotesi delle Notti di San Bartolomeo per coloro che si sottraggono ad un eventuale obbligo di vaccinazione per tutti: oves et boves et omnia pecora campi.

Limitiamoci al caso della certificazione verde in quanto lasciapassare sul posto di lavoro. Come la mettiamo col datore di lavoro?

A fronte di un obbligo di vaccinazione (diretto o indiretto) sancito dalla legge che cosa potrebbe fare nei confronti di chi si rifiuta ostinatamente? Lo tiene sospeso per un tempo imprevedibile? Magari se ha la necessità di una figura professionale come la sua procede all’assunzione di un ‘’supplente’’ con un contratto a termine oppure può licenziare per giustificato motivo soggettivo il ‘’renitente’’?

Si è consultato il rigorista Speranza con Landini?

Per inciso l’assenza del sindacato in questa battaglia (certo, quando è stato presente ha combinato solo dei guai) è un atto di diserzione che sarà ricordato con il timbro del disonore.

D’altro canto, però, anche gli ‘’aperturisti’’ sono pienamente consapevoli dei loro limiti: i governatori, gli amministratori locali sono in trincea con le loro strutture sanitarie che – se ancora reggono l’offensiva dell’epidemia – hanno dovuto chiudere la porta in faccia a cittadini che soffrono di patologie gravissime, per affrontare le quali la prevenzione e la rapidità degli accertamenti e delle cure sono i più sicuri ‘’salvavita’’.

Non sapremo mai quanto sono stati i ‘’decessi collaterali’’ a causa del covid-19. Esiste comunque il problema dei no vax. Ormai sono in campo gli irriducibili; ma sono tanti. Non si può tollerare l’irrazionalità.

Ricoverare e curare un malato – in forma grave – di covid-19 ha un costo medio di 10mila euro; una dose di vaccino ne costa al massimo 20. Facendo il verso a Dante ‘’con loro è cortesia l’esser scortesi’’.

Ma sarà in grado il governo di usare la maniera forte? Di portare a conseguenze estreme e risolutive la scelta – di per sé coraggiosa in quelle circostanze – della sospensione non retribuita?

Sta qui la scelta che il governo deve fare il 5 gennaio.

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