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Fed

Che cosa si mormora a Wall Street sulle economie di Europa e Asia

Il commento giornaliero ai mercati finanziari di Giuseppe Sersale, Strategist di Anthilia Capital Partners Sgr

In contrasto con la recente tendenza a fracassarsi nel finale, ieri sera Wall Street ha costruito interamente nella seconda metà della seduta il progresso di oltre 1.5% che ha riportato l’S&P 500 in positivo per l’anno. Tornare positivi sul mese, sarà un po’ più complesso, visto che oggi è l’ultimo giorno e siamo giù di quasi 8 punti.

La sostanziale tenuta del consenso sui profitti per l’anno in corso (su livelli assai elevati) ha fatto si che la recente correzione si sia risolta in una robusta contrazione dei multipli.

Una simile contrazione delle valutazioni si può giustificare solo con un significativo peggioramento delle business conditions, US e globali (ricordo che le aziende US continuano a produrre una rilevante porzione di utili all’estero) tale da impattare pesantemente sui profitti aziendali.

Tutto può essere, ma, onestamente, le avvisaglie di un significativo rallentamento macro dell’economia USA sono al momento assai scarse. Una perdita di momentum dell’immobilare, questo è tutto. Tutte le statistiche occupazionali segnalano un mercato del lavoro forte, i consumi corrono e gli indicatori di attività sono sui massimi ciclici (nel grafico FRED – The Fat Pitch si illustra come le retail sales abbiano sempre rallentato ben prima di una recessione).

Molti, tra cui lo stesso Trump, stanno attribuendo la responsabilità di una potenziale inversione del trend a Wall Street, alla serie di rialzi dei tassi operata dalla FED. Effettivamente il tightening della politica monetaria può avere un ruolo nell’aumento della volatilità sui mercati. Ma la storia mostra che, in realtà, la FED ha un buon track record nel giudicare le business conditions. Negli ultimi 30 anni, durante le fasi di rialzo dei tassi, si sono osservate solo correzioni, mentre i bear markets sono iniziati solo dopo la conclusione delle serie di rialzi.

Naturalmente noi non siamo in grado di dire quanto durerà quella attuale, ma possiamo affermare con un elevata probabilità che avremo ancora un rialzo quest’anno, mentre la curva ne sconta tra 1 e 2 entro la fine del 2019.

Come osservato sopra, Wall Street trae la sua linfa anche all’estero, ed è quindi in parte influenzata anche dallo stato dell’economia globale. Ed effettivamente, in questo caso disponiamo di parecchie certezze in meno. Al di fuori degli USA i dati si sono deteriorati in corso d’anno. Non a caso, nella Fund manager Survey di Merrill Lynch, condotta nella prima metà di ottobre, e quindi prima delle ultime, deludenti release, le attese sulla crescita globale si collocano ai minimi da novembre 2008.

Se non altro, possiamo dire che il margine di peggioramento delle attese è ridotto. Come detto più volte, stante la valutazione del ciclo USA illustrata sopra, l’incognita principale per il ciclo globale è se le autorità cinesi riusciranno a produrre un rimbalzo congiunturale dell’economia cinese.

A giudicare dai dati, il lavoro da fare è parecchio. I PMI ufficiali di ottobre, pubblicati stanotte, hanno entrambi deluso. Quello manifatturiero si è arrestato poco sopra la soglia di contrazione (50.2 da 50.8 e vs attese per 50.6). La debolezza proviene dal canale estero, con i new export orders a 46.9 da 48.0. In rallentamento anche il settore servizi (53.9 da 54.9 e vs 54.6 atteso) dove a un marcato indebolimento dei servizi è corrisposta un accelerazione di quello costruzioni. Il PMI composite è cosi sceso a 53.1 da 54.1. La nota accompagnatoria ha citato la vacanza di ottobre come causa per il ridotto livello di attività, ma ha concesso che l’economia è in difficoltà, in particolare a causa della debolezza della domanda estera. In sintesi, i PMI sono tornati sui livelli di metà 2016.

Forse memori di quel periodo (il ciclo si riprese, e con esso l’equity) gli investitori hanno preso bene i dati. “A” shares e “H” shares sono salite a plotoni affiancati, diffondendo un buon sentiment in tutta l’area. Forte anche Tokyo, favorita, oltre che dal calo dello Yen, anche da buone trimestrali (Sony e Honda tra gli altri). Il meeting della Bank of Japan si è concluso senza squilli, policy mix invariato, e solita revisione al ribasso delle attese di inflazione. Tra gli altri principali indici, la trimestrale di Samsung ha bagnato un po’ le polveri a Seul, mentre le altre piazze hanno mostrato buoni incrementi tranne Sydney, che però a differenza del resto aveva ben figurato i giorni scorsi.

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